Nonostante tutto il tappo di sughero rimane l’insostituibile tappatura per i vini di qualità

Negli ultimi anni sono stati introdotti sul mercato tappi per il vino di materiale diverso dal tradizionale sughero che più di altri hanno fatto discutere (stiamo parlando soprattutto del silicone sul quale a tutt’oggi dibattiti e confronti non vengono risparmiati).
Il tappo è un elemento molto importante per il vino poiché quest’ultimo è innegabilmente una bevanda durevole nel tempo che però per mantenere inalterate le sue caratteristiche necessita di una chiusura adeguata, chiusura che è stata individuata fin dai tempi antichi nella tappatura in sughero. Senza voler fare processi ai diversi materiali, per i quali si rimanda alla ricerca scientifica e alla sperimentazione, facciamo un breve viaggio nel “mondo del sughero” cercando le motivazioni del suo utilizzo nelle sue proprietà e nella storia, e i suoi possibili difetti nelle varie fasi della lavorazione.

Reperti archeologici dimostrano che i popoli del Mediterraneo usavano il sughero per chiudere i contenitori in cui conservavano il vino, già in epoca pre-romana. Esistono reperti risalenti al 473 a.C. di anfore romane chiuse con il sughero.
Dom Perignon, l’abate che “inventò lo champagne”, utilizzava il sughero per tappare le sue bottiglie di spumante. Ma oltre al sughero nel passato erano diffuse anche altre chiusure per tappare le bottiglie di vino: si usavano infatti cavicchi di legno, argilla, gesso, tutoli di mais, etc… ma nessuna di queste chiusure era, da sola, capace di evitare il passaggio dell’aria all’interno della bottiglia quindi venivano usate insieme a una serie di coperture esterne spalmate sopra di esse come mastici, resine, pece o loro miscugli. Il sughero invece dimostrava, con le sue doti naturali e durevoli nel tempo, di essere un’ottima chiusura e di poter partecipare attivamente all’affinamento del vino.

Natura, struttura e composizione chimica conferiscono al sughero quelle proprietà che lo rendono unico. L’ermeticità è la principale caratteristica che ne giustifica la scelta ed è legata alla presenza della suberina, una sostanza organica che costituisce gran parte della membrana cellulare del sughero. Essa è insolubile, inerte, flessibile e plastica i in più non trasmette odori e sapori sgradevoli alle sostanze con cui viene a contatto.
L’elasticità porta poi a una perfetta aderenza con il collo della bottiglia tale da impedire perdite di liquidi e scambi gassosi con l’esterno.
La limitatissima porosità del sughero è spiegabile con il fatto che i tessuti di cui è costituito sono impermeabili e le cellule che li compongono non sono comunicanti tra loro. Questo spiega perché il vino a contatto con il tappo penetra per pochissimi millimetri.
L’importanza di queste caratteristiche è anche legata alla loro durata nel tempo: non è facile dire per quanti anni un tappo sia in grado di garantire una tenuta perfetta, solitamente dopo 15 – 20 anni il sughero comincia a perdere elasticità quindi è consigliabile la ritappatura anche se non sono rari i casi di vini ottimamente conservati con il tappo originale anche per periodi di tempo più elevati. Ricordiamo infine l’elevato grado di lavorabilità del sughero che lo rende molto versatile e adatto a molteplici impieghi.

La produzione di tappi in sughero a livello industriale risale alla fine del XVII secolo e parte dalla Provenza. All’epoca i tappi erano realizzati in forma conica per aderire meglio ai colli irregolari delle bottiglie. Da allora sono stati fatti grandissimi progressi sia nell’industria del sughero che nell’industria del vetro e oggi la professionalità e la precisione delle tecniche dei produttori possono fornire le adeguate garanzie che l’industria enologica richiede.
Essendo un materiale naturale, il sughero è fortemente soggetto alle influenze esterne e il temuto “gusto di tappo” preoccupa sia i trasformatori del sughero che i produttori di vino. La tecnologia moderna quindi assume come obiettivo quello di circoscrivere e ridurre al minimo tali inconvenienti. Nonostante sia infatti il tappo ad essere il primo imputato in caso di presenza di difetti nel vino imbottigliato, esistono anche altre cause che arrivano a determinare gusti e odori sgradevoli nel vino e che non hanno niente a che vedere col sughero. Ma prima diamo un rapido sguardo alla nascita di un tappo dalla pianta alla bottiglia.

La pianta che produce il sughero è la Quercus suber originaria e diffusa nel bacino del Mediterraneo. I maggiori paesi produttori sono Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Algeria, Marocco e Tunisia. In Italia in particolare la diffusione è limitata a Sardegna, Sicilia e alcune zone della Toscana. È una pianta protetta e apposite leggi regolamentano l’estrazione del prodotto per cui viene coltivata, Dalle piante giovani (di 20 anni circa) si possono ottenere 15 kg di sughero per pianta che salgono a 200 per piante in piena produzione (Quercus suber è estremamente longeva: può superare infatti i 200 anni di vita!).

La coltivazione della quercia del sughero avviene nei sughereti. Quando la pianta raggiunge l’età per la raccolta operai esperti asportano la corteccia in plance curandosi di non danneggiare la parte sottostante preposta alla produzione del nuovo sughero. Una volta raccolte, le plance di sughero vengono accatastate e sottoposte ad una stagionatura che va dai 6 ai 24 mesi e avviene vicino alla zona di raccolta. Al termine di questo periodo si effettua la prima bollitura che oltre a eliminare i possibili funghi presenti, determina delle importanti trasformazioni chimico – fisiche (appiattimento delle plance, allontanamento della polvere rossa) fondamentali per le successive fasi di lavorazione. A questo punto il sughero viene sottoposto a una serie di interventi che lo preparano al suo trasferimento verso il luoghi di trasformazione per la produzione di tappi. Uno di questi interventi è particolarmente importante ed è la prima classificazione effettuata in base alla qualità delle plance che vengono divise e destinate alla produzione di tappi di qualità diversa.
Una volta giunte nell’azienda trasformatrice, le plance vengono accatastate all’aperto e in un secondo tempo vengono sottoposte a una seconda bollitura con modalità identiche alla precedente. A questo punto si effettua la seconda e più importante classificazione in base alla qualità e allo spessore delle plance che vengono destinate alla lavorazione per loro più appropriata. È a questo punto che le operazioni si diversificano.
Le plance di prima qualità saranno destinate alla produzione di tappi monopezzo cioè costituiti di un pezzo unico di sughero. Sono ottenuti da strisce fustellate in direzione ortogonale allo spessore per avere la porosità in senso trasversale al tappo. Sono i tappi migliori e vengono utilizzati per i vini da invecchiamento.

La seconda scelta è destinata alla produzione di tappi compensati costituiti da due o più strati di sughero disposti in modi diversi e incollati tra loro. Sono ottenuti da plance troppo sottili per produrre tappi monopezzo e in questo modo si possono ottenere tappi delle dimensioni volute utilizzando materia prima di buona qualità. Il prezzo di questi tappi è inferiore ai precedenti e la qualità è buona.

Ci sono poi i tappi a fungo normalmente utilizzati per gli spumanti, sono quelli con la parte superiore di diametro maggiore rispetto alla parte immersa nel collo della bottiglia. Sono composti di due parti: la parte superiore è costituita da agglomerato e la parte inferiore da una o tre rondelle di sughero naturale.

Infine troviamo i tappi di agglomerato che costituiscono lo scalino più basso nella scala della qualità. Sono costituiti di un solo agglomerato oppure di agglomerato aggiunto di una o due rondelle alle estremità.
I tappi così ottenuti subiscono una serie di operazioni finali comuni quali timbratura, lavaggio, sterilizzazione, essiccatura e l’importante terza classificazione determinante per la qualità finale del prodotto e curata soprattutto sui tappi di prima scelta per i quali l’acquirente non pone problemi di spesa ma esige le necessarie garanzie per poter, a sua volta, garantire la perfetta conservazione del vino imbottigliato. A questo proposito, sia le ditte produttrici che quelle imbottigliatrici, praticano il controllo qualità su campioni rappresentativi di ogni partita di tappi, per verificarne la rispondenza alle specifiche esigenze enologiche. Le analisi effettuate prevedono anche la prova organolettica sul gusto di tappo. A questo proposito, come accennavamo sopra, non sempre è il tappo il responsabile del difetto.

Il gusto di tappo, la maggior parte delle volte, è dovuto allo sviluppo di sostanze odorose prodotte da funghi e batteri che attaccano il sughero. I possibili funghi presenti sulla pianta o sviluppatisi sulle plance nelle fasi di lavorazione, non possono essere quelli che causano il difetto in bottiglia, perché gli attenti controlli vengono effettuati proprio per scartare la materia prima difettosa. Funghi e batteri normalmente presenti in cantina possono attaccare i costituenti del sughero e quindi originare composti come il tricloroamisolo e il guaiacolo che sono le principali sostanze che contribuiscono a conferire il gusto di tappo. L’unica cosa che si può fare contro questi attacchi è mantenere l’igiene di cantina anche se a volte non è sufficiente e “la bottiglia che sa di tappo” si può ritrovare anche presso i produttori più rinomati. Esiste però un’alterazione del vino che fa sì che questo assuma il caratteristico gusto di tappo, anche se non è mai stato imbottigliato. Il fenomeno è causato da alcune sostanze utilizzate in cantina per trattare i contenitori in legno affinché non vengano tarlati. Queste sostanze, che sono tetraclorofenoli e l’ipoclorito, qualora l’ambiente sia molto umido subiscono una mutilazione che è una reazione chimica che porta alla trasformazione di questi prodotti in tricloroamisolo e quindi al gusto di tappo anche in vini che tappi non ne hanno mai visti!

Altri difetti, che portano a scambi gassosi con l’esterno della bottiglia o a perdita di prodotto per colosità, sono ascrivibili solo a una cattiva qualità del tappo dovuta magari ad errori in fase di trasformazione o in fase di imbottigliamento, questi sono a tutt’oggi poco comuni ed evitabili. La concorrenza da parte delle chiusure con materiali diversi dal sughero è molto forte e ciò è un motivo in più per spingere la tecnologia che opera in questo settore a perfezionarsi per essere concorrenziale.