Moschea-Sokollu-Mehmet-Pasa
Moschea-Sokollu-Mehmet-Pasa
Moschea-Sokollu-Mehmet-Pasa
Cisterna-Basilica
Moschea Blu
Moschea Blu
Moschea-del-Solimano
Moschea-del-Solimano

Per me sarà il terzo consecutivo all’estero: Sydney da solo e Parigi con Paola, le mete precedenti. Novità assoluta per questo viaggio è la compagnia di una coppia di amici: Andrea e Valesca. Il ragazzo, mio compagno di università, è ansioso; mi bombarda ogni giorno con e-mail chiedendomi di tutto: tariffe per i cellulari, visti d’ingresso, obbligo di dichiarare beni elettronici…basta!!! È pur sempre una vacanza……non andiamo mica in guerra!!!

26 dicembre 2002
Decolliamo dal vicino aeroporto di Trieste, questa volta ci risparmiamo l’autostrada fino al Marco Polo di Venezia. Abbiamo preso i biglietti con Lufthansa perché erano i più convenienti e perché così ho avuto modo di usufruire di un viaggio premio viste le miglia (Miles & More) in mio possesso. L’aereo è di quelli piccolini, ha le eliche al posto dei reattori. Incomincio a fantasticare su possibili rotture delle pale colpite da feroci gabbiani; è impossibile, lo so, ma mi diverto a pensare che dei piccoli volatili possano far precipitare questo buffo aereo, un aereo a “conduzione familiare!”. Immagino le hostess che ci portano da mangiare pasta fatta in casa, gnocchi, polenta, un buon bicchiere di vino rosso, ed invece niente di tutto questo, le solite schifezze.
Facciamo scalo a Monaco, dei “gabbiani assassini” neanche l’ombra. Giriamo per il moderno aeroporto; ridiamo alla vista di tre enormi foto segnaletiche di terroristi arabi, uno ha una croce sopra, lo hanno beccato!! Dopo un’attesa di due ore siamo di nuovo in volo.

Arriviamo nel pomeriggio ad Istanbul e troviamo ad accoglierci un addetto dell’agenzia turca sul cui sito internet abbiamo prenotato l’hotel. Cerco il banco informazioni Lufthansa per riconfermare il volo di ritorno, mi dicono che non serve!! È la prima volta che la mia agenzia di fiducia mi ricorda di riconfermare il rientro ed è l’unica volta che non serve!!! Ma allora, quando si va all’estero si deve o no riconfermare il rientro?
L’hotel è il Pamphylia in Yerebatan Caddesi, un centinaio di metri dalla Cisterna Basilica. Le stanze sono piccole, ma per 40 US$ a notte la doppia non si poteva proprio pretendere di più. Il bagno non è dei migliori… il tutto però passa in secondo piano quando andiamo a vedere la sala per la colazione. Si trova in cima all’hotel che è il più alto della zona e possiamo così ammirare in tutto il loro splendore il Palazzo Topkapi, la Moschea di Santa Sofia e la Moschea Blu.
Ci ritroviamo in strada, io e Paola saliamo in camera per prendere qualcosa, ritorniamo e Valesca ha perso Andrea. Si è girata un attimo e lui è sparito. Non siamo affatto preoccupati, fa spesso così, siamo solo arrabbiati che non abbia detto dove andava. Quelli del negozio di fronte ci avvisano che il nostro amico è là, sta facendo perdere tempo a loro ed anche a noi. Arrabbiati lo raggiungiamo e lui ci accoglie come se non fosse successo niente!! Ramanzina da parte mia e di Valesca, e via per Sultanahmet, il quartiere del nostro hotel. Ammiriamo la Moschea Blu illuminata, quella di Santa Sofia invece è inspiegabilmente buia e lo sarà per tutta la vacanza. Vaghiamo senza meta e ci ritroviamo al porto di Eminonu dove assaggiamo l’ottima cucina turca. Ci ritroviamo infatti in una piccola e spartana trattoria, il cibo è buono ma l’aria è irrespirabile, questi turchi fumano proprio come turchi!!. Ritornando in hotel ci fermiamo da “House of Medusa” in Yerebatan Caddesi. Al secondo piano, in una sala arredata come una tenda di qualche antica carovana, seduti su dei cuscini colorati, assaggiamo il tè alla mela ed il tè turco.

27 dicembre 2002
Facciamo colazione, la scelta non è molto varia ma ci va bene lo stesso, la nostra attenzione è attirata da uno scenografico panorama. Scivoliamo velocemente verso il Topkapi. Veniamo avvicinati da un vecchietto, dice di essere una guida ufficiale (fanno sempre così) e si offre di accompagnarci durante la visita. Ci chiede 30 Euro, non vuole neanche contrattare, è un po’ dislessico…lo lasciamo stare. Ci informiamo sul costo dei biglietti: per una visita completa bisogna comperarne tre a persona (uno per l’Harem, uno per il tesoro ed uno per il museo), totale 45.000.000 di Lire turche (circa 26 Euro a testa)!!!!! Neanche per i Gioielli delle Corona a Londra si paga così tanto!!! Andrea ha un’intuizione, c’è lo sconto se si presenta la tessera studentesca internazionale, si paga un terzo del biglietto intero. Abbiamo con noi delle tessere dell’università e delle carte di identità sulle quali sta scritto “professione: studente”, se la bevono e così otteniamo uno sconto.
La visita si protrae per alcune ore, il palazzo è bello ma mi aspettavo qualcosa di più. Non c’è assolutamente paragone con la Città Proibita a Pechino. Lo immaginavo più maestoso, non trasmette quella sensazione di grandezza che avevo provato in Cina; in compenso i gioielli sono notevoli. La visita all’Harem si fa solo con la guida che pur essendo simpatica ci costringe a fare un giro abbastanza veloce.
Cerchiamo un posto dove fare uno spuntino, ritorniamo nella via dell’hotel e ci sediamo in un kebapci. I prezzi non sono esposti ma il cibo che vediamo non sembra male.Ci sediamo al piano superiore e mangiamo kebap e riso. Il proprietario ci frega facendoci pagare una follia, tre volte il prezzo normale, questo lo scopriremo i giorni seguenti.
A meno di cento metri troviamo la Moschea di Santa Sofia, l’enorme chiesa bizantina trasformata prima in moschea e poi in museo. È l’unica in cui si può entrare con le scarpe ai piedi, non è più un luogo di culto: Mustafa Kemal Pasa detto Ataturk – il Padre della Turchia moderna – l’ha trasformata in un museo.
È immensa, la cupola sembra realmente sospesa. All’interno stanno facendo dei lavori di restauro e purtroppo una parte della moschea è occupata da una “torre” di tubi. I nostri nasi sono perennemente all’insù o affondati nelle guide che ci siamo portati dietro, io ed Andrea leggiamo, le ragazze ci ascoltano. In un angolo scorgiamo la “colonna piangente”: si dice che se, infilando un dito nel buco, si riesce a fare un giro completo della mano ed un volta estratto il dito questo risulta essere bagnato, allora il desiderio espresso si avvererà. Proviamo tutti, i giapponesi ci guardano divertiti tentando a loro volta; non hanno però capito il senso e soprattutto non lo fanno in modo corretto. Riesco pure a completare un giro, tolgo il dito dal buco ed è umido!!!! Cazz…, non ho espresso il desiderio!!!! Sarà per un’altra volta.
Nel parco antistante la moschea ci blocca un venditore di tappeti. Andrea si fa convincere a seguirlo, io non sono interessato mentre le ragazze sono timorose. Lo seguiamo lo stesso, andiamo verso un parcheggio e Paola ci urla di andare via. Sono convinto che non sarebbe successo niente, il posto era solo un po’ appartato, ma per non farla arrabbiare ritorniamo indietro. Il tipo però non ci molla, ci facciamo trascinare in un bel negozio di sua “fiducia”. Perdiamo un po’ di tempo all’interno. Non abbiamo intenzione di comperare tappeti, almeno per ora, e ce ne usciamo dicendo che torneremo nei prossimi giorni.
Si è fatto buio e così rientriamo in hotel. Per la sera abbiamo deciso di andare a vedere cosa c’è dall’altra parte del Corno d’Oro. Prendiamo un taxi e chiediamo al conducente di portarci in Piazza Taksim. La macchina scivola velocemente verso il porto, attraversa il Ponte di Galata ma subito si arresta. Davanti a noi un traffico impressionante, dev’essere l’ora di punta, le auto ronzano feroci ed il tassista sorridendo continua a ripetere “traffic jam, traffic jam”. Proviamo a risalire lungo il Bosforo, poi ad un certo punto, invece di proseguire verso il Palazzo Dolmabache e girare a sinistra verso Taksim, il nostro amico fa un’inversione di marcia, ritorna al ponte di Galata e poi si dirige verso quello di Ataturk. Stiamo facendo un giro da pazzi, gli dico che era meglio andare dall’altra parte. Mi sembra ci stia prendendo in giro, a volte i tassisti lo fanno con chi non è pratico del luogo, mi arrabbio e lo invito a farci scendere. Insiste che ha ragione ma non cedo, si scende e si continua a piedi. A posteriori devo ammette che quella era la strada più veloce, ma almeno poteva farla subito invece di farci prendere altre vie!
In pochi minuti siamo a Istikal Caddesi, la via principale di Istanbul, la più illuminata e frequentata: migliaia di persone strisciano in entrambe le direzioni. Questa è anche la via dei ristoranti ed è così che ceniamo al primo piano di una graziosa trattoria. All’entrata si vedono delle donne che, in costume tradizionale, fanno il pane, pane che noi mangeremo, pane delizioso. Saliamo e dopo pochi minuti di attesa siamo seduti; ci portano il menù, molte cose sono già finite ed abbiamo quindi poca scelta. Guardiamo nei piatti degli altri per avere un’ispirazione, i ragazzi turchi del tavolo accanto notano il nostro scrutare curioso e ci offrono degli assaggi di quello che hanno ordinato. Non faccio complimenti, mi danno una focaccia con delle patate dentro: buona! Vogliono farmi assaggiare anche il latte rancido, mi sembra di approfittare un po’ troppo e li ringrazio. La cena è buona, prendiamo quelle focacce piene di patate, altre di carne ed altre ancora di spinaci, qualcos’altro e pure il latte rancido.
Una cosa, di questa parte di Turchia, che non mi aspettavo e che mi colpisce piacevolmente è la cortesia di questo popolo. Mi ero fatto un’idea diversa di questa gente, forse condizionata dal “mamma li Turchi”! Mi sbagliavo, in tutta la vacanza abbiamo incontrato sempre gente molto gentile, aperta, anche se tra noi non c’era il denaro a renderli, per così dire, amichevoli. Molti sono stati gentili e basta, non lo facevano per un secondo fine.
Siamo ancora in Istikal Caddesi, da un pub esce della musica assordante, tutti ballano sui tavoli. Andrea vuole entrare ma il buttafuori gli dice che è tutto pieno; noi altri ridendo gli spieghiamo che non ci fanno entrare per colpa del suo giaccone, quel terribile color viola-rosa lo fa sembrare uno zingaro. Per tutta la vacanza verrà scambiato per rumeno, bulgaro, turco… e lui che si crede di assomigliare ad uno yankee!!!!! Buonanotte.

28 dicembre 2002
Consegniamo le chiavi prima di uscire, “Croci” (uno dell’hotel che assomiglia ad un nostro amico) sembra un avvoltoio, come pure il suo compare; ci vogliono rifilare una cena in un ristorante tipico per “Natale” (chiamano così il Capodanno), il tutto a soli 30 Euro a testa!!!!! Rifiutiamo le gentili proposte e come dei bravi soldatini ci mettiamo in marcia verso la Moschea Blu, prima però passiamo davanti alla Cisterna Basilica per vedere gli orari di apertura, ci andremo più tardi. Sulla porta veniamo fermati da una signora americana che tutta agitata e sconvolta non fa che ripeterci quanto la cisterna sia bella: “I’ve never seen anything else like this in my life!”. Sembra in trance, non riesce a riprendersi da tanta bellezza. Cambio di programma, anche perché la signora ci consiglia di visitarla ora dato che non c’è ancora nessuno, e siamo dentro. In effetti lo spettacolo che si para ai nostri occhi è notevole, questa enorme cisterna sotterranea sembra non finire mai; in sottofondo della musica classica ci accompagna durante una visita che facciamo quasi da soli.
Qui ci vogliono delle foto, tiro fuori il cavalletto portatile e dopo innumerevoli preparativi mi accingo ad immortalare questo spettacolo. Alcune ragazze italiane, ignorando che anch’io lo sono, commentano che sto facendo delle foto artistiche e cercano di imitarmi. Le sorprendo dando loro dei consigli sull’esposizione, non pensavano fossi anch’io italiano. Una fa notare “come è vero che quando si parla di arte si dice Italia”. Sono lusingato ed imbarazzato da questo eccesso di complimenti; mi chiedono se sono un professionista (addirittura!!) ed io rispondo loro che sono solo un appassionato. Si fanno fare una foto con la loro macchina, “questa verrà sicuramente bene” sento dire da una di esse… Raggiungo gli altri camminando sospeso ad un metro di altezza, racconto l’accaduto ma non mi credono, pensano che stia esagerando.
La visita continua: due colonne hanno alla base la testa di Medusa, una capovolta e l’altra su un fianco, il perché non è noto, almeno stando alla guida, forse le hanno messe a caso. Alcuni giapponesi sono più attratti dai pesci che si trovano nella poca acqua ancora conservata all’interno della cisterna piuttosto che dalla cisterna stessa. Avranno mica fame e vorranno farsi un po’ di sashimi???? Andrea che è strano come solo i giapponesi sanno esserlo si aggira alla ricerca delle carpe che la guida dice vivano all’interno della cisterna. Mi dice che non ce ne andremo finché non ne avrà vista una!!! Per fortuna, la carpa tanto cercata ci passa davanti… ora possiamo andarcene.
Raggiungiamo in pochi minuti la Moschea Blu, incontriamo nuovamente il tipo dei tappeti ed i ragazzini dai quali abbiamo comperato delle trottoline di legno il giorno prima. C’è un po’ di fila che però cammina velocemente, ci togliamo le scarpe e le mettiamo in un sacchetto di plastica per potercele portare appresso durante la visita. L’interno è ricoperto dalle famose piastrelle blu di Iznik che danno il nome alla moschea. L’area destinata alle preghiere è transennata, i turisti sono pregati di non oltrepassarla; parlo con il custode e mi dice che durante le funzioni i non musulmani vengono fatti uscire. Non faccio neanche in tempo a chiederlo che lui mi confida che, se vogliamo, è in grado di farci entrare… chiaramente offrendo un piccolo obolo!! Siamo d’accordo, ci vediamo fra 2 ore, siamo disposti anche a pagare per vedere cosa succede all’interno durante le funzioni.

Sbuchiamo dal portale che dà sull’antico Ippodromo di cui non resta praticamente nulla: l’Obelisco di Teodosio, la Colonna Spinata, l’Obelisco in pietra grezza è tutto ciò che rimane. Decidiamo di andare a vedere due piccole moschee, poco conosciute e generalmente dimenticate dai tour organizzati. Scendiamo verso sud, verso il mare, ed eccoci di fronte alla Moschea Sokollu. All’interno di questo grazioso e ben conservato edificio, il custode ci fa notare i particolari: 4 frammenti della pietra nera conservata a La Mecca, un soffitto magnificamente dipinto. Contrattiamo fino alla morte per alcune foto degli interni, non è proibito fotografare ma c’è poca luce e le nostre foto non saranno sicuramente all’altezza del posto; quelle comprate sono invece fatte da professionisti ed in altre condizioni di luce. Proseguiamo scendendo la collina, la brezza ci porta l’odore del mare ed i nostri nasi ci guidano sicuri verso la costa. Ci avventuriamo per questa che è una delle zone più povere di Istanbul, le grigie pareti delle case sono tutte scrostate, alcuni edifici sono di legno e sembrano cadere da un momento all’altro, nelle strade numerosi i bambini che giocano. Troviamo la Piccola Moschea di Santa Sofia, è in condizioni disastrose ma allo stesso tempo è più affascinante di altre. L’interno è buio, i tappeti semplici, le pareti attraversate da profonde crepe: la città è stata oggetto di alcuni terremoti i cui danni non sono stati rimossi. Improvvisamente incominciano ad arrivare alcuni uomini, le donne si mettono sotto una specie di gazebo e, secondo il principio del purdah che nel mondo islamico separa le donne dagli uomini, vengono immediatamente isolate dall’ambiente circostante con un telo. Sta per iniziare la preghiera, nessuno ci invita ad andarcene e perciò rimaniamo all’interno curiosi di vedere quello che succederà. Il mullah, credo, dirige la preghiera. Tutti in fila alzano le mani verso le orecchie, poi le riportano nella posizione di riposo, si inginocchiano ed incominciano e ripetere delle litanie che noi non capiamo. Qualcuno arriva in ritardo ed invece di seguire gli altri incomincia tutto da capo, “sono in recupero” dice scherzosamente Andrea. Tutti si voltano a destra, poi a sinistra, pochi minuti dopo è tutto finito.
In questa moschea non si può fotografare, lo abbiamo comunque già fatto, ed un ragazzino di dieci anni con fare serio, imitando qualche adulto, mi fa un segno con la mano di non usare la reflex. Io rido, ha solo dieci anni e prende molto sul serio il compito che gli hanno affidato: corre per la moschea bloccando i turisti “malintenzionati”. Alcuni francesi, ignari, sono saliti sul gazebo; lo chiamiamo indicandogli i possibili trasgressori, tutto preoccupato si arrampica su per le scale e li blocca appena in tempo. Io ed Andrea ridiamo, la faccia dei francesi era un misto tra paura ed incredulità!!!
Andrea rimane all’interno mentre noi tre usciamo, un anziano signore ci farfuglia qualcosa ma non capiamo. Esce una ragazza, coperta da un velo nero, se lo toglie mostrandosi a tutti noi; ha un fisico prorompente ed è molto truccata, tutti ne rimaniamo colpiti, io in particolare. Il vecchietto la guarda, ci guarda e fa il gesto come per dire che è ammattita, ci viene da ridere. Andrea ci raggiunge, gli racconto della tipa, la vuole inseguire, gli dico che ad inseguirla ci ha già pensato il vecchietto, forse per farle una predica.
Ci perdiamo lungo le stradine vicine. Sentiamo un rumore provenire da una cantina, sembra che delle persone ballino su assi di legno e curiosi scendiamo le scale. Niente di tutto questo, si tratta di un laboratorio nel quale fanno lacci per scarpe. Al momento ci sono al lavoro due uomini ed una donna, ci sorridono e ci invitano a raggiungerli. Vado a chiamare le ragazze, Andrea e il suo giubbotto viola restano dentro, pochi minuti ed esce anche lui, gli hanno regalato alcuni lacci, e lui che li voleva pagare! È un po’ sconcertato, gli hanno chiesto da dove veniva, hanno provato ad indovinare dicendogli che era bulgaro, turco, rumeno… lui ha risposto che era italiano ma loro non gli hanno creduto. Lo prendiamo in giro: il giubbotto ha colpito ancora!! Incomincia a dire che può assomigliare ad un francese, ad un americano (ci risiamo), ma ad un bulgaro… !!

Alcuni vispi ragazzini stanno giocando a calcio, altri martellano sui muri scrostati delle case già in pessime condizioni. A gesti gli proponiamo una partita: TURCHIA-ITALIA. Dico ad Andrea “come in Marrakech Express”, “no” ribatte “come in Vacanze in America”…, perplesso lo guardo?!?! Si inizia, palla al centro. I loro amici fanno gruppo, stanno sul marciapiede, si gioca in strada. I ragazzetti cercano di imbrogliarci sul punteggio, faccio notare che non hanno segnato ed anche il “pubblico” è dalla nostra. Andrea però da ragione agli altri due! Ok, gli concediamo il gol in più. Siamo un po’ in difficoltà su questo “campo”, per di più indossiamo scarpe “da passeggio” e jeans. Tira, passa, cazz…., fallo,…..siamo in vantaggio 6 a 3, vogliono arrivare a 10 ma siamo già da mezz’ora che giochiamo. Proponiamo il “golden gol” anche se siamo in vantaggio, sono furbi ed accettano. Segniamo noi, gli amici li prendono in giro… strette di mani e foto di gruppo con il pubblico “sceso” dal marciapiede.

Prima faceva un po’ di freddo, ora siamo sudati!!! Risaliamo faticosamente la collina, ci dirigiamo verso Divan Yolu (la strada principale del quartiere Sultanahmet), ci è venuta fame ed entriamo in una specie di tavola calda. Facciamo un po’ di casino nell’ordinare, “io voglio questo”, “io quest’altro”, ma nessuno parla con il cameriere. Tocca a me, come sempre, ordinare per tutti assecondando le loro richieste, Andrea vuole il kebap nel panino e lo chiama Iskender, cerco di fargli capire con sono due cose diverse… Paola brontola perché vuole verdura, i turchi non capiscono l’inglese!! Alla fine ci portano dei bei piatti, Andrea si lamenta con me che voleva il panino, Paola che c’è poca verdura… C…O!!! Arrangiatevi, da questo momento ordino solo per me!! Il cibo è molto buono e tutti ne convengono, non era “quello che credevano di volere” ma va bene lo stesso.

Ci dirigiamo verso la Moschea di Fatih Mirimah, passando prima per l’Acquedotto di Valente; io ed Andrea scherziamo sottovoce, le ragazze non ci sentono, Andrea decide di prenderle un po’ in giro: “le donne bevono tutto!!”. Arriviamo alla Moschea di Shezade, il muro di recinzione del complesso è sormontato da dei blocchi di pietra, l’uno vicino all’altro. “Ecco, vedete, quello è l’Acquedotto di Valente” dico io, “quale?” rispondono in coro. “Ma quello sopra il muro, quei blocchi di pietra sono cavi, all’interno ci scorreva l’acqua, ora non lo so – tanto per non ostentare troppa sicurezza – ma una volta ci passava l’acqua!!”. “Ahhh”, esclamazione di stupore… io ed Andrea stiamo comunicando telepaticamente, a volte basta guardarci per capire tutto… “vedi che se la sono bevuta”. Spieghiamo che quei blocchi di pietra messi verticalmente anziché orizzontalmente (che si trovano sulle colonne poste tra i muri veri e propri) servivano, con degli strani aggeggi, a far salire l’acqua in cima e poi a spingerla giù, per creare l’acqua corrente!!! Ancora sguardi stupiti di fronte a tanto sapere!!! Risate “telepatiche”, ci guardiamo trattenendo a stento le risate. In fondo però siamo dei bravi ragazzi, sveliamo che questo non è affatto l’acquedotto, che le abbiamo prese in giro. Chiaramente loro negano di esserci cascate ma le loro facce e le loro esclamazioni ci hanno fatto pensare il contrario.
Arriviamo al “vero” Acquedotto di Valente, proseguiamo la nostra strada costeggiandolo; dopo aver sbagliato strada e dopo una ripida salita, giungiamo alla Moschea di Fatih Mirimah. Nel cortile ci sono numerose persone che probabilmente hanno appena partecipato alla preghiera, c’è anche esposta una bara di legno grezzo, è ricoperta da un telo verde con scritte arabe, un giovane la sta vegliando in silenzio. Mi allontano per non disturbare e con lo zoom immortalo la scena. In ogni mia vacanza ci scappa sempre una foto “macabra”: il wallaby ucciso da una macchina in Australia, il cartellone con il cadavere in Cina…
Dopo una breve visita, usciamo dal cortile e veniamo fermati da un ragazzo che con fare molto gentile ci chiede un favore. Ha delle monete in euro, non può cambiarle in banca, ci chiede se possiamo dargli una banconota da venti euro. Sembra sincero, ci regala anche un libretto se lo aiutiamo; Andrea non si fida, io sono anche disposto a cambiargliele, ma le banconote che credevo di avere le ho lasciate in hotel. Chiaramente avrei contato e ricontato le monete che mi dava. Il giorno seguente abbiamo incontrato nei pressi del Topkapi un gruppo di ragazzi delle nostre parti, uno di loro aveva cambiato le monete ad uno di questi furbacchioni, erano riusciti a fregargli 12 euro, su 20!!! Il tipo, dopo aver contato le monete nella sua mano ed aver rassicurato così il nostro amico, aveva capovolto il palmo “trasferendo” da una mano all’altra le monete. Alcune di queste però gli erano rimaste letteralmente attaccate al palmo… ed ecco spiegato perché “Andrea-San Tommaso”, che le aveva toccate il giorno prima, le aveva trovate appiccicose. Quindi, occhio!!
Facciamo a ritroso la strada di prima, costeggiamo l’acquedotto e presto arriviamo alla Moschea di Solimano il Magnifico, una delle più famose ad Istanbul. Entriamo togliendoci le scarpe; le ragazze, rispettose dell’ambiente sacro, si coprono il capo con le sciarpe. Ridiamo, siamo seduti a terra, Andrea mi chiede qualcosa sottovoce, io per ascoltare quello che dice mi sporgo verso di lui appoggiando un gomito a terra. Non l’avessi mai fatto! Il custode, un giovane sui 30-35 anni, mi si scaglia contro e con fare molto scortese mi redarguisce dicendomi che sono in un posto sacro. Rimango sorpreso da tanta cattiveria, non credo di aver commesso niente di grave, ad ogni modo riprendo la posizione eretta. È l’unica occasione in cui un turco si è dimostrato scortese, gli altri custodi erano sempre molto gentili, questo per niente. Ha la faccia cattiva e sta parlando in inglese con un altro musulmano, ascolto le sue parole, gli bisbiglia: “questa gente” – credo stia parlando degli occidentali – “viene qui e fa queste cose, disprezza la nostra religione….”. Ma tu sei fuori…..mi viene da dirgli, il suo sorriso si trasforma in un ghigno… voglio dirgli qualcosa. Paola, mi trattiene e quindi rinuncio. Continua nelle sue esternazioni, è indisponente, mi rovina la visita alla moschea.

Finalmente usciamo ma lui accompagnando l’altro tipo con il quale continua a parlare esce a sua volta. Non vedo l’ora di andarmene per non vedere più quel suo “sorriso terroristico”. Due ragazzi, credendo di essere ormai fuori dalla moschea ma rimanendo pur sempre nel cortile, si abbandonano ad alcune caste effusioni. Oops…mi sembra sia poco conveniente e volgo il mio sguardo al custode; questo a cui non sfugge niente e che probabilmente gode nel riprendere i suoi “nemici occidentali” avverte il suo interlocutore di guardarlo. Si scaglia come una bestia contro i due poveri ragazzi, li blocca e urla loro che si trovano in un posto sacro, che devono avere rispetto. Tutti si girano, vedo le loro facce sbigottite per tanta violenza, probabilmente non sono l’unico che crede lui stia esagerato. Ok, hanno sbagliato, ma tanta cattiveria non è giustificata. La guida turca che accompagna il gruppo dei ragazzi interviene a calmarlo. Questo, soddisfatto, ritorna dal suo “allievo” e con un ghigno satanico si esalta per il suo intervento. Sbotto, sto per andare da lui e fare una scenata, lo sguardo da deficiente dell’arbitro Moreno non è niente al confronto di quello satanico di questo estremista turco. Andrea e Paola mi trattengono, ci allontaniamo… è meglio!

Per fortuna a tanta maleducazione segue uno degli esempi di cortesia “gratuita” che mi fanno pensare che questi turchi siano proprio delle brave persone. Il muezzin, un uomo sui sessant’anni che sta parlando con Andrea ci invita a seguirlo, fra pochi minuti dovrà richiamare la gente alla preghiera. Ci porta alla base di uno dei minareti, apre la porta dietro alla quale si trova un microfono, si sistema una papalina bianca sul capo, ci chiede che ore sono, vuole assicurarsi che il suo orologio sia preciso. I nostri segnano tre ore diverse, ci sorride, dice che è giusto il suo. Nell’attesa ci offre delle caramelle, gli chiediamo quali parole pronuncia per chiamare la gente. Ci spiega che sono parole arabe, le prime sono “Allah Akbar” – Dio è grande – ma il resto non lo capisco. Altra gente che aveva assistito alla scenata di prima si avvicina con fare curioso, anche a loro offre le caramelle. Questo muezzin è proprio l’opposto del custode! Ci prega di fare silenzio, inizia così a richiamare la gente alla preghiera, le sue parole, “allungate” in una sorta di cantilena, escono metalliche dall’alto del minareto. Che emozione, la voce si propaga nell’aria, la si sente a centinaia di metri di distanza. Terminata la sua “performance”, gli chiedo sfacciatamente se è possibile salire in sua compagnia in cima al minareto ma mi spiega che è proibito. Lo ringraziamo delle caramelle e di averci permesso di vederlo all’opera.

Ce ne andiamo alle tombe del sultano Solimano e di sua moglie Rossellana, che si trovano accanto alla moschea. Il sole sta tramontando, l’aria si fa frizzante, le tombe sono chiuse e così facciamo una rapida camminata nel cimitero. Ne usciamo ed alcuni bambini ci chiedono dei soldi, diamo loro alcune monete ma ce ne chiedono delle altre. Ogni volta che diamo qualcosa ai bambini questi non sono mai contenti di quello che ricevono. O siamo taccagni noi – probabile – o hanno incontrato qualche ricco americano… Arrivano due “cummenda” milanesi, il loro accento è inconfondibile, sono lampadati e vestiti come due “fighetti”!!! I bambini si fanno sotto, “money, money” le uniche parole in inglese che conoscono. Questi due nostri connazionali, e in quel momento mi sono vergognato di essere italiano, li scansano, li deridono: “sembrano delle scimmiette thailandesi”. Cosaaaa?????? Ma non vi vergognate!?!?!?! Questi poveri bambini infreddolititi vi chiedono la carità e voi li trattate così? “Va, va da lui che è ricco” gli sento dire indicandomi. Li apostrofo con un “vaff…” Paola con un “bravi” ma le nostre parole non li toccano, forse non le hanno neanche sentite; probabilmente hanno attraversato velocemente le loro teste vuote come la bora soffia sul Molo Audace!

Riprendiamo la strada verso il nostro hotel, senza accorgercene arriviamo al Kapali Carsi che attraversiamo velocemente, sono già le sei ed abbiamo deciso di provare il bagno turco di Cemberlitas. La sera prima ci siamo informati con la signora dell’albergo: ci ha fornito i nomi di alcuni bei bagni “per turisti”, gli altri, ci ha avvertito, non sono molto puliti. È anche uno dei bagni più antichi della città, un bagno storico, avremo così l’occasione di unire l’utile al dilettevole. Rientrati nelle nostre stanze raccogliamo quello che pensiamo ci possa servire: ciabatte, asciugamano, costume (non ci servirà niente di tutto questo). Dopo pochi minuti a piedi siamo di fronte all’Hamami di Cemberlitas, entriamo, la ragazza alla cassa è molto carina, io ed Andrea fantastichiamo su improbabili massaggi. Decidiamo di fare il “servizio completo”, può sembrare malizioso, ma non lo è assolutamente. Le ragazze vengono fatte andare da una parte, noi veniamo accompagnati ai piani superiori. Ci danno una stanzetta con due letti, ci togliamo i vestiti, ci annodiamo un asciugamano di tela intorno alla vita, indossiamo delle ciabatte arancioni. Ci dicono di aspettare, verranno a chiamarci. La fantasia di Andrea incomincia a correre: donne che ti lavano e ti massaggiano, che ti coccolano e… “ma guarda che saremo solo uomini”, gli ricordo. Fantastichiamo sul “servizio da sultano” che non abbiamo preso e su un fantomatico “golden jeton”, comprensivo di “tutto”, ma proprio “tutto”!
La porta si apre, il tizio che ci aveva accompagnato ci invita a seguirlo, diamo i nostri gettoni a due uomini che diventeranno i nostri accompagnatori. Entriamo, alcuni uomini sono stesi su una grossa pietra calda e si stanno riposando, altri sono massaggiati e “grattugiati” dai loro accompagnatori, altri ancora, ai bordi della sala, si stanno bagnando con dell’acqua fredda che raccolgono in alcune scodelle. Ci sediamo ai bordi della grossa pietra, osserviamo un inglese sottoposto ad energiche “scartavetrate” ed a violenti massaggi, poi toccherà a noi.
È il mio turno, vengo fatto distendere sul bordo della pietra calda, vengo bagnato, scartavetrato, insaponato, massaggiato con forza, mi viene da ridere ma resisto, non si sa mai che il tipo la prenda male. Tocca anche ad Andrea, stessa sorte, a tutti la stessa sorte!! I nostri due massaggiatori ci chiedono di dar loro la mancia, fuori, prima di andarcene ma di non farlo sapere alla direzione. Al bancone, c’è un cartello che avvisa i turisti di non dare mance ai loro accompagnatori, sono già comprese nel prezzo. Facciamo un confronto tra la durata del nostro massaggio e quello fatto ad altri, il nostro è durato molto meno e perciò niente mancia! Rimaniamo distesi sulla pietra per un po’, poi ci sediamo vicino alle fontanelle per bagnarci con l’acqua gelida. Andrea parla del “golden jeton”, decidiamo quali palle dire alle ragazze, non dobbiamo però esagerare altrimenti non ci credono. Ok, racconteremo che tra i massaggiatori c’erano anche delle donne, non troppo giovani e belle (sempre per non esagerare), a me è toccato un uomo mentre ad Andrea una donna sulla quarantina.
Stiamo all’interno dell’hamami un’ora abbondante dopo il massaggio. Abbiamo detto alle ragazze di trovarci all’entrata alle nove, passiamo allora in un’altra stanza nella quale facciamo una doccia fredda e ci vengono consegnati dei teli asciutti, ritorniamo poi nel nostro camerino che avevamo chiuso a chiave. Ce ne stiamo distesi a riprendere la temperatura ambiente; Andrea riceve una telefonata dalla mamma… siamo ancora vivi, tutto a posto! Ci rivestiamo e scendiamo nell’atrio, facciamo finta di non vedere i nostri accompagnatori per non dar loro la mancia (taccagni!!) e nello stesso istante escono anche le ragazze. Che tempismo! Ci scambiamo le impressioni, non credono che c’erano delle donne massaggiatrici; dopo il “falso” Acquedotto di Valente abbiamo perso ogni credibilità. Ci raccontano che si sono cambiate tutte in una stanza, noi invece avevamo il camerino personale. I Turchi hanno capito chi comanda!!!

Siamo stanchi, affamati e assetati, decidiamo di cenare vicino all’hotel. Percorriamo una stradina piena di ristoranti vicino la Cisterna Basilica, tutti ci invitano ad entrare ed alla fine scegliamo un bel locale. Il padrone si alterna tra la Spagna ed Istanbul, alle pareti troviamo appesi numerosi oggetti e giornali spagnoli, speriamo però cucinino solo pietanze turche. Il nostro cameriere si chiama Dino, è molto simpatico e gentile; abbiamo modo di scambiare quattro chiacchiere, è curdo. Gli chiediamo se adesso la situazione è tranquilla, dopo che la pena di morte inflitta ad Ochalan è stata commutata in ergastolo. È un po’ restio a parlare di questo, ad ogni modo ci dice che non ci sono problemi. Cena perfetta, in tutti i sensi, cibo e servizio. Facciamo conoscenza con un altro cameriere, quello che ci aveva convinto ad entrare. Sono molto più giovani di noi ma sembrano più vecchi. Loro ci danno meno anni di quelli che in realtà abbiamo, giungiamo tutti alla conclusione che loro sembrano più vecchi di quello che sono perché hanno incominciato a lavorare da piccoli, il lavoro li ha fatti invecchiare in fretta. Noi abbiamo studiato fino all’università, non abbiamo quindi avuto il tempo di essere “logorati” dal lavoro. Ci domandano se abbiamo progetti per Capodanno (ma è un vizio!), non sappiamo ancora che fare, li ringraziamo della compagnia e ce ne andiamo a dormire.

29 dicembre 2002
Facciamo colazione come sempre godendo di una vista mozzafiato, “Croci” è sempre in agguato, anche perché io ed Andrea siamo dei bastardi. Ogni volta che scendiamo alla reception Andrea, indicandomi l’opuscolo del locale nel quale vogliono assolutamente farci andare per “Natale”, mi dice ad alta voce che ci sarà una festa ed io mi mostro interessato. “What will you do for “Christmas”, we know a beautiful restaurant” ripetono ogni volta. Ad un tavolo, aggregata ad un gruppo di milanesi discotecari, siede una ragazza belga che fuma durante la colazione. Noi facciamo qualche commento ad alta voce, lei fa finta di non sentire o più semplicemente se ne frega. “Fumata” una sigaretta usciamo ed andiamo al Museo delle Arti Turche ed Islamiche che si affaccia sull’Ippodromo. Pochi sono i visitatori, immancabili i giapponesi che si soffermano sui particolari più strani. Rimaniamo all’interno per più di un’ora, il museo non è grande ma è comunque interessante: vi si trovano numerosi oggetti, anche sacri, e molti tappeti. Ritorniamo sulla piazza dell’Ippodromo, dove ci imbattiamo in una signora veneta di mezz’età che ha perso il suo gruppo da più di un’ora e non sa come usare il cellulare per chiamarli. L’aiutiamo non senza averla agitata ancora di più (“Signora, e le scarpe?”), verranno a prenderla fra un po’. Proseguiamo fino alla Via della Fontana Fredda che si trova vicino al Topkapi; sulla guida c’è scritto che potremo ammirare delle tipiche case ottomane. La via e le case sono state completamente restaurate, sono in pratica un museo all’aperto ma non ci piacciono un granché. Mentre vediamo di comprare delle cartoline si avvicina un gruppo di ragazzi, sono sicuramente italiani. Con grande sorpresa ne riconosciamo uno, è un compaesano di Andrea, c’è pure sua sorella, sono tutti delle nostre parti! Mai avremmo pensato di trovare qualcuno di conosciuto in una città di 14 milioni di abitanti! Hanno tutti preso un last minute, non si sono molto organizzati e sono un po’ spaesati: stanno cercando il Topkapi ma vanno nella direzione opposta. Gli diamo qualche consiglio, ormai noi siamo dei “veterani”, loro in cambio ci mettono in guardia sui furti di monete in euro (vedere sopra). Gli diamo così una copia del mio libretto su Istanbul; ci sono elencate tutte le cose da vedere, comprensive di orari, divise per categoria. Rimangono a bocca aperta di fronte a tante precise informazioni, incominciano a bombardarmi di domande, i commenti positivi si sprecano. Parliamo di viaggi, sento dire Andrea che so tutte queste cose perché lavoro sopra un’agenzia viaggi e “respiro” tutto il giorno queste cose.

Scendiamo al porto per capire come poter andare dall’altra parte dello stretto, a Uskudar, e come organizzarci per la gita sul Bosforo. Proviamo a chiedere delle informazioni ma i bigliettai non ci capiscono, scorgo però un foglio sul quale sono esposte le tariffe applicate e gli orari delle partenze di tutti i traghetti che partono dal porto Eminonu. Attraccate ci sono alcune barchette sulle quali dei pescatori stanno cucinando; molte persone stanno facendo la fila per comprare i panini con dentro il pesce alla griglia. Sembra buono e così lo proviamo anche noi. Stiamo particolarmente attenti alle grosse spine che si nascondono nel panino, volendo si può aggiungere anche del succo di limone. I traghetti che fanno la spola da una parte all’altra dello stretto arrivano in continuazione ed attraccando muovono violentemente l’acqua sotto i loro scafi; le barche con i cuochi a bordo ondeggiano pericolosamente, i pescatori sono costretti ad allontanarsi con le loro canne dal bordo della banchina e lo fanno maledicendo i comandanti. Un piccolo traghetto sta caricando delle persone, alcune straniere. Rimaniamo ad osservare la scena e subito veniamo invitati da alcuni turchi a salire sulla barca per un giro del Bosforo. Ci guardiamo, la gita sullo stretto era in programma e tanto vale approfittare dell’occasione che ci si presenta, tanto più che non abbiamo ancora capito a chi rivolgerci. Andrea chiede il prezzo, è alto, ed allora diciamo che non ci interessa. Abbassano il prezzo senza farsi sentire dagli altri turisti, contrattiamo un po’, la barca sta per partire e riusciamo così a spuntare un terzo del prezzo di partenza. Saliamo, vogliono far spostare delle anziane signore turche per farci sedere. Paola e Valesca trovano posto, noi invece li avvertiamo di non scomodare le signore e ci sediamo su delle casse.

Tira parecchio vento, per scaldarci ci portano del tè caldo. Paola mi chiede per l’ennesima volta se ho freddo; il mio giubbino può sembrare leggero ma non lo è affatto, serve per andare in barca e quindi io il freddo non lo sento. Costeggiano la sponda europea andando verso nord, ammiriamo i vari palazzi in stile europeo che i sultani ed i nobili si fecero costruire lungo il Bosforo. Il più imponente di tutti è il Palazzo Dolmabache, fatto costruire dal sultano Abdul Mecit per mettere a tacere tutti coloro che definivano l’Impero Ottomano come il “malato d’Europa”. Arriviamo fin oltre il Ponte di Fatih, il primo dei due enormi ponti fatti costruire negli ultimi decenni per collegare l’Europa all’Asia. Siamo proprio sotto e fa un certa impressione vedere ciò che ci sovrasta, è infatti il ponte sospeso più lungo d’Europa. Il sole sta ormai tramontando e le luci della città incominciano ad accendersi. Siamo molto lontano dal centro, lungo la costa si trovano delle caratteristiche case di villeggiatura in legno. La barca, tra un ondeggiamento e l’altro, inverte la rotta e costeggia ora la sponda asiatica. Quando le passano vicino delle imbarcazioni più grandi le onde prodotte ci fanno barcollare come un ubriaco all’uscita del pub. Penso ai titoli sui giornali: “Cento persone muoiono affogate sul Bosforo, tra loro anche alcuni turisti italiani” ed ancora “Tragica fine per quattro giovani italiani ad Istanbul”. Speriamo bene, che Dio ce la mandi buona! Arriviamo in porto che è ormai buio, le luci tremule della città risplendono e si specchiano nell’acqua. È tutto veramente affascinante, le moschee sono illuminate ed i ritti minareti sembrano dei razzi pronti a partire da un momento all’altro. Attracchiamo e quasi quasi mi inginocchio a baciare il suolo sul quale nuovamente poggio i piedi. Siamo stati fortunati, prima o poi qualcuno ci lascia le penne.

Lì vicino si trova il Mercato Egiziano o delle Spezie, cosiddetto perché un tempo si vendevano quasi esclusivamente le deliziose polverine che tanto sapore danno al cibo. Sono un appassionato di cucina etnica, non posso lasciarmi sfuggire l’occasione di acquistare qualche spezia per la mia dispensa. Il bazar, ora, vende anche altro e le spezie, pur presenti, non sono della migliore qualità. È diventato un posto per turisti ed i prezzi gonfiati rispetto a mercatini meno conosciuti lo dimostrano. Contrattiamo del tè alla mela spuntando un buon prezzo o almeno così crediamo. Valesca ed Andrea sono più avanti e provano a concludere qualche buon affare. Cerco di acquistare delle spezie ma tutti mi allontanano, offro loro di pagarle un prezzo troppo basso, le venderanno a qualche americano. Rischio di intossicarmi annusando un enorme sacco di polvere verde, credo sia una spezia che non conosco ed invece è naftalina! Vogliono tutti vendermi del caviale, quello vero, non quel surrogato che spesso si trova in Italia. Non ne capisco niente di caviale, per di più costa veramente tanto, sempre meno che in Italia e gli scaltri venditori non mi risparmiano i confronti tra i loro prezzi e quelli che trovo a casa. Insistono, insistono… ho deciso di far loro perdere un po’ tempo e mi fingo interessato, faccio loro numerose domande sulla qualità di ciò che mi stanno proponendo e sulle differenza tra i vari tipi di caviale: quello russo è salato ma quello iraniano, più costoso, è migliore. Confidiamo a Valesca ed Andrea che dal negoziante dal quale abbiamo acquistato il tè ha dei prezzi minori di quello con cui stanno contrattando. Ci trasferiamo tutti dal ragazzo di prima, “hallo, my friend”, “ti abbiamo portato degli amici, devi fargli un buon prezzo, anche migliore del nostro perché siamo assieme è questo è il secondo acquisto che ti facciamo”. Segue il solito gioco della contrattazione, al quale siamo particolarmente bravi, almeno rispetto agli altri turisti. Sicuramente se ci vendono la roba, anche loro fanno il loro affari ed infatti… Usciamo dal negozio ma rimaniamo nelle vicinanze tanto che osservo il ragazzo chiamare un amico e spiegare che ha fatto fessi 4 turisti, prima due che poi hanno chiamato i loro amici. Si accorge che lo sto guardando e fa finta di niente, lo chiamo è gli dico che è proprio un furbo, che mia nonna è turca (non è vero) ed ho capito quello che si sono detti. Sorridendo mi dice che lui non è turco, gli chiedo da dove viene e mi risponde di guardargli gli occhi e provare ad indovinare. Sono verdi, dico la prima cosa che mi viene in mente è ci azzecco subito: è curdo.Ritorniamo in albergo per riposarci. Prendiamo un taxi, destinazione Taxim. Il tassista non sembra dei più affidabili, probabilmente ci sbagliamo, non possiamo sempre giudicare una persona dall’aspetto fisico, tanto più che con il tassista di qualche giorno prima mi sono clamorosamente sbagliato. Sono seduto davanti, custodisco la “cassa comune” e tocca a me pagare taxi ed entrate ai musei e palazzi. Mentre Paola e Valesca scendono, allungo al tassista 10 milioni di lire turche ed aspetto i 4 di resto. Lui infila la mano nel giubbotto per prendere il resto, la ritira fuori e con indifferenza e fare arrogante si lamenta che gli ho dato solo 1 milione e che vuole il resto. Cosaaaa!!?? Dico ad Andrea che sono sicurissimo di avergli dato 10 milioni, non avevo altre banconote ed ormai non faccio più fatica a distinguere le une dalle altre che un po’ si assomigliano. “Give me my money back, don’t give me a shit” continuo a ripetergli ma lui fa finta di non capire. Andrea, che è rimasto seduto sul sedile posteriore, si sporge in avanti e come una iena gli mette una mano sulla spalla. Il tipo continua a mostrarmi delle banconote da un milione, perdo la pazienza e gli tolgo dalle mani una da 5 milioni, il mio resto. Voleva fregarci ed è rimasto fregato lui, mi sono preso di più di quello che mi spettava. Ci voltiamo, il tassista si è rassegnato. Avesse avuto ragione lui non ci avrebbe fatto andar via così tranquillamente. Le ragazze non si sono accorte di nulla, proseguiamo la serata ripetendoci eccitati quanto successo. I locali sono tutti pieni, troviamo un self service, il cibo sembra buono ed infatti, una volta assaggiato, possiamo confermare la prima impressione. All’uscita ritroviamo i nostri compaesani, anche loro sono riusciti a pagare il prezzo ridotto al Topkapi, qualcuno addirittura presentando la tessera della benzina (tessera senza foto e senza scritte con la quale, in Friuli Venezia Giulia, si può acquistare carburante ad un prezzo inferiore). Ci mettiamo d’accordo per la sera dell’Ultimo, ci sentiremo via sms. Ci incamminiamo verso il porto ma notiamo quasi subito una bella gelateria che si affaccia su Istikal Caddesi. MADO l’insegna, dobbiamo proprio provare il gelato turco!! Entriamo, siamo in difficoltà, le targhette che indicano i gusti sono in turco, qualcuna la intuiamo, grazie anche al colore del gelato, ma molte ci risultano sconosciute. Siamo indecisi ma per fortuna accorre in nostro aiuto il signore seduto alla cassa; è il proprietario del negozio o meglio uno dei soci ai quali appartengono quasi cento gelaterie sparse nel mondo, in particolare in quello arabo. Gli confidiamo che non capiamo il turco e siamo in difficoltà per ordinare. “Nessun problema” risponde lui, parla con il ragazzo dietro al banco il quale gli porge un cucchiaino con un po’ di gelato. Mi invita ad assaggiarlo, inizia così un simpatico siparietto, non faccio neanche in tempo a deglutire che mi porge un altro cucchiaio. Mi imbocca e uno dopo l’altro assaggio una quindicina di gusti. “Ora potete ordinare, tutti tranne lui” indicandomi “altrimenti gli viene male”. È gentilissimo, ci racconta come fanno il gelato, all’impasto aggiungono delle orchidee seccate e grattugiate, e forse è per questo che il gelato è un po’ colloso. A onor del vero è veramente buono, saporito, diverso dal nostro che invece si scioglie in bocca. MADO sono le iniziali del suo nome, Osman, e dei suoi tre fratelli. Ci chiede se Istanbul ci piace, gli rispondiamo che ne siamo entusiasti ed in particolar modo siamo ci colpisce la cortesia del popolo turco. Ci ringrazia per i complimenti, ma non ce n’è bisogno, stiamo passando proprio una bella vacanza grazie anche alle persone come lui. Ci fa assaggiare anche il salep, una bevanda a base di uovo e latte, molto calorica. Ci racconta che è stata inventata da un cuoco del sultano, doveva servire al monarca per “soddisfare” più di una donna del suo harem per notte.
Gli chiediamo se la città è tranquilla, se ci sono delle zone pericolose da evitare. Ci risponde che Istanbul è “really safe” e ci porge il suo biglietto da visita. Ci scrive sopra il suo numero di cellulare, “se doveste aver problemi chiamatemi, a qualsiasi ora, sono sicuro che, ad ogni modo, non ce ne sarà bisogno”. Rimaniamo a bocca aperta, questa proprio non ce l’aspettavamo, ci ha dato il suo numero di cellulare!!!! Andrea immagina che sia una persona conosciuta, o meglio “influente”; se possiede cento gelaterie dovrà per forza avere delle conoscenze importanti, magari nella malavita. Con noi è comunque stato gentilissimo, faremo il possibile per non doverlo disturbare.

30 dicembre 2002
Siamo tornati alla Yeni Camii. Il giorno prima c’eravamo passati, era ormai tardi ed abbiamo deciso di tornarci il giorno dopo. La moschea si trova proprio di fronte al Mercato delle Spezie e al ponte di Galata, sotto il quale numerosi e poco affidabili personaggi vendono merce rubata. Si trovano un’infinità di cellulari, per tutti i gusti, le marche ed i prezzi. La moschea è, a mio parere, una delle più belle. Magnifiche le piastrelle colorate di Iznik che ne decorano l’interno. Ce ne stiamo seduti, come sempre, ad ammirare l’immensa cupola. È l’ora della preghiera e numerosi accorrono i fedeli; in silenzio assistiamo nuovamente alle preghiere. Poco distante, in mezzo a un affollato mercatino rionale, venne costruita la Moschea di Rustem Pasa, il genero e Gran Visir di Solimano il Magnifico. La guida dice di fare attenzione, per entrarvi bisogna trovare una scala un po’ nascosta che porta ad un piano rialzato e poi alla moschea. Giriamo intorno per qualche minuto, la folla che riempie il mercato ci distrae e con un po’ di difficoltà troviamo la via alla moschea. È simile alle altre, o almeno è questa l’impressione che ci fa dopo aver visto molte moschee.
Dopo tanti luoghi musulmani è ora di visitare anche qualcosa di cristiano, Andrea ne sente il bisogno! L’antica Chiesa di Chora è stata trasformata in un museo, al suo interno si trovano dei bellissimi mosaici bizantini. Prendiamo un taxi e costeggiamo il Corno d’Oro fino alla chiesa. Proviamo con il solito gioco delle false tessere universitarie, questa volta però il bigliettaio è particolarmente attento. Le carte d’identità mia e di Paola vanno bene (??), le tessere universitarie (vere) di Andrea e Valesca non le può accettare, non hanno la foto. Valesca ha qualcosa da ridire, gli spiega che le hanno accettate dovunque e deve accettarle anche lui. Il tipo, che già prima non mi pareva dei più calmi e gentili, s’arrabbia; alza il tono della voce e commenta con l’amico accanto che questi stranieri sono proprio incredibili, non possono dire a lui cose deve fare. Mi giro verso Valesca ,”per l’amor di Dio, siamo noi in difetto con le nostre “false” tessere, vediamo di non combinar casini”. Paghiamo due biglietti ridotti e due interi, questa volta non ci è andata del tutto bene. L’interno è spettacolare, è quasi tutto ricoperto da bellissimi mosaici. La guida di Andrea è poco dettagliata relativamente alle varie mosche ed altri luoghi di Istanbul, ma è “miracolosamente” ed eccezionalmente generosa con questa chiesa. Era in regalo con “Famiglia Cristiana”, (“è quella Mondadori non l’ha scritta uno di Famiglia Cristiana!” – nota del proprietario) così si spiega tanta dovizia di particolari!! Andrea è contento, vuoi perché è finalmente entrato in una chiesa – “ne ho bisogno”, testuali parole – vuoi perché la sua guida, per una volta, ci fornisce più informazioni della mia. Passeggiamo con il naso all’insù ascoltando le spiegazioni di Andrea che ci decanta vita, morte e miracoli di tutti i santi e personaggi che abbelliscono pareti e soffitti di questa piccola ma incantevole chiesa bizantina. L’ora della “messa” è finita, andiamo in pace…

Siamo fuori, Andrea vuole assolutamente vedere la Moschea di Eyup, il discepolo di Maometto. Prima però, andiamo a mangiare qualcosa; arrivando abbiamo intravisto una semplice tavola calda e optiamo per una veloce rifocillata. Il posto non è molto carino, non troppo igienico – la peggior toilette di Istanbul l’abbiamo trovata qui – ma può andare. Ci portano, tra le altre cose, una minestra che sa di miele; secondo me ce ne hanno messo un po’ e ne chiedo conferma. Il cameriere però non capisce e chiama quello che credo sia il padrone, anche lui però non conosce la parola inglese “honey”, miele. Non rinuncio a sapere se ho ragione o meno e allora, incredibilmente, incomincio a mimare un’ape imitandone pure il ronzio e indicando la minestra. L’uomo è disperato, crede che dentro alla minestra ci sia una mosca o qualche altro insetto, si scusa e si offre di portarcene un’altra. “No, non c’è nessuna mosca, voglio solo sapere se ci avete messo del miele” continuo a ripetere. Per fortuna, altrimenti chissà quanto sarebbe andata avanti questa folle conversazione, interviene in mio aiuto uno dei francesi seduti al tavolo vicino. Ha sentito il discorso e intuito la mia curiosità, armato di vocabolario ci interrompe esclamando “bal”, miele in turco. Il mio interlocutore finalmente comprende e sorridendo mi informa che all’interno della minestra non c’è miele.

Un veloce salto alla vicina ed anonima Moschea del Sultano Mihrimah e saliamo nuovamente su un taxi per raggiungere la Moschea di Eyup dedicata al vessillifero ed amico di Maometto, una delle più importanti per i musulmani dopo quelle di La Mecca, Medina e Gerusalemme. Avevo letto che era un luogo da visitare ed Andrea ha fatto bene ad insistere; si respira un’aria particolare, più sacra che in altre moschee. Rispettosi, come sempre, dei luoghi sacri incontrati, ci prepariamo ad entrare togliendoci le scarpe e le ragazze coprendosi pure il capo. L’interno è grazioso ma ancora più interessante è la Tomba di Eyup, al suo piccolo e decorato interno alcune persone pregano in assoluto silenzio, altre piangono; mi sento un po’ in imbarazzo, forse stiamo disturbando. Un severo guardiamo controlla ciò che accade, vorrei fare una foto ma forse non si può, ci provo lo stesso ma chiedo il permesso prima di combinare pasticci. Il custode sorridendo mi autorizza ad usare la macchina, scatto due foto e ne esco subito dopo per non disturbare oltremodo. Dopo la visita, un tè caldo è quello che ci vuole. Ci arrampichiamo su per la collina alla ricerca del posto dove lo scrittore francese Pierre Loti adorava riposarsi e meditare. Attraversiamo a piedi un immenso cimitero, alcuni ragazzetti giocano e subito si avvicinano. Sono simpatici, ci accompagneranno fino al Cafè. Giro a loro la stessa domanda che poco prima una coppia di inglesi mi aveva fatto scambiandomi, credo, per turco: “cosa vuol dire “ruhuna fatiha” che sta scritto su tutte le tombe?”. Mi fanno degli strani gesti, imitano l’atto del mangiare e del dormire, credo voglia dire “riposa in pace”, similarmente alle tombe italiane, ma non ne sono sicuro. Sorseggiamo un tè seduti ad ammirare il panorama, c’è un po’ di foschia ma riusciamo comunque a renderci conto dell’immensità di questa città. Prima di ritornare in hotel Andrea ed io ci compriamo una papalina bianca, una di quelle che si portano durante le preghiere, ora si che siamo due veri turchi! Ci facciamo portare al Ponte di Galata sotto al quale si trovano un sacco di negozi e ristoranti. Veniamo fermati da un cameriere di un bel locale, ci vuole convincere a cenare da loro domani: hanno organizzato una serata con balli, musica ed un ottimo menù a base di pesce, il tutto per “soli” 40 $. Ha sbagliato persone, non ci frega niente di richiuderci in un locale e perderci lo spettacolo della città di notte… anzi aspetta, “siamo in diciassette, c’è posto per tutti?”. Si sfrega le mani, 17 “polli” tutti in una volta, e quando gli ricapita. Entro nel locale, mi fingo interessato, voglio sapere tutti i particolari: cosa mangeremo, cosa berremo, cosa balleremo… mi faccio pure dare il numero di telefono, parlerò con gli altri e poi li richiamo per decidere l’ora!

Stiamo tornando in hotel quando la nostra attenzione viene attirata da un bel negozio di tappeti. Valesca ed Andrea hanno già preso un bel kilim, hanno fatto un affare (50 euro) ed hanno potuto vedere la differenza tra un kilim in lana ed uno in sintetico. Il ragazzo che gliel’ha venduto parlava italiano, è laureato in giornalismo si è dato al commercio e per quanto abbiamo visto ci sa proprio fare! Ha studiato ed i discorsi di filosofia ed economia che ci ha fatto convincerebbero chiunque. Il padrone del negozio sembra gentile e ci invita ad entrare, anche solo per un occhiata. Fuori fa freddo e lui e un suo amico si stanno scaldando bevendo un tè caldo. È un signore distinto – lo si vede dal portamento – alto e magro, indossa una giacca ormai lisa, forse è un ex ricco ed infatti è così. È un nobile decaduto, un ex modello ed attore, una volta era ricco e conosciuto, degli investimenti sbagliati ed i cattivi consigli di qualcuno gli hanno cambiato la vita. È gentilissimo, ci fa vedere un sacco di kilim; uno è eccezionale, mai visto uno così bello negli altri negozi. Passiamo più di un’ora in sua compagnia, ci racconta della sua vita passata ed attuale. È una bella persona, gli stiamo però facendo perder tempo, non compreremo niente da lui ma non importa, siamo giovani e gli piace parlare con noi. Siamo entrati per caso ed ora ci troviamo in difficoltà, non perché lui insiste per venderci qualcosa ma perché è talmente gentile che ci dispiace andarcene senza comprargli niente. I prezzi, confrontati con quelli che si vedono in Italia per esemplari molto meno belli, sono bassissimi. Non sappiamo come fare per congedarci; gli confidiamo che siamo degli studenti (non è vero), che non abbiamo molti soldi e che ci dispiace veramente tanto ma non possiamo comprare niente. Capisce, ci sorride e con grande tristezza ce ne andiamo.

Siamo nuovamente in Piazza Taksim e scorgiamo alcune persone che, su un tetto di un grande albergo, corrono sui dei tapis roulant di una modernissima palestra. Siamo con il naso all’insù che osserviamo gli sforzi salutisti dei clienti dell’hotel quando veniamo avvicinati da dei ragazzini che si offrono di pulirci le scarpe. Non ne abbiamo nessuna intenzione, loro insistono e ci ripetono che abbiamo le scarpe sporche. Prendono di mira Andrea, mentre uno lo distrae un altro con un dito gli sporca la scarpa con della patina… ora è costretto ad accontentarli. Da opache diventano lucide, Andrea è tutto contento e ci confida che un suo sogno era quello di farsele lustrare… parole queste che gli costeranno care, qualche giorno dopo, infatti, le ritroverà irreparabilmente rovinate! (“è la polvere ad averle seccate irreparabilmente” – nota del proprietario).

31 dicembre 2002
È l’ultimo giorno dell’anno, ce la prendiamo comoda, anche perché questa sera si festeggia e non è proprio il caso di stancarsi troppo e poi stramazzare a terra durante i festeggiamenti per il nuovo anno. Nella hall ritroviamo “il gatto e la volpe”, hanno ormai desistito, non ci propongono la cena di “Natale”! O si sono accorti che Natale è già passato o hanno trovato altri polli da spennare. Scendiamo verso il porto per imbucare delle cartoline all’ufficio postale e così approfittiamo per prendere un altro delizioso frullato di frutta – con kiwi, mela, avocado, banana, carota, arancia e miele – in un bar vicino. Facciamo contento Andrea: saliamo sulla Torre di Galata, costruita dai genovesi nell’omonimo quartiere di Istanbul. La torre è massiccia, in cima all’enorme cilindro il vento tira forte ma non scoraggia i numerosi turisti che come noi si godono il panorama a 360 gradi. Restiamo per quasi un’ora ad ammirare la città vecchia con le sue innumerevoli ed immense moschee, il Topkapi è laggiù in fondo arroccato sulla Punta del Serraglio, decine di navi solcano lo stretto. Siamo al di qua del ponte, vagoliamo senza meta per le strade di Galata e di Taksim, ammiriamo con la luce posti che nei giorni scorsi abbiamo visto solo di sera. Pranziamo nell’amica Istikal Caddesi e con “lei” ci diamo appuntamento per la sera; è qui che ritroveremo i nostri compaesani per festeggiare tutti assieme l’arrivo del nuovo anno. Corriamo al Kapali Carsi, abbiamo deciso di trascorrere lì il nostro ultimo pomeriggio a Istanbul, non si sa mai che troviamo qualcosa di interessante da portare a casa. Non ho intenzione di comprare niente in particolare, se troverò qualcosa di veramente bello e non il classico souvenir allora metterò mano al portafogli. Le ragazze vogliono acquistare delle sciarpe di lana pashmina, io non so neanche cosa sia ma mi presto con piacere a contrattare per loro quando me lo chiedono. Trascorriamo gran parte del pomeriggio alla ricerca di queste benedette sciarpe; siamo tutti confusi, non capiamo più se è lana pashmina quella che tocchiamo o della semplice lana o peggio ancora sintetico. Sospettiamo che dietro ad ogni offerta ci sia la fregatura, abbassiamo talmente il prezzo che molti ci cacciano via credendo che li stiamo prendendo in giro. Discutiamo per mezz’ora con un giovane venditore nascosti nel retrobottega, ci sta facendo un prezzo “da bancarotta” e non vuole rovinarsi la piazza con gli altri clienti. Gli facciamo perdere tempo prezioso, da lui non compriamo niente, non ci convince. Alla fine le sciarpe le troviamo ma siamo così esausti che anche se fossero fatte di sughero non ce renderemmo conto! Ritorno dal signore che ieri mi ha venduto una maglietta, ne voglio una di un altro colore: “quindici euro!” mi risponde sicuro. “Ma come, non mi riconosci, sono quello di ieri”, “ahh…sì, ora ricordo… cinque euro”, “ma non s’era detto quattro”, “va bene, va bene, basta che te ne vai”. Faccio quest’effetto a quasi tutti i venditori del mondo; quando mi trovo all’estero mi trasformo, mi dimentico di quanto è cara la vita in Italia e quanto costa poco la roba in certi posti. Divento uno di loro ed incomincio a ragionare in rupie, yuan, bath… salvo poi rendermi conto, a cose ormai fatte, di quanto assurdo è stato contrattare mezz’ora per dieci centesimi di euro. Sono fatto così, ma mi riprometto di cambiare.

Torniamo esausti in hotel, il tempo per una rapida rinfrescata e via di corsa verso Taksim, dove ci aspettano i nostri amici. Siamo in 17, ci diciamo che non porta sfiga, che tutto andrà bene e che passeremo una piacevolissima serata. Tutt’intorno notiamo un sacco di polizia, alcuni agenti sono appostati sui tetti; speriamo non succeda niente, siamo pur sempre in un paese straniero e non capiamo un’acca di turco. Siamo realmente tanti ed è difficile trovare un posto dove cenare anche perché non abbiamo prenotato. Giriamo alla ricerca di un posto carino nel quale mangiare, è tutto pieno ed ad ogni modo non si trova un tavolo per 17… il numero porta sfiga! Proviamo in un self service e grazie all’aiuto di una ragazza turca che parla un perfetto italiano riusciamo a convincere i camerieri ad unire i tavoli per permetterci di sedere assieme. La cena è buona, forse non ottima come quella che ci proponevano il “gatto e la volpe”, ma almeno siamo in centro ed è qui che tutti gli abitanti di Istanbul si sono dati appuntamento per l’Ultimo dell’anno. Ripassiamo da M.A.D.O. per un gelato e per bere qualcosa; ci trovano un tavolo per quindici, due di noi hanno preferito farsi qualche birretta in un locale vicino. Non c’è Osman, questa sera, ci avrebbe fatto piacere rivederlo, diciamo al cameriere che avevamo conosciuto la volta prima di salutarlo per noi. In Istikal Caddesi, a migliaia, milioni si stanno dirigendo verso Piazza Taksim, il centro di tutta la festa. Tanti ragazzi fischiano a più non posso, è il loro modo di festeggiare il Capodanno; a noi sembra strano ma per un po’ li imitiamo. S’era detto di andare in piazza, ci proviamo ma siamo costretti ad arrestarci, la gente avanti a noi non si muove più. Qualche deficiente prova ad entrare comunque in piazza ma viene caricato dalla polizia ed è così che ci troviamo in mezzo ad una marea umana che ci travolge. Io e Paola siamo un po’ più indietro, intuisco in tempo quello che sta per succedere e così riusciamo ad indietreggiare ed a “spalmarci” su un muro di un edificio. Gli altri vengono travolti dalla folla che impaurita indietreggia; fortunatamente il tutto si risolve in un grosso spavento, nessuno si è fatto male e possiamo così continuare con i festeggiamenti.

Sorseggiamo una birra in strada, tutti i locali sono pieni e poi siamo in troppi. Tutt’intorno la gente continua a passeggiare lungo Istikal Caddesi; pur essendo musulmani festeggiano comunque il Capodanno, il “gatto e la volpe” ci avevano detto che non ci sarebbe stata troppa gente, si sbagliavano clamorosamente o forse lo hanno fatto per convincerci ad andare nel loro locale.

Tre, due, uno!!!! Auguri!!
È ora di tornare in albergo ma le strade sono tutte intasate, a milioni si sono messi in macchina e stanno scorazzando per la città. Facciamo un pezzo di strada a piedi, fino quasi al Ponte di Galata, poi prenderemo un taxi. Molti hanno avuto la nostra stessa idea, sembriamo un fiume in piena che scende dalla collina; il suono dei clacson ci accompagna durante tutto il tragitto. Salutiamo i nostri amici con l’augurio, magari, di ritrovarci il prossimo anno da qualche altra parte.

1 gennaio 2003
Siamo quasi giunti alla fine di una piacevolissima vacanza. Tutti mi avevano parlato bene di Istanbul, mi aspettavo quindi di arrivare in una bella città. Non si sbagliavano, Istanbul ci è piaciuta veramente tanto; non solo per le moschee o gli altri luoghi di interesse storico ed artistico, di Istanbul ci ha colpito la gente. Non avrei mai pensato di incontrare tante persone cortesi e simpatiche. Sento tanta gente che afferma con sicurezza che in posti come questo non ci metterebbe piede: troppo sporco, troppo caos, troppa gente “cattiva” e disonesta, per di più musulmana! Stesse parole per la Cina, l’India, il Sud Est Asiatico, l’Africa: “ma cosa c’è di bello?” mi sento più e più volte rispondere. I templi di Angkor, quelli di Pagan, il Borobudur, la Città Proibita e l’Esercito di Terracotta, il Taj Mahal… e per non parlare della gente, sempre disponibile e sorridente anche se non ha niente, degli odori e dei sapori tanto particolari. Mondi lontani, così diversi, per fortuna, dal nostro. Mi sento ribattere “Ibiza, Sharm el-Sheikh, Hurghada, Maldive, Mauritius” anche se di questi posti poi non hanno visto niente. O meglio, qualcosa l’hanno fatta: hanno scorazzato in lungo ed in largo per abominevoli villaggi turistici, sono rimasti sdraiati per ore ed ore sulle sdraio in spiaggia o peggio ancora in piscina, hanno divorato ogni giorno spaghetti e lasagne, hanno evitato accuratamente di mischiarsi con la gente del posto… insomma, non si sono mossi da casa!
Con questa gente non ci riesco più a parlare, una volta provavo a convincerli che oltre al mare ed ai negozi ci fosse anche qualcos’altro da vedere; ora mi limito a sorridere ed a pensare che per fortuna la globalizzazione di cui tanto si parla è ben lungi dal renderci tutti uguali.
Abbiamo un paio d’ore prima di spiccare il volo verso occidente, verso casa; decidiamo di spendere le ultime lire turche al Kapali Carsi. Corriamo come matti da una bancarella all’altra, io non compro niente, non c’è nulla che mi attiri particolarmente; Andrea mi fa notare che non ho acquistato souvenir come invece ha fatto lui. Lo so, dei posti in cui sono andato non mi sono mai portato dietro granché, se non il ricordo dei luoghi, degli odori, dei sapori, delle sensazioni provate.
Le ragazze vogliono un anello, io mi aggiro per il negozio ed ogni tanto intervengo nella contrattazione ricordando al negoziante che i turisti stranieri se ne stanno andando e che da domani non farà grandi affari, almeno fino ad aprile. Lo sa anche lui e ci farà un buon prezzo.
Sono lì immerso nei miei pensieri quando vengo interpellato da alcune signore turche di mezz’età: vogliono comprare un piatto e mi chiedono quanto costa (credo, ma non poteva essere altrimenti). Mi hanno scambiato per il negoziante e così rispondo loro “bir milyon”, un milione di lire turche, mezzo euro. Increduli guardano il mio “collega” che sorridente rivela loro che sono anch’io un cliente. Continuo a ripetere “bir milyon, bir milyon”, i signori divertiti stanno allo scherzo ed accettano il prezzo. Il vero negoziante è ora preoccupato e mi avverte che se vendo loro quel piatto per un milione il resto lo pago io. Compriamo l’anello, salutiamo il nostro amico, prendiamo un ultimo kebap con i pochi soldi rimasti e via verso l’hotel dove ci aspetta il ragazzo dell’agenzia per portarci all’aeroporto. Oggi piove, gli altri giorni il tempo è stato clemente con noi, siamo stati fortunati. Il pulmino sfreccia veloce lungo le strade zuppe d’acqua, sembra di stare su una slitta che scivola sul ghiaccio; penso che potremmo rischiare di schiantarci contro le altre macchine, sarebbe davvero un “peccato”. Arriviamo all’Ataturk Airport con largo anticipo, ci abbiamo impiegato metà del tempo grazie a questo “Montoya turco”.

Passiamo il controllo passaporti, saliamo sull’aereo e poco dopo decolliamo alla volta di Monaco. Atterriamo nel pomeriggio allo scalo bavarese, ci accorgiamo che accanto al bar c’è un dispensatore di tè e caffè gratis! Da bravi italiani approfittiamo dell’occasione, ci scoliamo tre caffè a testa con il pensiero che, forse, ce li faranno pagare prima di salire sull’aereo a “conduzione familiare” che ci riporterà a casa. Sani e salvi sbarchiamo all’aeroporto di Trieste, siamo in attesa dei nostri bagagli ed Andrea ci offre l’ennesima occasione per prenderlo in giro. Sta rovistando lo zainetto alla ricerca del passaporto ed ecco spuntare dalla tasca qualcosa che non avrei mai pensato si fosse portato dietro: un pacco di “santini” e una candela benedetta del battesimo che sua madre gli ha dato per proteggerlo durante il viaggio!!!!
Il “bulgaro” ha colpito ancora……