Leone al Serengeti
ngorongoro
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matemwe
Maasai
tarangire
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manyara
Leone al Serengeti
ngorongoro
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Maasai
tarangire
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manyara
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La serata scorre tranquilla, fremiamo un po’ per la partenza, non ci pare vero… Una veloce doccia, un caffè, e siamo all’aeroporto di Zaventem, in largo anticipo ovviamente, come tradizione di famiglia impone. Tranquillizzo Pier sulle performance degli aerei della Sabena (che ora si chiama SN Brussels), e sul fatto che con notevoli probabilità questa sera saremo veramente a Nairobi. Il tempo a Bruxelles è quello che ricordo di 10 anni della mia infanzia: cielo bianco e 16 gradi. Facciamo le ultime telefonate e gli ultimi saluti. Si parte, si parte sul serio. Arriviamo a Nairobi in 9 ore, un po’ stanchini, dopo un brevissimo scalo tecnico ad Entebbe, in Uganda. Nessun problema di sorta, se non l’albergo (Hotel Boulevard) che costa molto caro (75 $ la doppia) rispetto a quel che offre. La stanza è un po’ squallida ma pulita, come pulito è il bagno. Pier è distrutto dalla stanchezza. Al ristorante due ‘lucciole’ locali ci propongono una serata dopo soli 2 minuti di permanenza. Audaci. Vogliono tutti la mancia, la pretendono… sono tutti gentili ed allegri. Mangiamo qualcosa di caldo ed andiamo a dormire. Prima di coricarci ispezioniamo la stanza in cerca di zanzare, e ne ammazzo una grassa come un bue. Ci droghiamo quindi di Autan e poi a nanna.

27.07.2002 Nairobi – Arusha
Sveglia alle 6.40 dopo una notte infernale. Ci alziamo e finalmente conosciamo Lazarus (il tanzano con cui abbiamo programmato il safari da Roma), che ci aspetta nella hall. Facciamo colazione e partiamo. Il bus per Arusha è piccolo e scassato, ma il guidatore simpatico, e comunque la sistemazione è confortevole. Lasciamo Nairobi con una sensazione di sollievo. Il clima non è proprio dei più pacifici, e la gente sembra molto losca. Appena oltrepassata la bidonville, il paesaggio cambia radicalmente: la città lascia il posto ad una radura sconfinata e brulla. Vediamo di tanto in tanto dei villaggi con case di fango, non proprio invitanti ma molto strani. Guardiamo. Il viaggio procede benissimo: facciamo amicizia con Isaac, il guidatore pazzo, e restiamo molto colpiti dalla bellezza della natura circostante. Ogni dieci metri, sul bordo della strada, vediamo degli enormi termitai, rossi ed imponenti. Vediamo moltissimi maasai con le loro mandrie di zebù. Alcuni di questi pastori sono piccolissimi, non avranno più di 10 anni…

Dopo la frontiera con la Tanzania il paesaggio cambia di nuovo, e diviene man mano più verde. L’odore è avvolgente, un misto di spezie, carbone, legna e qualcos’altro che non riesco a definire. E’ tutto molto, molto bello. Incrociamo delle gazzelle, e da lontano vediamo – enorme – il monte Meru. Arriviamo ad Arusha e restiamo a bocca aperta: la città è verdissima, piena di fiori, colori ed odori diversi. I locali sono bellissimi, gentili e cordiali, soprattutto con noi due, e soprattutto quando sanno che siamo italiani. L’hotel prenotato da Lazarus è molto grazioso, si chiama “Il Mezza Luna”, ed è gestito da una coppia di italiani, Raffaele ed Adriana, lui napoletano e lei piemontese. La camera doppia costa 45 dollari, e l’albergo è famoso ad Arusha perché pare che la cucina (di Raffaele) sia deliziosa e la pizza come quella che si mangia da noi. Mangiamo infatti del pesce freschissimo e buonissimo. Pier è contento, come lo sono io. Dopo la settimanale pastiglia di Lariam dormiamo un’oretta e poi andiamo a passeggio per la città. C’è un casino pazzesco, gente ovunque, ragazzi che cercano di vendere qualsiasi cosa, donne che portano pesi (soprattutto frutta), e dalla-dalla in tutte le strade che suonano il clacson senza interruzione per raccogliere gente. La passeggiata non dura moltissimo. Al nostro ritorno conosciamo finalmente Erika e Matteo, i 2 italiani che faranno i 6 giorni di safari con noi. Non li ho mai visti, ma sono riuscito a conoscerli per caso su internet, dopo aver prenotato il safari di gruppo alla cieca, ed aver saputo che il nostro era un gruppo di 4 italiani. Loro hanno preso un volo da Amsterdam all’aeroporto del Kilimangiaro, ed ovviamente sono esausti come noi ieri. Eravamo molto preoccupati di stare 6 giorni con due sconosciuti, quindi restiamo piacevolmente sorpresi, sembrano due persone molto tranquille. Andiamo a letto dopo un altro pasto luculliano, anche oggi stanchi morti.

28.07.2002 Arusha – Parco Nazionale del Tarangire
E’ il nostro primo giorno di safari. Ci viene a prendere Lazarus, che ci porta nel suo ufficio di Arusha. Più che un ufficio in realtà è una baracca, in una delle tante strade sterrate intorno al centro. Conosciamo così Maasai, la nostra guida nonché esperto di safari. Un maasai che si chiama Maasai… bella fantasia. Partiamo quindi verso le 10.30 da Arusha, con una Land Rover scassatissima, ma funzionante e robusta. Carichiamo viveri e bagagli sul tetto e lasciamo la città. Mezz’ora dopo l’inizio della spedizione, la macchina si ferma: il carburatore è sporco. Siamo ovviamente FELICISSIMI di questo “inconveniente” e già pregustiamo tutte le disavventure conseguenti, visto che con una macchina così non andremo molto lontano. Si avvicinano dei maasai da alcuni villaggi vicini al bordo della strada. Sono alti e belli, alteri e serissimi. Ci spaventiamo quando vediamo uno di loro con un macete grosso come una racchetta, nascosto sotto la maglia. Insomma, ci sentiamo un po’ intrusi ed in pericolo. “Povero Pier”, penso ogni tanto, però penso pure che esperienze del genere siano molto formative e rimangano indelebili per molto tempo. Arrivano nel frattempo anche molti bambini, tutti piccolissimi e belli, con degli occhi enormi che ti scrutano e che solo quando riesci a far sorridere rivelano la loro tenera età. Maasai ripara l’auto nel giro di un’oretta e si riparte.

Arriviamo nel Parco Nazionale del Tarangire verso le 12,30. Consumiamo il pranzo al sacco (che io e Pier apprezziamo molto) ed entriamo, affamati di animali. Iniziamo a fotografare degli enormi baobab e dei termitai, con Maasai che ci prende in giro, proprio non capisce cosa troviamo di tanto bello nei termitai. Il panorama è unico: una sterminata savana con erba molto alta, tantissimi alberi d’acacia, cactus e palme. Vediamo subito delle zebre, ma andando oltre sul sentiero ad un certo punto tutto si ferma: un’intera famiglia di elefanti attraversa la strada. Sono meravigliosi, restiamo tutti di stucco. Sono molto vicini, ma ci ignorano completamente, continuando a brucare. Hanno la pelle grinzosissima, uno sguardo molto placido e sereno. Ne incontreremo tantissimi durante tutto il percorso nel parco. Ovviamente comincio a fare ottocento foto, proprio non riesco a trattenermi, è più forte di qualsiasi altra cosa. Vediamo marabù sul fiume Tarangire, e poi impala, gnu, giraffe ed altre gazzelle. Scendiamo dall’auto per una pausa e veniamo circondati da una ventina di babbuini. Insomma, un momento fortissimo, intensissimo. Il posto è unico, al di sopra di tutte le aspettative: una tempesta di stimoli sensoriali, di colori e di grandezza. Il cielo è enorme, colmo di nubi ma luminosissimo, tutto è colorato. Un paesaggio davvero insolito, nuovo, con odori, luci e suoni a noi alieni. Tutte queste emozioni ci stancano prestissimo. Da quando siamo arrivati a Nairobi, ci sentiamo stanchi e molli molto facilmente, dobbiamo ancora entrare nei ritmi di sonno, e poi la situazione unica ti succhia tutte le energie. Pier rimane colpito quanto me e si rilassa.

Ripartiamo quindi averso Mto Wa Mbu, un piccolo villaggio vicino al Lake Manyara, in cui passeremo la notte. Mto Wa Mbu (che in swahili significa “Fiume delle Zanzare”) è un posto delizioso, con tantissimo verde. Abbiamo delle stanzette che a me piacciono molto. Ci spaventiamo subito per la quantità di zanzare, che effettivamente sono moltissime e soprattutto avvelenatissime. Ci riempiamo quindi di Autan, e Pier passa tutto il tempo a chiedersi se, per quella volta, sia stato graziato dalla malaria. Abbiamo 2 letti comodi, con delle zanzariere che fanno molto giungla tropicale. Insomma, anche quest’atmosfera ci spiazza per l’ennesima volta. Sogno l’Africa da sempre, e poco ricordo del primo viaggio in Kenya, di tanti anni fa, e tutti i pensieri fatti finora sono stati di gran lunga lontani dalla realtà. L’impatto è mostruoso, siamo investiti da pensieri e percezioni mai provati. La Natura e la gente ci schiudono la vista a novità taglienti, senza mezzi termini, esageratamente colorate e nette. In camera dopo cena riusciamo a creare una bella atmosfera: accendiamo due piccole luci nelle zanzariere ed ascoltiamo musica. Nella camera entrano le luci ed i rumori della notte. Domani sveglia alle 6,30. Pier sarà isterico.

29.07.2002 Lake Manyara National Park
Come previsto, Pier è isterico. Facciamo colazione e partiamo per il Lake Manyara. Ci sono molte nuvole, ma anche con il cielo coperto l’atmosfera è piacevole, mai uggiosa. Arriviamo all’ingresso del parco ed il panorama si trasforma completamente: il lago è circondato da una fittissima e verdissima foresta tropicale, con piante di tutti i tipi. Naturalmente vediamo anche qui tanti animali: oltre a decine di elefanti, alcuni dei quali a 3/4 metri dalla jeep, vediamo giraffe, centinaia di babbuini, zebre, gnu, impala in quantità, dik-dik ed uccelli di mille tipi diversi. Attraversiamo di frequente alcuni ponti su ruscelli, che offrono scorci veramente da mozzare il fiato. Di tanto in tanto vediamo delle enormi tartarughe sulle sponde dei corsi d’acqua. Di leoni nessuna traccia. Arriviamo quindi sulla riva del lago: Maasai ci porta lentamente all’interno di una radura verdissima, enorme, piena di bufali e di gnu. Il panorama è unico anche questa volta, sembra di essere entrati nell’eden. Una pace ed un silenzio così immacolati non li avevo mai vissuti. Siamo tutti e quattro molto impressionati, restiamo muti per un’abbondante mezz’ora, rapiti dalla potenza smodata di queste immagini, e di questa vita, rigurgitante d’energia e di colori. Anche Pier è colpitissimo, ma non potrebbe proprio essere altrimenti. Iniziamo anche a sviluppare un buon rapporto con Matteo ed Erika, che si rivelano due persone tranquillissime, affabili, e per nulla pesanti. Insomma, iniziamo ad entrare nel vero piacere del viaggio, a comprendere il luogo, ad amarlo per tutto quel che ha da offrire. Da una pozza vediamo sbucare un ippopotamo, e ne vediamo a decine anche all’interno del lago. Sono enormi, lunghissimi, quasi immobili nella loro acqua. Proseguiamo per altre tre ore e poi – finalmente – scegliamo un albero sotto il quale mangiare. Inutile dire che, malgrado tutte le raccomandazioni che le guide avevano dato circa il tema verdure crude, mangio un panino imbottito solo di verdure crude. Gli altri fanno simpatici commenti sulla sicura diarrea durante il campeggio nel Serengeti dei giorni successivi dovuta a questo mio piccolo “sgarro”. Finiamo di pranzare, e lasciamo il parco, forse un po’ prematuramente, ma al momento giusto per riposare un po’ nelle nostre deliziose stanze.

Tornati a Mto Wa Mbu, assistiamo ad uno spettacolo: una partita a calcio in un vero campo da calcio, erbosissimo, sovrastato da un cielo viola e circondato da una fitta foresta. Una scena surreale. Arrivano tantissimi bambini, ci salutano tutti e si lasciano fotografare, si siedono vicino a noi e ci guardano per minuti interi. Prendo delle penne portate da Roma e le porgo ai bambini, che fanno quasi a botte per accaparrarsele. La scena è molto forte e resto piuttosto scosso dall’accaduto. Qui la gente non ha proprio niente, ed i turisti sono pochissimi. Quando ti fermi a guardare una bancarella a loro non pare vero, ti riempiono di chiacchiere e non ti lasciano andare finché non hai comprato qualcosa. Ceniamo quindi anche stasera con Maasai. Ottima cena, come sempre. Abbiamo una lunga discussione con lui circa la cultura maasai, le loro usanze, la loro mentalità. Parliamo di circoncisione ed infibulazione, e lui spiega come questa pratica sia vissuta dai maasai, quale importanza assuma nella vita di ogni singolo individuo, e di come stiano (grazie al cielo) cambiando le cose anche all’interno del popolo Maasai, molto chiuso e geloso delle proprie tradizioni. Insomma, Maasai ci insegna tantissime cose, ci apre gli occhi su un mondo ed una realtà totalmente al di fuori dei nostri canoni e delle nostre abitudini. Siamo tutti e quattro molto contenti di essere capitati con una guida come lui. Andiamo a letto presto anche stasera.

30.07.2002 Mto Wa Mbu – Serengeti National Park
Sono le 21. Sto scrivendo ora dalla tenda di Lazarus, all’interno di uno dei campeggi nel Parco Nazionale del Serengeti. Stiamo tutti morendo di paura, siamo veramente all’aperto. Non ci sono staccionate, né guardie armate, né luci artificiali all’infuori delle torce, né fuochi accesi per allontanare gli animali. Siamo nel mezzo di un enorme parco, una savana di 15 mila chilometri quadrati, pullulante di vita. Il parco naturale più famoso al mondo, una vera meraviglia.

La giornata è stata faticosa. A dire il vero stamattina all’ingresso del parco siamo rimasti un po’ delusi: dopo la varietà del Manyara, questo Serengeti ci è apparso un po’ vuoto, arido e polveroso. Però abbiamo incrociato finalmente uno splendido ghepardo, un gruppo di leoni, delle iene e degli ippopotami. Insomma, la sostanza c’è eccome, è solo che il parco è molto meno verde e meno colorato rispetto al lago Manyara, e quindi sembra più scarno. Durante il giorno appena trascorso siamo passati in tantissimi posti: per la Riserva di Ngorongoro, che ci ha regalato delle vedute di gran lunga superiori a tutte le altre (e che rivedremo per bene solo a partire da dopodomani). Sulla strada abbiamo incontrato anche il villaggio di Karatu, sulle montagne circostanti il cratere. Molto bello il villaggio, splendidi i paesaggi e la vegetazione. La gente di montagna sembra molto più tranquilla, serena. Anche l’atmosfera nel villaggio è più ovattata e placida, ci sentiamo molto sereni ed interagiamo in continuazione con tutti i locali, è una cosa stupenda.

Salutano sempre tutti (“JAMBO”), e tutti lo fanno con il sorriso. E’ gente splendida, vera, gentile e piacevolissima da guardare. I bambini sono tantissimi, ognuno ci sembra più bello dell’altro. Guardiamo ed assimiliamo quanto possiamo, e restiamo sempre più colpiti dalla bellezza, che qui è ovunque. Maasai ci porta anche in un villaggio maasai. Un vero villaggio, con capanne di fango e staccionate in legno. I maasai nel villaggio sono tantissimi, preparano un canto ed una danza per noi. Pier è rapito dal posto, come lo sono io. Compriamo un po’ di braccialetti ed oggetti diversi, e contrattiamo sul prezzo con tutti. Entriamo in una capanna maasai, anche Pier ci segue, entusiasta. Lui che aveva tanti dubbi…
Il ragazzo maasai con cui parliamo si chiama Lazarus (come quello dell’agenzia). Ci spiega un po’ di cose sulla loro cultura, sui valori in cui credono, ci mostra la capana, in cui vive con tutta la famiglia, fatta solo di legno. Ci porta di seguito nella scuola dei bambini. Sono tutti in divisa verde, belli anche loro come gli altri bambini incontrati finora. Cantano per noi una bellissima canzone, con la loro vocina tenera, ed osservandoli mi accorgo che usano quaderni molto rovinati, con le pagine marroni e completamente lise. Pier si commuove molto. Questo viaggio lo sta cambiando, come sta cambiando me: è come se stessimo rimescolando tutte le carte, rimettendo in gioco tutti i valori in cui crediamo. Siamo per l’ennesima volta sconvolti dall’intensità di ogni singola emozione. Lasciamo il villaggio maasai con il cuore in gola.

Arriviamo nel Serengeti verso le 16,30. La natura è molto più cruda, selvaggia ed arida. Ma è proprio il posto in cui troviamo l’Africa delle immagini che conosciamo, l’Africa dei documentari e delle riviste: l’Africa com’è nell’immaginario collettivo. Passiamo velocemente per le strade sterrate ed arriviamo in campeggio. Al nostro arrivo vediamo due enormi giraffe proprio nel posto in cui Maasai ci dice che monteremo la tenda. Ci sono dei babbuini e degli impala. Iniziamo a chiederci se tutto ciò sia vero: siamo in mezzo alla natura, senza alcuna protezione, lanciati in un universo senza mezze misure. Abbiamo ‘un pò paura’, e lo diciamo a Masai, che ci ride in faccia e rassicura: gli animali non attaccano le tende, non lo hanno mai fatto e non lo faranno mai. Gli crediamo, ma ad ogni modo continuiamo ad avere paura. Ci buttiamo in tenda verso le 21. Buona notte!!!

31.07.2002 Serengeti National Park
La notte è stata splendida. Mi sono svegliato un paio di volte con l’adrenalina a mille: ho sentito i leoni ruggire, neanche troppo lontani… Ci sono e si fanno sentire. Dei babbuini si sono litigati la spazzatura ed hanno fatto un baccano pazzesco a pochi metri. Abbiamo sentito delle iene urlare dentro il campeggio, ed uccelli notturni da tutte le direzioni. I grilli che imperavano fino alla mezzanotte, sembra quasi che il ruggito del leone li abbia zittiti. Insomma, la nostra notte africana si è rivelata in tutto il suo splendore. Masai ci ha svegliati alle 6. Nessuno di noi ha dormito a sufficienza, ma nel Serengeti il picco di animali c’è a quest’ora, quindi dobbiamo andare. Usciamo in Land Rover, ed abbiamo molto freddo. Il cielo è di nuovo completamente nuvoloso. Pazzesco. Il parco è vuoto. Non vediamo nulla per quasi mezz’ora, solo qualche erbivoro, che ormai non guardiamo neanche più. Vediamo degli alcefali con degli impala, ed all’improvviso spunta dall’erba un’intera famiglia di leoni. Sono nove in tutto, sette femmine e due maschi. Ci passano accanto, sono ad un metro dalla macchina, prima una delle leonesse, poi un grosso maschio. Sono a caccia, ed hanno adocchiato gli impala di cui sopra. Sono giganteschi e fanno veramente paura, con uno sguardo freddo e duro. Lo stesso sguardo dei maasai che abbiamo incontrato nel villaggio. Li guardiamo per un’ora intera, godendoci lo spettacolo, come sempre esagerato. Torniamo per la colazione e ripartiamo in cerca di animali fino all’ora di pranzo. La giornata è stata interamente dedicata al safari, veramente molto stancante, soprattutto dopo la sveglia del mattino, che ha lasciato un alone spettrale sulla faccia di tutti. Rientriamo in campeggio verso le 2 di pomeriggio, e, dopo aver impacchettato tutto, ci dirigiamo finalmente al Seronera Lodge, per la prima notte di lusso che ci concediamo da quando siamo arrivati in Africa.

Il lodge è bellissimo, incastonato nella roccia, offre panorami da sogno e colori veramente saturi. Ci sono un sacco di animaletti che vagano per il lodge: un branco di piccole manguste striate, ed una marea di iraci (procavie). Delle lucertolone rosse e blu (come le matite di quando andavamo a scuola) ogni tanto si avvicinano in cerca di cibo. Lo scenario è molto suggestivo ed accogliente, il terrazzo del lodge offre una vista incredibile della savana. Ci sediamo ad un tavolino e beviamo caffè scorgendo giraffe tra gli alberi della pianura, e poi ancora zebre, gnu, elefanti… Per la cena mangiamo nel ristorante del lodge, che prepara cucina internazionale. Il posto è più che confortevole, ma a dire il vero non ci piace troppo l’atmosfera un po’ impersonale. Stavamo molto meglio a Mto Wa Mbu, in mezzo alla gente vera.

01.08.2002 Serengeti National Park – Ngorongoro Conservation Area
Questa giornata di giovedì è stata sicuramente la più stancante. Abbiamo girato tutta la mattina nel Serengeti, mangiando tonnellate di polvere. Stamattina ha iniziato a tirare un vento pazzesco che, se da un lato ha pulito il cielo (finora quasi sempre nuvoloso), dall’altro ha fatto sì che gli animali se ne siano rimasti al riparo tra le fronde o l’erba alta. Infatti non vediamo quasi nulla, giusto un paio di leoni (madre e figlio) e le solite gazzelle, impala, giraffe, e via dicendo. Torniamo nel campeggio per il pranzo, e partiamo alla volta di Ngorongoro. Il viaggio è lunghissimo (4 ore) ed estenuante, la strada è molto sconnessa e piena di buche. In realtà è la stessa strada che abbiamo fatto all’andata, ma questa volta la sentiamo tutti molto più faticosa. Ho, tra le altre cose, la mia prima crisi di diarrea, proprio in macchina… Sono il primo a cadere, anche perché fino ad oggi non mi sono trattenuto su nulla: ho mangiato tutto con gusto ed in quantità. Sono costretto a cercare un bagno in un campeggio in prossimità del lodge a Ngorongoro. E’ un malessere molto lieve, per fortuna. Arriviamo nel lodge anche stasera, e siamo molto colpiti dalla quantità di gente che vi troviamo. Il panorama, anche da qui, è stupendo. Il lodge si affaccia infatti sul cratere, che è uno spettacolo. Siamo a 2000 metri di altitudine e c’è un freddo mostruoso, di montagna, ma all’interno del lodge c’è un enorme camino con dei grossi tronchi che bruciano. Maasai ed il cuoco Anthony non possono stare a cena con noi: qui è proprio vietato far entrare le guide con i turisti. Siamo tutti e quattro molto dispiaciuti, è un’altra regola razzista assurda imposta dagli occidentali.

Conosciamo durante la serata una signora irlandese molto gentile (tale Janet), che parla per tutta la sera e, da cattolica praticante, ci dà la sua benedizione. Non immaginiamo in quel momento che la benedizione avrebbe dato i suoi risultati già dal giorno seguente. Andiamo quindi a dormire, ed io sono molto contento che sia l’ultima notte che passiamo in un lodge.

02.08.02 Ngorongoro – Arusha. Fine safari
Una giornata massacrante anche oggi. Ci svegliamo alle 6, presto anche oggi, per esplorare il parco di Ngorongoro, che sorge in fondo ad un cratere all’interno di una riserva naturale più vasta. La zona la conosciamo già, ci siamo passati due giorni fa, ma è un piacere rivedere quella meravigliosa foresta tropicale. C’è un piccolo particolare che ci era sfuggito: a Ngorongoro ad Agosto c’è la stessa temperatura di Aosta a febbraio. Un freddo becco, umido e pungente. Nebbia fittissima e molto bassa. Ci spaventiamo un po’, ma accettiamo di buon grado la levataccia. Neanche Pier fa molte storie. Sfortunatamente Maasai arriva con due ore di ritardo: la macchina si è rotta nuovamente, e lui è rimasto bloccato per una buona mezz’ora dalle riparazioni (la maledizione di Janet dà i primi segni). Quindi partiamo, e scendiamo nel cratere. C’è tantissima gente, sembra di essere allo zoo. Il freddo limita gli avvistamenti, ma la cornice è meravigliosa, e di animali ce ne sono molti. Scorgiamo, tra le tante cose, la schiena di un rinoceronte che riposa tra l’erba. Ci sono almeno dieci macchine che puntano l’animale, con tantissimi turisti che ammirano la rarità. Il parco è molto bello, proprio come lo descrivono nelle guide e nei documentari, ma noi ci siamo un po’ rotti: siamo stanchi, sporchissimi, abbiamo un freddo terribile e vogliamo riposare un po’. Anche Maasai è arrivato al capolinea, il safari è durato tantissimo anche per lui, molto resistente e selvaggio. Torniamo quindi ad Arusha in quattro ore. Un percorso – neanche a dirlo – estenuante. Con molto piacere ripassiamo per Mto Wa Mbu, salutiamo i ragazzi conosciuti quattro giorni fa, ed arriviamo quindi a destinazione verso le sei. E qui comincia la nostra prima serata sfigata. Lazarus ha prenotato un albergo in centro città che è davvero tremendo e costa 20 dollari a testa. L’hotel è sporco, brutto, squallido, l’accoglienza è pessima, ed a noi ovviamente il tutto prende molto, molto male (e noi di nuovo imprechiamo contro Janet). Facciamo una veloce doccia (fredda) ed andiamo a cena al Mezza Luna. Salutiamo la Signora Adriana e ceniamo benissimo, malgrado la lagna dell’orchestrina che offre musica tutte le sere nel ristorante. Per dieci minuti sopportiamo di buon grado il sottofondo musicale, ma al quinto “Jambo, jambo bwana, hakuna matata” vorremmo eliminare fisicamente tutta l’orchestra.
Torniamo nella topaia, ed entrando in camera ci accolgono due scarafaggi grossi come noci. Un vero schifo, questo è troppo. Prendiamo quindi la decisione di lasciare l’albergo e cercarne un altro. Sono le 22, siamo stanchi e nervosi, Arusha è una città pericolosa, buia e molto losca. Ma non ce ne frega nulla: prendiamo un taxi e torniamo al Mezza Luna: la Signora Adriana ci aiuterà a trovare un’altra sistemazione. Da loro è tutto pieno. Miracolosamente troviamo posto in un albergo gestito da una donna francese (Le Jacaranda), che affitta stanze pulitissime, enormi e molto carine a 55 dollari (la doppia). Il posto è decisamente grazioso, ci riprendiamo tutti e ci addormentiamo molto più sereni. Anche Pier si tranquillizza e dorme come un bambino. E’ mezzanotte e non dormiamo a sufficienza da giorni.

03.08.2002 Arusha – Moshi
Sveglia alle otto. Facciamo una veloce colazione ed avvertiamo Lazarus del cambio d’albergo della serata precendente. Ci viene a prendere alle 9,30. Sorprendentemente, riusciamo grazie a lui a recuperare i soldi della topaia che ci sono stati estorti il giorno prima (in tutto 80 dollari). Siamo molto felici e recuperiamo anche fiducia nei confronti di Lazarus. Andiamo in banca a prelevare dei soldi e poi prendiamo un minibus per Moshi. E’ uno spettacolo. Siamo gli unici bianchi in mezzo ad una quarantina di tanzani, e l’autobus è stracolmo. L’autista (pazzo come tutti gli autisti qui) corre e guida come un incosciente, ma (non so come) arriviamo a Moshi dopo un’ora scarsa. La città sembra molto più tranquilla rispetto ad Arusha, più verde e pacifica. Troviamo posto al Bristol Cottages Kilimanjaro, un albergo molto grazioso e pulitissimo, con piccoli cottage immersi nel verde di un grande giardino. Insomma, anche oggi siamo soddisfatti dalla sistemazione. Moshi ha un’atmosfera molto orientale: si vedono molti indiani, e le costruzioni sono un po’ meno vetuste di Arusha. Anche la gente sembra più accogliente, non ti saltano tutti addosso come ad Arusha, anche se ad ogni modo siamo avvicinati di continuo da ragazzi che ci propongono trekking sul Kilimangiaro, e che vogliono parlare, conoscerci, comunicare. Gli italiani stanno molto simpatici a tutti, e tutti si sforzano di dire qualche parola nella nostra lingua. Conosciamo un ragazzo rasta, che ci segue durante tutto il giorno in città. E’ molto simpatico, anche se un po’ invadente, e ci propone una serata per domani in un locale dove suona. Durante il pomeriggio sbrighiamo un sacco di faccende importanti: prenotiamo l’autobus per Lushoto, telefoniamo a casa (mio papà è felicissimo di sentirmi) e prenotiamo la “scalata” sul Kilimangiaro. In realtà più che una scalata è una riposante passeggiata di quattr’ore, organizzata con una guida che ci accompagnerà durante tutto il tragitto nella foresta tropicale ai piedi della montagna. Di sera, mangiamo velocemente del pollo tandoori in albergo, e poi a nanna.

04.08.2002 Kilimangiaro
Sveglia alle 7. Abbiamo dormito benissimo, l’unico problema è stato il Lariam, che abbiamo preso ieri e che ci ha fatto male più delle volte precedenti. Abbiamo mal di testa e siamo rintronatissimi, non è una bella sensazione… Ad ogni modo, ci alziamo e ci vengono a prendere alle 8, con una Land Rover identica a quella di Maasai. Arriviamo a Marangu dopo 40 minuti. La strada è molto bella, c’è una fitta vegetazione sui bordi, molto folta ed allegra. Ci sono parecchie nuvole anche oggi, ma ci dicono che è normale in questo periodo dell’anno. Siamo proprio sfigati, neanche riusciamo a scorgere il Kilimangiaro, è completamente avvolto dai vapori. Vabbè…
All’ingresso del parco c’è anche moltissima nebbia, fa freddo ed è tutto bagnato. In compenso Marangu è uno spettacolo: un villaggio immerso in un’enorme piantagione di banani. Qui coltivano solo banane, ovunque solo ed esclusivamente banane. L’atmosfera è molto piacevole, e con Pier riusciamo finalmente a comprare un maglione, che paghiamo pochissimo, in una bancarella all’ingresso del parco. Il mio mi viene ceduto da uno del posto, che mi dà proprio il suo pile per 10 dollari. Se lo sfila e me lo passa…
Iniziamo la passeggiata sul sentiero che porta al primo rifugio (il Mandara Hut), e ci addentriamo in una fitta foresta con alberi altissimi, molta umidità, e soprattutto molto fango. Il sentiero è il più semplice (lo chiamano “Coca-cola Route”), la salita molto lieve e piacevole, anche se l’umidità si condensa sui vestiti, e passando sotto gli alberi cade in continuazione l’acqua accumulata sulle foglie. Facciamo 4 km, e poi con Pier decidiamo di fermarci e tornare indietro. La strada comincia ad essere troppo fangosa, ed io ho serie difficoltà a procedere. Più che difficoltà contingenti, sono un po’ preoccupato per la gamba che ho fratturato mesi fa, che non fa male, ma inizia a dare i primi cenni di stanchezza. Il tragitto di ritorno è breve. A Marangu incontriamo il guidatore della Rover (Victor) che ci porta a Moshi per 20 dollari. Non sono pochi, ma l’idea di tornare a dormire in albergo è irresistibile. Ed infatti in albergo piombiamo in un profondo sonno di 2 ore, che ci stanca più che ristorarci. Il Lariam è pesante, proprio troppo, e la sensazione al risveglio è molto sgradevole. Pier sta male, ha la nausea, però resistiamo. Ceniamo alle 20 con Erika e Matteo (che sono arrivati fino al primo rifugio), ed andiamo a letto un’altra volta con le galline.

05.08.2002 Moshi – Lushoto
Sveglia alle 8. Abbiamo dormito molto rispetto agli altri giorni. Prepariamo tutto e partiamo. Arriviamo a piedi alla stazione dei Bus di Moshi, in largo anticipo, non perché usciamo troppo presto, bensì perché l’autobus per Dar Es Salaam è in forte ritardo. Arriva, infatti, alle 11 (anziché alle 9,30), e con grande stupore notiamo che abbiamo prenotato un autobus di lusso, meraviglioso. Spazioso come un vero pullman moderno, alto, con aria condizionata, televisione, hostess e servizio a bordo. Ci offrono dei biscotti, delle bibite, e sullo schermo mandano “Colazione da Tiffany”; insomma, abbiamo speso un po’ di più, sempre meno – naturalmente – di quello che spenderemmo in Italia, ma il servizio vale notevolmente la differenza. Notiamo che i locali che sono sul bus sono tutti agghindati, le donne sfoggiano pettinature barocche e gli uomini sono tutti molto ben vestiti. Capiamo che per loro prendere un autobus a 20 dollari equivale a prendere l’aereo, e – come succedeva da noi negli anni 70 – quando si prende un mezzo così di lusso ci si addobba. La cosa curiosa è l’atteggiamento signorile che assumono, in realtà si vede che sono tesi, non sono abituati a tanto lusso, ed infatti alcuni di loro (poco avvezzi ai viaggi lunghi), afferrano i sacchetti di plastica nei sedili ed elegantemente vomitano per il mal d’auto… Per una volta capitiamo anche con un guidatore che va ad una velocità ragionevole, senza correre e sorpassare come un pazzo. Il viaggio trascorre in modo molto gradevole, ascoltando musica e guardando i meravigliosi panorami, che cambiano molto velocemente. Si passa dalla savana brulla ed arsa alla verde vegetazione tropicale in pochissimo tempo, e la terra diventa sempre più rossa.

Scendiamo quindi a Mombo (a metà strada tra Moshi e Dar), salutiamo Erika e Matteo (che ritroveremo forse a Zanzibar tra qualche giorno) e cerchiamo subito un dalla-dalla per Lushoto. Veniamo aiutati anche in questa circostanza dalla gente del posto, ed in meno di cinque minuti siamo sul minibus. Parte solo dopo aver stipato una ventina di persone nello spazio che dovrebbe contenerne 10, e risale il pendio che porta sulle montagne. La strada tra Mombo e Lushoto è veramente bellissima. Siamo in mezzo a delle montagne che ricordano molto la Svizzera, con cascatelle, abeti, e delle fattorie dai colori incantevoli. Sembra un mix di Toscana, Svizzera ed Amazzonia, è un paesaggio che ci piace molto (anche se Pier sostiene che gli stessi panorami si godono a San Gimignano… mah…). Il dalla-dalla si ferma ogni 5 minuti per scaricare e caricare gente, e facciamo 20 km in più di un’ora, stretti e scomodi. Arriviamo quindi all’ostello che abbiamo prenotato. E’ gestito da suore locali, e si avverte subito l’atmosfera di convento. A me tutto ciò piace, mi dà un senso di tranquillità e sicurezza. A Pier un po’ meno, ma ad ogni modo anche lui è colpito dalla Natura, che è un vero spettacolo. La stanza è molto graziosa, forse un po’ essenziale, però molto pulita e profumata, con un terrazzino che dà sulle colline circostanti. Purtroppo delle enormi grate di metallo chiudono il terrazzo, deturpando seriamente il panorama. E’ un vero peccato, però mi viene molta voglia di camminare per quei posti, e già pregusto il riposo dei prossimi giorni. Scrivo in questo momento proprio dal terrazzino, e mentre scrivo il Sole tramonta lontano, tingendo le nuvole. Ci sono degli odori meravigliosi, si sentono migliaia di grilli e cicale, ed in lontananza si odono anche dei canti di bambini accompagnati da tamburi. Di tanto in tanto un gallo canta ed una mucca muggisce. E’ un paradiso. Sembra quasi una casa di cura. Ci servono una deliziosa ed abbondante cena alle 7,30. Verdure coltivate da loro, pesce, ed una zuppa ottima. Tutto molto fresco e sano. Apprezziamo la cucina dell’albergo ed attacchiamo bottone con dei ragazzi di Brescia, che sono qui da due giorni e fanno splendidi commenti sulle escursioni nella natura circostante. Rientriamo in camera alle 9. Domani niente sveglia.

06.08.2002 Lushoto
Non ci sono parole per descrivere la bellezza e la ricchezza di questo meraviglioso posto. Lushoto è una cittadina incantevole, la gente è molto tranquilla, il paesaggio lussureggiante e rasserenante, l’aria fresca e pulita. C’è un’infinita quantità di bambini, che sorridono e giocano ovunque ed in continuazione. Si respira proprio un’atmosfera placida e sana. Ci svegliamo alle 8,30, con molta calma, ed usciamo poco dopo per una passeggiata. L’albergo dista 3 km dalla città, una strada in salita circondata da una campagna unica. Un tragitto che con Pier facciamo in mezz’ora abbondante. Lui si è svegliato male, con un brutto mal di testa, capogiro e nausea. Gli stessi sintomi da 3 giorni, da quando ha preso il terzo Lariam.

Sfortunatamente i sintomi peggiorano quando arriviamo a Lushoto, e prendiamo la drastica ma saggia decisione di andare in ospedale per verificare se si tratti di malaria. Pare che il malessere causato dal Lariam sia molto simile ai sintomi della malaria, questo non fa che agitare Pier e peggiorare il suo stato di salute, quindi decidiamo di fugare qualsiasi dubbio ed eliminare tutte le possibili paranoie. Anche l’ospedale è uno spettacolo: una struttura molto semplice, a capanne, con moltissime persone in attesa di cure. Facciamo la fila e paghiamo il ticket di 400 TSh (800 lire); Pier deve compilare il frontespizio di un quaderno che danno alla cassa: è il suo libretto sanitario africano, un oggetto che diverrà in seguito il suo orgoglio. Chiediamo informazioni ad una signora molto gentile, che in un inglese stentoreo ci spiega che bisogna prima andare dal dottore per una visita, e poi passare in laboratorio a fare il test. Il dottore a sua volta spiega che i sintomi potrebbero essere addebitati indifferentemente al Lariam come alla malaria, e che quindi è bene fare il test. Sbrighiamo tutte queste faccende in meno di 15 minuti, sono ovviamente tutti gentilissimi e ci fanno passare avanti. Il dottore con noi è molto impettito e cordiale, vuole fare bella figura e dimostrare che in Africa le cose non vanno poi così male. Sfodera un inglese eccellente. Nell’attesa dei risultati incontriamo un altro dottore, anche lui disponibilissimo e voglioso di dimostrare tutta la sua efficienza. Ci spiega mille cose (anche troppe) e si dà molto da fare. C’è, contrariamente a quanto accade da noi, un’atmosfera allegra: le persone aspettano con calma sul prato adiacente le costruzioni, c’è una signora sdraiata sotto un albero, e l’odore non è quello dei nostri ospedali: è quasi speziato, lieve e sano. Arrivano i risultati delle analisi, che OVVIAMENTE sono negativi. Ci tranquillizziamo subito, e torniamo in paese per il pranzo. Mangiamo in un ristorantino dell’ottimo pollo al curry, accompagnato dal piatto nazionale, l’ugali, una specie di polenta di manioca che dobbiamo prendere con le mani ed intingere nella salsa. Io apprezzo molto, come ho fin dall’inizio apprezzato tutta la cucina locale, anche se il piatto non è proprio dei più leggeri.
Pier, indebolito ed infreddolito, decide di tornare dalle suore. Ci lasciamo, ed io finalmente faccio un giro nel centro di Lushoto. Vado per un’oretta in un Internet Café, e mando la mia prima mail dall’Africa. Faccio un giro nel mercato e compro della frutta, saluto tutti e parlo con tutti molto volentieri. Insomma, una pace assoluta, un piacere continuo, sembra di essere nel paese dei balocchi. A cena mangiamo con una ragazza finlandese che viaggia, sola, da due mesi.

07.08.2002 Lushoto
Giornata dedicata al ‘fancazzismo’ estremo. Pier dorme fino a tardi ed io leggo sul terrazzino. Andiamo in paese verso le tre, prendiamo il dalla-dalla e visitiamo il mercato di Lushoto. Compriamo delle arachidi e della frutta per pochi centesimi. Il paese, come ieri, è proprio carino, pacifico e rilassante. Al ritorno passiamo davanti ad un giardino privato, dove alcune persone cantano, probabilmente sono le prove di canto della parrocchia locale. Le voci sono molto piacevoli, e la melodia è celestiale. Torniamo, sempre in dalla-dalla ma appesi allo sportello, in piedi sullo scalino, e velocemente mangiamo e torniamo in camera. Domani ripartiamo per Dar. Sono un po’ teso, perché lasceremo questa oasi di pace e meraviglia e torneremo nel caos, tra gli arnacconi ed i venditori ambulanti, però l’idea di passare l’ultima settimana al mare mi stuzzica moltissimo. A Lushoto prima o poi ritornerò.

08.08.2002 Lushoto – Dar
Lasciamo le montagne, dopo tre giorni, con grande gioia di Pier, che è più un tipo da mare. A dire il vero anche se sono un po’ preoccupato sono contento pure io, in fondo ci godiamo un po’ di Sole e di spiagge, ci sta bene alla fine della vacanza. Arriva alle 10 il tizio del centro informazioni turistiche di Lushoto (Jerome). Anziché andare a Mombo con il dalla-dalla facciamo gli “sciampagnoni” ed usiamo un servizio locale. Molto comodo. Arriviamo a Mombo in largo anticipo rispetto alla corrispondenza con il bus per Dar Es Salaam. Il bus è in ritardo (te pareva) quindi aspettiamo due ore seduti ai tavolini del New Liverpool Hotel, che più che un albergo sembra una stazione di servizio. Arrivano nel frattempo molti autobus, e scende una marea di gente affamata, che compra cibo di dubbia qualità e si sfonda. La maggior parte dei passeggeri mangia pollo con patate conditi in un mare di ketchup, serviti in una vaschetta di plastica ricoperta di cellophane. Uno schifo. Alcuni comprano pasti più decorosi (riso con salsa e pollo con ugali… il pollo è ovunque) e li divorano ai tavolini con le mani. Ci sono tantissime persone diverse, è uno spettacolo. Saliamo finalmente sull’autobus e ci sediamo. Venti minuti dopo la partenza, un tizio davanti a noi vomita il meraviglioso pasto in una busta di plastica, una scena deliziosa… Il viaggio procede comunque bene, ed in sole cinque ore siamo nella capitale (non la capitale ufficiale), Dar Es Salaam.

La città è un vero caos, c’è un sacco di gente ovunque, ma sembra più moderna ed internazionale rispetto ad Arusha. Prendiamo il taxi e ci facciamo accompagnare in albergo (lo Smokey’s tavern) in poco tempo. Ed anche stasera, dopo aver guardato la stanza, decidiamo di cambiare hotel. La camera, benché spaziosa e confortevole, è sporchissima, ha la moquette, e puzza come poche altre (Pier ha una crisi di nervi). Costa 90 dollari, quindi decidiamo di spendere un po’ di più per una sistemazione decorosa. Scegliamo ovviamente uno degli alberghi più cari di Dar (il Sea Cliff Hotel), affacciato sull’Oceano Indiano, nella zona residenziale della città. L’atmosfera è quella del lodge, un po’ finta, però almeno siamo sicuri della stanza. Mangiamo quindi in riva all’oceano (una cena molto anonima, a dire il vero), e ci mettiamo a letto.

09.08.2002 Dar – Zanzibar
Finalmente una notte senza incubi. Ci svegliamo alle 8 ed andiamo a fare colazione. Il tempo è bello (alleluia) ed il mare mette di buon umore sia me sia Pier. Dopo aver chiuso gli zaini, prendiamo il taxi ed andiamo al terminal degli aliscafi per Zanzibar. Naturalmente, appena scendiamo dal taxi siamo avvicinati da un sacco di ragazzi che vogliono farci comprare il biglietto presso un’agenzia in cui percepiscono commissioni. Siccome però siamo furbi, e con il tempo abbiamo imparato, riusciamo a beccare la biglietteria vera e risparmiamo tempo e denaro. Il viaggio in aliscafo procede bene, ed in un’ora e mezza siamo finalmente a Stone Town!
Siamo anche qui assaliti dagli omini stressanti (qui li chiamano paapasi, scarafaggi) che vogliono portarci nei loro alberghi, ma fermamente riusciamo, anche questa volta, a defilarci e trovare un taxi da soli. Uno dei ragazzi spiega che loro per mangiare hanno bisogno delle commissioni che percepiscono dagli alberghi, e che quindi dovremmo scegliere loro ed aiutarli. Il poverino ha pure ragione, ma è veramente difficile dar retta a tutti.

Stone Town è meravigliosa: è una città araba, molto simile alle nostre città portuali del Sud, come Otranto e Siracusa, piena di vicoli, stradine e negozi stracolmi di oggetti da comprare. Dopo due settimane di Africa pura, fa anche piacere tornare un po’ alla civiltà e stare in un posto un pochino più turistico. L’albergo (che si chiama Baghani House) è delizioso: per 60 dollari abbiamo una specie di suite, in una casa antica, arredata con mobili d’epoca e con ventilatori a soffitto ed aria condizionata. Il tutto chiaramente pulitissimo. Mangiamo bene in un ristorantino vicino e passiamo tutto il pomeriggio in giro per la città, deliziati dalle atmosfere degne delle mille ed una notte. Ci sono delle magnifiche porte intarsiate, e la gente sembra molto tranquilla. Ci rilassiamo molto anche oggi. Arriviamo in un Diving Club a Kenyatta Avenue (il One Ocean Diving Center) e prenotiamo tre notti in un villaggio di bungalows sulla costa Est (il Matemwe Beach Village), a bordo spiaggia, con tutti i comfort. Ce lo meritiamo… Il villaggio dalle foto sembra bellissimo, molto sobrio e frequentato da pochissimi clienti. Peccato non abbiano stanze per dopodomani, ma non ci facciamo scoraggiare e prenotiamo, solo per la prima notte, un bungalow in un’altra struttura a Nungwi, che dista solo 30 km da Matemwe. Torniamo in albergo verso il tramonto e notiamo con molto piacere che la stanza è piena di zanzare. Ci cospargiamo di Autan e leggiamo un po’ prima di cena. Usciamo di nuovo, e mangiamo aragosta (grande ed economica) in un ristorante francese. Andiamo a dormire alle 22, tardissimo visti gli standard.

10.08.2002 Stone Town
Ed è una GIORNATA BRUTTISSIMA quella che ci aspetta oggi (gli ultimi effetti della maledizione di Janet…). Mi sveglio già con qualche avvisaglia di depressione. Non mi sento neanche tanto bene, a dire il vero. Dopo la prima colazione (che non gradisco molto) mi ristendo a letto e lascio che sia Pier ad uscire ed occuparsi della prenotazione dei biglietti aerei per Nairobi, da cui dobbiamo ripartire (prendiamo l’aereo da Dar Es Salaam a Nairobi per risparmiare 14 ore di autobus, che non sono poche). Io leggo per un’ora abbondante, e già sento qualcosa nell’aria che non va. Esco e mi dirigo verso un internet café. Ce ne sono decine, sparsi per tutta la città. Prima di entrare rivedo un tizio che ieri pomeriggio, durante la passeggiata in città, mi aveva proposto dell’erba. Lo ignoro e continuo placidamente la camminata. Incontro Pier al cybercafé, che ha fatto i biglietti (pare che le impiegate dell’agenzia ci abbiano messo due ore), e che torna in albergo per cambiarsi. Io continuo a camminare, ma inizio seriamente a scocciarmi con tutti questi tizi che si avvicinano, propongono droghe, taxi, sconti, oggetti vari, e tutto ciò ogni 5 metri. E’ una cosa a cui non mi abituerò mai… Con Pier ci rivediamo in un ristorante italiano sul lungomare (La Fenice). Prendiamo un caffè, lui mangia (io non tocco cibo, ho il mal di pancia) e ce ne andiamo. Sulla strada per l’albergo ci ferma l’ennesimo tizio, e noi neanche lo guardiamo. Lui però ci segue per una cinquantina di metri e poi ci blocca. Dice di essere della Polizia, e che da quel momento Pier è in arresto, sospettato di aver accettato droga per la strada! Il tizio è un energumeno senza uniforme, che ci mostra un tesserino della Polizia che potrebbe essere tranquillamente il suo documento del servizio militare. Non ci fidiamo e ci spaventiamo: sulla Lonely Planet avvertono che molti ladri si spacciano per poliziotti, e che molte persone sono derubate di tutti i soldi che hanno dietro con questi sistemi. Siamo circondati da altri marcantoni, tutti molto loschi (ma tutti con il tesserino della Polizia…), e spinti una cinquantina di metri oltre, verso una stamberga piccola e sporca, con un cartello esterno su cui c’è scritto “VUGA POLICE POST”, un cartello che avrei potuto tranquillamente fare io al computer, appeso a due pali di legno con un paio di chiodi. Insomma, non sappiamo cosa fare, siamo impauriti, e con tutti i soldi dietro. Tempo 5 minuti e capiamo che effettivamente si tratta della Polizia. Ci fanno svuotare tasche e zaini, senza mai toccarci, e ci lasciano andare dopo aver costatato che non abbiamo nulla. Una perquisizione stranamente sommaria e breve, con una paura senza precedenti. Uscendo, vedo che il tizio che mi ha proposto l’erba stamattina è proprio lì, fuori del “commissariato”. Capito? Adescano i turisti d’accordo con la polizia e poi percepiscono le percentuali sui soldi che la polizia riesce ad estorcere ai turisti minacciandoli di farli rimpatriare…
Più che l’esperienza in sé, breve e fondamentalmente indolore, è stata la paura a pietrificarci. Pier è molto, molto scosso, e vuole prendere il primo aereo per Roma. Cerco di rassicurarlo al meglio delle mie possibilità, ma nel giro di qualche minuto mi sale la febbre e devo correre in bagno… Ho una bella diarrea (non è l’effetto della smaltita ma, credo, l’aragosta di ieri sera…), la nausea, e Pier è terrorizzato all’idea di mettere piede fuori dell’albergo. Mi metto a letto e cerco di dormire. Fortunatamente ho un padre abruzzese, e la tempra rupestre regalatami alla nascita si fa sentire. Nel giro di 4 ore la febbre scende ed inizio a sentirmi molto meglio. Pier riesce, grazie ad un plateale pianto greco, a farsi portare la cena in camera. Ci addormentiamo presto, dopo questa giornata assurda.

11.08.2002 Stone Town – Nungwi
La sveglia è alle sette, ci vengono a prendere con un minivan. Da oggi inizia lo svacco in spiaggia. La notte è passata abbastanza tranquillamente, anche se alle 5 siamo stati svegliati dal muezzin di quartiere, che con la sua cantilena ci ha inquietati più che affascinati. Io non ho più febbre (grazie, Papà), e Pier si è tranquillizzato un minimo dopo lo spavento di ieri (neanche troppo, a dire il vero). E’ piovuto molto durante la notte, ed il cielo è nuvoloso. Il maltempo ci perseguita, anche se qui cambia tutto nel giro di poche ore, quindi non è detto. Saliamo sul minivan, e dopo un paio d’ore siamo a Nord, a Nungwi. Attraversiamo l’isola e restiamo colpiti dalla bellezza e dal rigoglio della vegetazione. Passiamo per molti villaggi immersi in boschi di palme, e rivediamo volentieri dei bambini. L’umore non è ancora del tutto buono. L’albergo che abbiamo scelto per questa notte (Amani Bungalows) è gestito da un arabo, ed è pieno di turisti giovani e brutti, per lo più americani ed inglesi. La sistemazione è appena dignitosa (la Lonely Planet direbbe: “con un pessimo rapporto qualità-prezzo”); il mare, fortunatamente, ci si presenta in tutto il suo splendore. La sabbia è bianca, bianchissima, ed i colori sono meravigliosi. Si passa dal verde al turchese, al blu intenso. Il biancore è accecante e comincia ad uscire il Sole. A poco a poco, la spiaggia scompare letteralmente, a causa della marea, e ci accorgiamo che la stanza ha un balcone che dà direttamente sull’acqua. Ci rilassiamo finalmente, anche se siamo leggermente esasperati dalla lentezza con cui i locali espletano qualsiasi forma di servizio. Il motto “pole pole” andrà anche bene, ma qui esagerano proprio, dormono in piedi, si dimenticano le ordinazioni (ci portano un panino dopo 50 minuti), e fanno le cose più semplici impiegando il triplo del tempo rispetto alle persone normali. Conosciamo due italiani di Firenze, alla prima esperienza di viaggio, che però passano la vacanza solo a Zanzibar e non colgono l’occasione per un safari, impauriti di “esagerare con l’avventura”… Di sera il villaggio si riempie di anglosassoni e di squallidi personaggi, brutti e poco simpatici, per lo più americani. Mettono musica anni 80 e ballano tutti. Fanno un sacco di casino fino all’una di notte, e quando spengono la musica l’alta marea inizia a schiaffeggiare la scogliera sotto il nostro terrazzo, con una violenza tale da non farci dormire. L’urto dell’acqua crea problemi di riflusso nel sifone del bagno, che quindi puzza e gorgoglia tutta la notte. Che posto… Domani finalmente andremo a Matemwe, l’agognato paradiso, a ricaricare le pile.

12.08.2002 Matemwe
CI vengono a prendere verso le 12. Eravamo rimasti d’accordo con i tizi del Matemwe Beach Village che sarebbe venuto qualcuno a cercarci intorno alle 9. Inutile dire che anche questa volta abbiamo dovuto telefonare e lamentarci più volte per veder arrivare il piccolo minivan che da Nungwi ci porterà nella nostra ultima destinazione. Fino alle 12 bighelloniamo nel villaggio, e siamo seriamente seccati, oltre che dal ritardo, dal personale del bar di questo posto, che oltre che scortese è di un’inefficienza mai vista. Lasciamo quindi Nungwi per dirigerci a Matemwe. Pare che il posto dove stiamo andando sia bellissimo, con un complesso di bungalows che danno direttamente sulla spiaggia. Al nostro arrivo (2 ore dopo) notiamo effettivamente che il posto è splendido. La spiaggia è lunghissima, bianca come neve, e molto molto fine. Pier è deliziato ed incredulo. Il posto è elegante e sobrio, frequentato da trentenni anglosassoni silenziosi (e soprattutto pochi), ed arredato con stile. Il menù del giorno che – appena arrivati – notiamo sulla lavagnetta accanto al bancone del bar, espone piatti raffinati e gustosi. All’entrata si apre un largo spazio con dei divani bassi (più che divani sono una serie di grossi cuscini). Ci sono persone che leggono, e la spiaggia è vuota, ci sarà al massimo una trentina di persone in tutto il villaggio. Una fitta foresta di palme costeggia tutta la spiaggia, ed il sole è caldo ed accecante. Il bungalow è rifinitissimo e delizioso. Anche se manca l’acqua calda (cosa che scopriamo al momento), ci sono dei letti profumati, dei mobili graziosi, e delle bellissime zanzariere a baldacchino. Il tempo scorre tranquillissimo tutto il giorno. Pier si riposa, io mi rilasso come mai ho potuto fare durante tutta la vacanza: il mare è sempre il mare…. Di sera, con molto piacere, incontriamo la finlandese (Taina) con cui abbiamo cenato a Lushoto qualche sera fa. E’ a Zanzibar con la sorella (Lotta) e con un’amica irlandese (Christina). Ci salutano e si siedono al nostro tavolo, e la serata scorre molto piacevolmente. Loro sono proprio simpatiche, ridiamo di tutto fino alle 10 (un record da quando siamo in Africa). Di notte c’è un silenzio ed una tranquillità che ci stupisce, e dormiamo profondamente, stavolta senza alcuna sveglia e senza nulla in programma. Domani sole totale: lettino e sabbia, crema e tanto, tanto mare.

13.08.2002 Matemwe
E purtroppo, contro ogni speranza, la giornata inizia con la pioggia. Il cielo è coperto, e piove ininterrottamente dalla mattina. E’ una cosa strana per l’isola, ci dicono, vista la stagione, però non possiamo farci nulla. Ne approfittiamo quindi per passare la giornata nell’ozio più becero. Facciamo molte chiacchiere con le nordiche, mangiamo e dormiamo. Leggiamo anche molto, e la cosa ci piace. Verso le 5 prenoto lo snorkeling per domani. Speriamo non piova. Lo snorkeling (io non lo sapevo) è quello che noi italiani facciamo fin da piccoli quando andiamo al mare, con maschera, boccaglio e pinne. Pare che qui si vedano dei fondali meravigliosi, quindi ne approfitto anche io. Il tempo brutto dura tutto il giorno, ma le ore passano in tranquillità tra una risata ed una dormita.

14.08.2002 Matemwe
E uffa, alle 8 metto la sveglia e piove ancora!!! Non ci credo. Lo snorkeling è annullato e rimandato a domani. Fortunatamente però il sole si decide ed esce verso le 11. Il cielo torna azzurrissimo in pochissimo tempo. E finalmente prendiamo il sole, prima e dopo pranzo. Facciamo anche oggi molte chiacchiere con le finniche, le troviamo sempre più simpatiche e profonde. La giornata scorre quindi tranquilla. Di sera ci lasciamo convincere dalla proprietaria dell’albergo (La mitica Gail) a prendere l’aereo (anziché il traghetto) per tornare a Dar Es Salaam il 17. E’ un aereo piccolo, ad elica, quindi Pier, che ha paura di volare, esita un po’, ma alla fine ci sembra la soluzione più veloce, e costa solo 20 dollari in più rispetto al ferry boat…

15.08.2002 Matemwe
Sveglia presto. Oggi la mattinata è, come ho detto, dedicata alle immersioni. Usciamo in barca io e le ragazze. Pier resta a dormire in albergo… succube del dio Sonno. La barca è piena di inglesi con la puzza sotto il naso, che prendo subito in antipatia per il loro modo altezzoso e sdegnoso di relazionarsi, di non salutare, di guardarti… L’immersione, in compenso, è veramente fantastica. E’ come in Italia, con la differenza che qui sembra proprio di essere in un acquario, con pesci di mille colori che nuotano ovunque. E’ bellissimo: vediamo pesci pappagallo, pesci palla, stelle marine di mille forme diverse, una manta stupenda ed in lontananza anche l’ombra di un grande squalo balena (me lo dicono gli altri, io non l’avrei mai riconosciuto). Sembro quello più pratico e più bravo (a parte i sub che se ne vanno subito lontani), probabilmente perché vado al mare fin da piccolo, come tutti gli italiani, e loro, che si atteggiano a provetti sub, non riescono neanche a respirare con il boccaglio. Sono tutti impettiti nelle loro tecnologiche mute (del tutto inutili, visto il caldo che fa e visto che al massimo scendiamo a 4, 5 metri), quasi ridicoli. Alcuni di loro vomitano nell’acqua, PORACCI (e dei piccoli gamberetti ne approfittano… che schifo), però siamo tutti nel complesso molto colpiti dalla meraviglia del posto. Riusciamo a vedere perfino una decina di delfini vicino alla barca, uno spettacolo della natura.

Con la barca ci avviciniamo all’isola di Mnemba, che è una vera e propria perla. Qui le vacanze ce le passano i ricchi(ssimi), pare che una camera nell’unico albergo dell’isola costi 900 dollari a notte. Devo ammettere però che è veramente un paradiso. Sembra un posto finto. Torniamo in albergo verso le 2, e passiamo la giornata in spiaggia. Io ovviamente non perdo l’occasione per far rosicare Pier, raccontandogli del mio safari acquatico ed ingigantendo le cose per farlo sentire in colpa. Si è veramente perso qualcosa. Stasera dobbiamo cambiare albergo, non ci sono stanze libere nel villaggio. Scegliamo una piccola guesthouse a poche centinaia di metri (Matemwe Beach Resort), che costa solo 35 dollari (la doppia), e che sembra decorosa e pulita. La proprietaria è una ragazza (tanzana) carina e veloce, che con molta lena ci rifà i letti e pulisce la stanza. A cena mangiamo con le ragazze (che sono meravigliose ed adorabili, oltre che bellissime ed intelligenti), in un’altra guesthouse vicina (Mohamed’s), ed andiamo a letto alle 23.

16.08.2002 Matemwe
Domani si parte, e naturalmente siamo tristi, ci si stringe il cuore. Facciamo colazione nella guesthouse, e ritorniamo al Beach Village. Stanotte una bungalow libero ce l’hanno trovato. Ne approfittiamo per prendere gli ultimi raggi di questo bianco e potente sole, per parlare con le ragazze (che verso le tre se ne vanno, con nostro grande rammarico), per guardare, comprare due regali per gli amici, respirare la meravigliosa aria africana e soprattutto ricordare ogni singolo dettaglio… Per il resto, non facciamo nulla di particolare… Domani è finita.

17.08.2002 Matemwe – Dar – Nairobi – Bruxelles – Roma
Che tristezza acuta che mi assale stamattina. Sono anche in agitazione: per tornare a casa dobbiamo prendere quattro voli. Il bello però inizia subito. Arriviamo a Stone Town verso le 12, e ci accorgiamo che siamo gli unici ad aver prenotato il volo della Coastal Travel. Nessuno va a Dar Es Salaam se non noi… Di conseguenza, anziché farci volare in un aereo da 15 posti (come ci aspettavamo), saliamo su un CESSNA da 4 posti, ed appena ci sediamo il pilota ingrana la prima e decolla!!! Neanche ho fatto in tempo ad allacciare la cintura. Inutile dire che sono terrorizzato, ma è altrettanto inutile dire che il mare che vediamo a 100 metri di altitudine è meraviglioso. La barriera corallina ed i fondali si vedono chiaramente, i colori sono bellissimi. Arriviamo a Dar in 15 minuti, pronti a prendere l’aereo per Nairobi. Non mi dilungo in dettagli su questa giornata piuttosto anonima… Prendiamo tutte le coincidenza, e dopo il volo per Nairobi aspettiamo 5 ore il volo della SN Brussels (Sabena) per Bruxelles, che arriva domani mattina alle 6. Poi da lì prenderemo il primo aereo Virgin per Roma…

E’ proprio finita. Non dimenticherò mai (lo dico a costo di essere banale) gli odori e le sensazioni africane. Non dimenticherò mai il Serengeti, Lushoto, gli elefanti, i bambini, i maasai, le palme… come non dimenticherò nulla, buono o cattivo, di questo meraviglioso viaggio che ha cambiato la mia testa…