di Alexander Màscàl

Tra i ricordi più radicati nella nostra infanzia vi è il Natale: sarà la magia di quella notte in cui restavamo in silenzio avvolti nel tepore delle lenzuola a spiare ogni fruscio, ogni minimo rumore…indice dell’arrivo di Babbo Natale, o sarà il risveglio da un sonno pieno di sogni trascritti nelle “Letterine di Natale” indirizzate a Gesù Bambino, in cui con la promessa di essere più buoni elencavamo la lista dei doni desiderati.

L’attesa iniziava già molti giorni prima, quando sui banchi del mercato e nei negozi comparivano i primi abeti, le palline colorate, le candeline, i fili dorati e i pupazzetti di cioccolata da appendere sui rami dell’albero, i giocattoli, le statuine di gesso e le casette di sughero per il presepe.

Erano gli anni in cui gli auguri non giungevano dal telefono ma con la posta e non erano scritti in Internet ma su piccoli e semplici cartoncini con le immagini evidenziate da una “polverina” argentata con le indimenticabili raffigurazioni natalizie.
Erano gli anni felici in cui l’allestimento del presepe coinvolgeva tutta la famiglia, ed era il calore famigliare: …era il Natale…

S’inventavano paesaggi con le montagne fatte di cartapesta, pietre, carbone e sughero. Grotte e casette erano illuminate dalle deboli luci fornite da impianti a “batteria”, laghetti, cascate e ruscelli venivano alimentati da marchingegni capaci di far scorrere l’acqua, o “creati” con la carta stagnola “recuperata” dalle cioccolate e stropicciata per meglio dare l’idea del movimento e c’erano anche i mulini le cui pale giravano sotto la spinta dell’acqua e l’immancabile pescatore seduto sulla riva del laghetto.

Zolle di fresco muschio di bosco, o “secco” acquistato nei negozi, con la finta erba di segatura colorata, fungeva da pascolo, su cui si adagiavano i casolari, i recinti con le greggi e i pastori, le botteghe del calzolaio, l’arrotino, la filatrice, l’oste e i giocatori di carte, l’aia con gli animali e la contadina che spargeva il mangime alle galline, i suonatori di zampogna, i bimbi che giocavano sull’aia, l’arrotino, e tante altre figurine su cui dominava la capanna o la grotta in cui stava la Sacra Famiglia con il bue, l’asinello, gli angeli e una luminosa Cometa.
I palmizi delle oasi con i pozzi e le portatrici d’acqua, i cammelli e la sabbia che componeva il deserto formavano l’angolo di terra palestinese da cui provenivano i Re Magi.

Piccole e semplici statuine posate su una base che le sorreggeva venivano scartate lentamente, ad una ad una, mentre uscivano dal grosso scatolone conservato in cantina, dove erano state riposte avvolte in soffice “carta velina” e conservate per undici mesi.
Il ripiano di un mobile della “stanza buona”, svuotato dai soprammobili o un tavolino approntato con assi e cavalletti si animavano di paesaggi sconosciuti e personaggi inanimati, ma a noi bambini bastava un po’ di fantasia per vederli… intenti a lavorare o camminare lungo il sentiero che conduceva alla Grotta, nell’oscurità di uno scenario disegnato sul grande “sfondo” di carta incollata alla parete… che riproduceva il cielo notturno illuminato da stelle argentate, dune e palmizi di una terra lontana…

I giorni che precedevano l’Evento erano anche quelli in cui si apriva il “salvadanaio” che custodiva le monetine risparmiate rinunciando a qualche golosità, per essere spese sulle bancarelle natalizie acquistando statuine e casette. E così ad ogni Natale il presepe si arricchiva di nuove figurine, elementi del paesaggio, palmizi e luci, ma ad ogni Natale il Tempo ci allontanava sempre più da “quelle emozioni” ed ora che gli anni hanno imbiancato le tempie mi chiedo: “Dove sei fuggito, piccolo presepe della mia infanzia. In quale angolo riposi esule, lontano dalla tua terra natia, rapito ricordo della mia fanciullezza, unico ricordo di quando, bimba felice, rincorrevo i sogni di Babbo Natale vestito di rosso e di quel Bimbo venuta dalle Stelle…

Ed ora che rincorro il Tempo non ho che un Grande Desiderio: rivederti per tornare ancora una volta bambina… prima del Grande Sonno…