Il Medio Oriente fin dall’antichità più remota ha sempre apprezzato il dono del vino e lo ha sempre prodotto grazie anche al particolare clima favorevole alla viticoltura. Gli Arabi distinguevano quattro tipi di vino a seconda del colore: rosso, bianco, giallo e nero, essi probabilmente non erano particolarmente “raffinati”, il vino novello era torbido e con poco bouquet, il vino di un anno risultava limpido ed era il più apprezzato mentre i vini più vecchi venivano considerati di qualità inferiore probabilmente perché si deterioravano nel tempo a causa di cattivi metodi di conservazione. Il vino era più apprezzato quanto più era dolce e perciò venivano normalmente aggiunti ad esso miele, spezie o droghe, come anche veniva aggiunta l’acqua: il lusso più grande era l’aggiunta di ghiaccio o addirittura di neve.

Uno dei vitigni più conosciuti al mondo, il Shiraz, prende il nome da una località della Persia che fu il centro vinicolo più famoso dell’Oriente musulmano. La bevanda bacchica era quindi normalmente presente nella vita di tutti i giorni di città arabe come La Mecca fino al sesto secolo. Solo dieci anni dopo la morte di Maometto, il vino era severamente vietato sia in Arabia che in tutti i Paesi caduti sotto il dominio islamico. Egitto, Libia, Palestina, Mesopotamia, Armenia, Nordafrica occidentale, Spagna, Portogallo, Sicilia, Corsica, Sardegna, Creta all’epoca costituivano l’impero dell’Islam e così dall’Asia occidentale a Samarcanda, da Damasco a Beirut, dal Mediterraneo al fiume Indo, i califfi imponevano e facevano rispettare le leggi del Corano che oltre a cambiare l’assetto geo-politico eurasiatico influirono molto sull’economia dei Paesi conquistati e sulla vita quotidiana dei loro abitanti.

Il Corano ordina ai musulmani, fra le altre cose, di non mangiare maiale, di non bere vino, di entrare scalzi nella moschea dopo essersi lavati i piedi, etc… tutte regole che se consideriamo il clima molto caldo dei Paesi in cui è nato l’islamismo, si traducono in norme igieniche ed è forse proprio questo il motivo dell’istituzione di queste regole che poi, poste nel contesto religioso, costituiscono fonte di peccato in caso di trasgressione. A chi invece rispetta le leggi del Corano, Maometto prometteva la completa soddisfazione dei desideri carnali dopo la morte. In questo aldilà i Giusti “… berranno di un vino puro, la cui stessa feccia profuma di muschio…”.

In diverse parti del Corano viene citato il vino, a volte in forma di proibizione, in altre è elencato fra le cose buone della terra insieme ad acqua, latte e miele. Il versetto, in particolare, su cui si basa la proibizione del vino recita: “Il vino e i giochi d’azzardo, gli idoli e le tavolette divinatorie sono infamie inventate da Satana. Evitatele, così che possiate prosperare. Satana tenta di suscitare inimicizia e odio fra di voi per mezzo del vino e del gioco, e di impedirvi di ricordare Allah e dire le vostre preghiere”. Secondo il testo sacro per i musulmani, queste parole vennero dette da Maometto in seguito a un incidente avvenuto a Medina, causato da una lite tra i suoi discepoli che sedevano a bere dopo una cena, ma che forse non erano neanche ubriachi. La risposta dei credenti fu la dispersione di tutto il vino di Medina nelle strade. In un’altra parte del Corano, Maometto dice: “Puoi bere, ma non ubriacarti”.

Il vino era usato per i suoi effetti benefici sull’organismo umano e i medici arabi dell’epoca si trovarono nei pasticci quando la principale medicina di cui disponevano fu messa al bando. In ogni caso, nonostante il vino fosse sicuramente conosciuto e utilizzato nell’Arabia del settimo secolo e gli stessi seguaci di Maometto ne facessero uso, la pena per chi violava la proibizione di bere vino era di quaranta sferzate che salirono a ottanta sotto il governo del califfo Omar.

Le contraddizioni, soprattutto fra scienza (e in particolare medicina) e religione, che consideravano il vino “buono” nel primo caso e suscettibile di proibizione nel secondo, oscillarono in uno stato di equilibrio variabile per circa milleduecento anni. Si cercava di aggirare la legge del Corano in vari modi: il fatto che nei territori musulmani fosse tollerata la presenza di ebrei e cristiani per esempio permise lo sviluppo della viticoltura e la continua produzione di vino sul territorio. In altri casi, come surrogato al vino, si bevevano altre bevande alcoliche non espressamente proibite dal Corano quali il nabidh, vino di datteri già bevuto da Maometto, o l’arrack, alcol aromatizzato con anice.

Non mancarono episodi di restrizione al rispetto delle norme come lo sradicamento di vigneti e la distruzione di giare di vino o l’imposizione e l’aumento delle tasse per i non musulmani che producevano o mercanteggiavano vino. Tutto questo a episodi alterni, che si accompagnavano alle varie successioni dinastiche dell’impero islamico caratterizzate ora da scuole di pensiero più liberali, ora da altre più puritane nell’interpretazione della fede islamica.

Nel corso del Medioevo a causa della dominazione ottomana, delle carestie e delle epidemie, ma soprattutto del declino economico, i vigneti tradizionalmente presenti da secoli nel Medio Oriente andarono gradualmente scomparendo e con essi la produzione di vino. Cristiani ed ebrei abbandonarono inevitabilmente queste regioni e con la partenza di coloro che avevano tenuto in piedi l’industria vinicola per tutto questo tempo, il prezzo del vino aumentò e di pari passo ne diminuì il suo consumo questa volta sostituito con l’hashish che costava molto meno e quindi era più accessibile a coloro che non potevano più permettersi di comprare il vino.