Iran, catena montuosa di Zagros, 7.000 anni fa.
La Luna illuminava la vallata proiettando luci e ombre sulle rocce. La notte era tiepida e tutt’attorno dominava il silenzio rotto solo dallo scoppiettio del fuoco su cui coceva il pasto.
Askjahi, in piedi accanto al fuoco si occupava della cottura dell’animale che il suo uomo aveva cacciato. Di tanto in tanto volgeva gli occhi sorridendogli.
Jahikji, seduto in un angolo affilava le armi. Ogni tanto portava alla bocca la giara con il vino.
Venivano da molto lontano, “camminavano da sempre”! Avevano attraversato fertili pianure e aridi deserti con i loro genitori, e avevano ancora camminato in luoghi sconosciuti con altri individui della loro comunità. Ora vagavano da soli, in cerca di quel qualcosa che da sempre ha spinto interi popoli alla vita nomade. D’un tratto la terrà tremò!
I due giovani furono scaraventati a terra, trascinati lungo il pendio e travolti dai massi che spezzarono le loro vite, ma incisero una pagina della storia… lasciando sul luogo le pentole in terracotta e la giara da cui “Jahikji” aveva sorseggiato il vino.

Forse i loro nomi non erano Askjahi e Jahikji, forse nemmeno perirono a causa di un evento disastroso, e forse nemmeno erano in due ma con il resto della loro tribù. I nomi e gli eventi sono solo frutto della mia fantasia, in fondo è questa che ci consente di fantasticare, immaginare, creare, ma non per questo muta alcuni eventi, ritrovamenti, scoperte, divenuti parte della storia del mondo. Popoli, razze, culture diverse, tutti ugualmente in cammino verso un unico appuntamento: quello con la storia e la civiltà del nostro pianeta!

Se le mie dita nel comporre questa narrazione hanno galoppato pari passo con la fantasia, non per questo hanno mutato quella realtà che ha portato alla luce uno stupefacente ritrovamento di archeochimica…

Rimaniamo nella stessa località, nello stesso punto in cui sostarono i nostri due personaggi immaginari, ma risaliamo il tempo sino ai giorni nostri e fermiamoci in questo sito archeologico di Haji Firuz Tepe, dove una spedizione ha riportato alla luce un “frammento” di vino di 7.000 anni fa.

Anche se lo straordinario ritrovamento è stato riportato su varie riviste, io preferisco sottolineare quello comparso su “Sorrisi & Canzoni”, nella pagina di “Scienza & Natura”, firmata da Piero Angela, fantastico conduttore di “Quark”: “Che odore aveva il vino 7.000 anni fa? Ricordava quello di alcuni solventi per vernici”. Pare infatti che dalle analisi di “vino solidificato”, trovato sul fondo di una giara, datata al periodo neolitico, sia risultato questo “abbinamento ai solventi”. Il dottor Patric McGovern, esperto in archeoceramica e archeochimica presso l’Università di Pennsylvania (finanziatrice della spedizione), ha avvalorato la tesi che al vino venivano aggiunti degli additivi, e che in questo “grumo” si individuavano tracce di “una particolare resina estratta dalla pianta del pistacchio”. Pare infatti che questa resina venisse usata per fermare la crescita di alcuni microrganismi che sono la causa della rapida trasformazione del vino in aceto.

Piero Angela, aggiunge che non sono state rinvenute tracce di tannino (pigmento responsabile del tipico colore porpora), ma che non è stato possibile comprendere se il residuo fosse di vino bianco o rosso, anche se è noto che nell’antichità quasi tutti i vini fossero rossi. Nello stesso sito sono state rinvenute anche pentole in terracotta, per cucinare.

Fino ad ora le più antiche tracce di vino risalgono a “soli” 2.000 anni, ora, come scrive Piero Angela concludendo: “si è scoperto che il nettare degli dei accompagna il cibo dell’uomo da almeno 7.000 anni”.

A cura di Alexander Màscàl