Buenos-Aires, El-Caminito
guanachi
pinguino
navigando sul Canale di Beagle
ghiaccaio Perito Moreno
ghiaccaio Perito Moreno
ghiaccaio Perito Moreno
fra gli iceberg del Lago Argentino
lago Onelli
lago Onelli
Cerro Torre e Fitz-Roy
Cerro Torre e Fitz-Roy
i Corni del Paine
i Corni del Paine
la fioritura del Paine
la fioritura del Paine
mamma nandù con i suoi piccoli

1. novembre
Abbiamo poco più di mezza giornata per vederci Buenos Aires e allora ricorriamo ad un tour in autobus turistico. Non è certo il modo migliore per rendercela attraente, ma almeno c’è un sole splendido e questo rende molto piacevoli i quattro passi a piedi che facciamo in Plaza de Mayo e nei quartieri Caminito e Recoleta. E di Baires ci facciamo soprattutto l’idea che sia la metropoli più “bianca” che abbiamo mai conosciuto. Nel senso che i suoi abitanti sono proprio tutti bianchi europei in una percentuale enormemente superiore a quella stessa di una qualsiasi città italiana, non riesci quasi a vedere una faccia che non sia bianca : sembra di stare a Bologna quarant’anni fa con il caos e l’inquinamento che c’è a Roma oggi.

Alle sette di sera (ma c’è ancora molta luce) atterriamo a Trelew, noleggiamo un’auto e andiamo a cercarci un albergo a Puerto Madryn. Dei quattro che avevamo in lista, uno è in rifacimento, uno è pieno e uno non ci piace per niente. Decidiamo così per il quarto, che è un ApartHotel. Turisti italiani contattati via internet che c’erano stati lo scorso novembre ce lo avevano consigliato parlandoci di un prezzo di 88 pesos a notte (25 €), ma nel giro di un solo anno è rincarato a 132 (38 €). E questo lo diciamo perchè pare che dall’anno scorso tutto il comparto alberghiero argentino patagonico abbia alzato i prezzi in maniera impressionante. Se volete dunque andare in Patagonia non aspettatevi una vacanza economica e nemmeno alberghi la cui qualità valga in genere il prezzo. Giusto per definire e chiudere qui il capitolo dei costi: sui voli interni Aerolineas Argentinas pratica tariffe differenziate esorbitanti per gli stranieri (tre passaggi ci sono costati circa 630 €); tariffe differenziate triplicate per gli stranieri anche per gli accessi ai parchi naturali; auto a noleggio a non meno di 50 € al giorno; escursioni turistiche a loro volta rincarate tre volte ed ormai nello standard dei 50 dollari; solo il mangiare nei ristoranti si può dire ancora economico (fra i 15 e i 20 €, a coppia, in un buon ristorante – e la carne argentina, di manzo o di agnello, è davvero superlativa). L’unico modo davvero economico di viaggiare per la Patagonia è ricorrere alla sua estesa e comoda rete di autobus di linea, almeno fino a quando anche quelli non faranno tariffe differenziate per i turisti stranieri.

2 novembre
Da Puerto Madryn all’ingresso (a pagamento) della Penisola Valdes ci sono un centinaio di km e con la nostra auto andiamo a Puerto Piramides, la piccola località da cui partono le imbarcazioni per l’avvistamento delle balene. Si tratta della balena franca australe, un cetaceo sui 15 metri che nelle acque tranquille di questa baia svezza i propri piccoli fra ottobre e febbraio. Il cielo è piuttosto nuvoloso, ma l’importante è che non piova. Con diversi altri turisti saliamo su una lancia grande quanto un normale peschereccio e nel giro di venti minuti agganciamo la nostra prima balena : incontro emozionante, anche se dal pelo dell’acqua ne emerge alla vista solo un qualche pezzo alla volta e le balene sono molto meno fotogeniche dei delfini. Poco dopo ne incontriamo una seconda, anche questa col suo piccolo che le nuota al fianco. E poi si torna a terra, a riflettere se per caso non è che queste balene non si stiano anche un po’ scocciando di tutti questi turisti che navigano loro attorno : ogni giorno, in questa baia ci sono sei barche piene di turisti che scendono in mare ognuna dalle tre alle quattro volte quotidiane. E infatti pare che le balene girino sempre più al largo dalla riva.

Più tardi, lungo la strada incontriamo i nostri primi guanachi, il camelide tipico della Patagonia, dallo muso simpatico, lo sguardo curioso e i grandi occhi dalle lunghe ciglia. E per tornare facciamo la sterrata strada costiera. Fermandoci su un dirupo a picco sull’oceano dal quale possiamo assistere alle evoluzioni in alto mare di un’altra balena col suo piccolo (per fortuna siamo stati previdenti e ci siamo portati anche un binocolo). E scoprendo che le miriadi di fiori gialli che danno colore a questo per il resto arido e grigio tavolato sono tutti fiori di tarassaco.
Il bello di questa stagione a questa latitudine è anche che c’è luce fin quasi alle nove di sera e per noi escursionisti è una vera pacchia, così che possiamo proseguire fino a Punta Loma a vedere i leoni marini. Che sono della famiglia delle otarie, quelle cioè che nei nostri circhi vengono chiamate foche, ma non lo sono. Le otarie possono infatti camminare e sollevarsi sui loro quattro arti di pinnipedi, mentre le foche hanno gli arti posteriori atrofizzati e possono solo strisciare sulla pancia. A Punta Loma c’è dunque una grande colonia di leoni marini che noi turisti possiamo comodamente ammirare (a pagamento) da una balaustra distante quanto basta a non infastidirli. Ed è davvero un piacevolissimo spettacolo.
Per cena decidiamo di provare un ristorante di pesce, visto che Puerto Madryn è un rinomato porto peschereccio. Buono, ma non entusiasmante.

3 novembre
Torniamo alla Penisola Valdes, stavolta per percorrerne l’intero circuito. La stagione è sempre molto incerta e le strade sono sterrate, ma ben percorribili anche da un piccola utilitaria come la nostra. La tappa principale è quella della Caleta Valdes, ovvero l’imbocco di un’insenatura lunga una trentina di km che un’emergente lingua di terra parallela alla costa ha ormai quasi completamente isolato dall’oceano atlantico. Prima compiamo una breve discesa fino alla spiaggia ghiaiosa dove se ne stanno distesi decine di elefanti marini, questi sì appartenenti alla famiglia delle foche. Sembrano dei giganteschi lumaconi a cui non interessi altro che di farsi la loro pennichella ! Poi spostandoci a piedi lungo un sentiero costiero: i primi pinguini, cormorani e gabbiani, altri elefanti marini e come saette nel mare improvvisamente due orche che prendono a risalire la baia alla ricerca di qualche improvvida foca. Cetacei carnivori dalla straordinaria eleganza, per favore smettiamo di chiamarle “orche assassine”, che gli assassini e i guerrafondai si trovano solo fra gli esseri umani.
Tutto intorno a noi il cielo è sempre più scuro di nuvole, ma proprio qui dove siamo non solo non piove, ma ogni tanto filtra un minuto di sole che accende il mare di toni di blu e di verde assolutamente spettacolari. Poi ripartendo scopriamo che davvero tutt’intorno ha piovuto a dirotto e la strada è diventata una poltiglia di fango rossiccio e appiccicoso. Siamo messi male, sembra di pattinare con le gomme liscie sul ghiaccio ! Ma se di proseguire per l’altra metà della penisola che ancora ci manca non se ne parla proprio, la strada del ritorno è per fortuna molto ghiaiosa e dunque percorribile. Quando rientriamo a Puerto Madryn la nostra auto è però talmente ridotta ad una scultura di fango rappreso che non ci resta che portarla a scrostare in un autolavaggio.
A cena assaggiamo per la prima volta il famoso agnello patagonico arrosto, il cordero asado. Cucinato spaccato tutto intero a metà davanti ad un fuoco lento di legna e servito poi in generose porzioni da gustarsi sorseggiando un vino rosso argentino niente affatto male. Un’autentica prelibatezza di cui d’ora in avanti finiremo col fare scorpacciate quasi tutte le sere. Ristorante raccomandato: lo “Estela”, sul mare.

4 novembre
Lasciamo l’albergo per andare a Punta Tombo, un centinaio di km a sud-est di Trelew. Ce ne sono almeno una settantina di strada non asfaltata ed il cui fondo non è nemmeno sterrato, bensì cosparso di uno spesso strato di ghiaia grossa che schizza da tutte le parti e ci obbliga ad un’andatura non superiore ai 40 km/h. La nostra meta è la più grande pinguinera turisticamente accessibile della Patagonia, dove vive il pinguino magellanico. L’impatto è spettacolare. Questo è periodo di cova e così i pinguini sono tutti dispersi su un’ampia area collinare dove hanno fatto i loro nidi scavati nella terra. E per tutto l’orizzonte vedi pinguini che covano e altri che ritti fanno la guardia al nido. Dalla collina c’è un tratto ghiaioso di discesa verso il mare lungo il quale i pinguini vanno e vengono velocissimi sulle lore corte zampette, sulla spiaggia ci sono altri pinguini e altri ancora che nuotano e si lavano giocando con l’acqua. Sono simpaticissimi !! Verrebbe da stare qui delle ore a guardarli.
Tornando, ci fermiamo a Gaiman, una delle cittadine di tradizioni gallesi della zona, dove appunto dal Galles arrivarono i primi coloni europei in fuga dalla povertà della loro terra. Tutta la storia della colonizzazione della Patagonia è storia in fondo di poveracci e di disperati in fuga dalla miseria, perchè solo quelli potevano pensare di venire a vivere in una terra tanto dura ed inospitale per l’uomo. Ma questa appunto è un’altra storia. Ora Gaiman è soprattutto famosa per le sue tipiche sale da the e le sue torte gallesi. Ed è in una di queste che ci rechiamo a gustare tali bontà. Poi prendiamo l’aereo per Ushuaia, dove arriviamo alle nove di sera (ma qui fa buio addirittura alle dieci).
Ushuaia è la città capoluogo della Terra del Fuoco argentina, che occupa circa i due terzi di questa grande isola separata dal continente sudamericano dallo Stretto di Magellano (l’altro terzo è del Cile). Si affaccia sul Canale di Beagle, che è la seconda grande via di comunicazione fra l’Atlantico e il Pacifico. E più a sud si stendono ancora un mazzo di isole praticamente disabitate (anche queste cilene), il passaggio di Capo Horn e poi la banchina dell’Antartide. E’ in sostanza la città più meridionale del mondo, che di questa cosa di essere la “fin del mundo” ha ampiamente fatto il proprio stereotipo. Così l’immagine che più mi è piaciuta è quella che qualcuno ha disegnato su una maglietta in cui compaiono una silouette della Terra del Fuoco e una dell’Antartide, separate da una linea rossa. Dalla prima parte c’è un uomo e il cartello “fin del mundo”, dalla seconda un pinguino e il cartello “inicio de la vida”.
L’atterraggio ci lascia un po’ perplessi, perchè vediamo l’aereo scendere diritto in mezzo al Canale di Beagle, con la città di Ushuaia alla nostra destra e la costa meridonale cilena alla nostra sinistra e sotto di noi soltanto acqua. E l’aereo scende e scende e non ho più nessun dubbio, stiamo ammarando. E invece le ruote toccano terra solida, perchè la pista di atterraggio si trova perfettamente parallela al Canale su una penisoletta molto addentrata nel mare che non vedi assolutamente dagli oblò dell’aereo. Poi troviamo una camera all’Hotel Capri, una sola stella e fra i meno costosi, proprio sulla lunga via di circa 2 km che rappresenta il cuore turistico commerciale di questa città ormai completamente votata al turismo.

5 novembre
Al mattino saliamo su un grande catamarano turistico per effettuare una navigazione sul Canale di Beagle. In cielo, sole e nuvole si alternano continuamente. La città è coronata da montagne innevate. Il mare è di uno scurissimo blu cobalto decorato dalla spuma bianchissima di piccole onde. Soffia un vento freddo che abbrustolisce la faccia, ma di restarsene in cabina a guardare il mondo da un finestrino non se ne parla nemmeno. Dal centro del Canale, lo scenario di queste coste frastagliate e dei brulli monti innevati che vi si affacciano è della massima suggestione. Arriviamo fino ad uno scoglio con sopra un faro solitario e poi invertiamo la rotta. Incontriamo un isolotto abitato da migliaia di cormorani dal petto bianco, che qui e in Cile chiamano “pinguini con le ali”, e un aspro scoglio flagellato da un vento impetuoso dove alloggia una piccola, ma molto fotogenica, colonia di leoni marini. A bordo ci servono caffè e fetta di torta, compresi nel prezzo di circa 38 € a testa che costa questa escursione di sole tre ore.
Al pomeriggio saliamo al Ghiacciaio Martial, che si erge proprio sopra Ushuaia. Si sale in seggiovia e poi si prosegue a piedi. Ma il ghiacciaio vero e proprio è piuttosto distante e così preferiamo fermarci a guardare il panorama dalle prime propaggini innevate. Beh, si tratta in fondo anche della prima neve “americana” che abbiamo toccato ! Poi ce ne andiamo un po’ a zonzo per la città alla scoperta delle sue vecchie case storiche: ma non risulterà molto entusiasmante.

6 novembre
Con un minibus di linea raggiungiamo la Baia di Lapataia, una trentina di chilometri da Ushuaia, da dove si snodano le varie passeggiate che si possono fare nel Parco Naturale della Terra del Fuoco. Boschi e ruscelli, stagni e laghetti, colline e montagne, fiori, uccelli e purtroppo castori. Improvvidamente qui importati dal nord-america, adesso non si riescono più ad estirpare e con le loro dighe causano l’allagamento periodico di ampie zone di bosco i cui alberi non sono adatti a vivere con le radici sott’acqua e dunque muoiono e l’ecosistema naturale ne viene compromesso. Della serie, come gli esseri umani riescono a fare danni anche per interposta persona.
Facciamo conoscenza di molte varietà di uccelli, fra cui l’oca magellanica. Un grande ed elegantissimo uccello, bianco e nero il maschio, rossiccia la femmina, che ha la caratteristica di formare coppie che restano unite per tutta la vita e dove alla morte di uno dei due segue dopo pochi giorni anche quella dell’altro. Camminiamo tantissimo, tornandocene in città solo nel tardo pomeriggio. E andandocene a quel punto a fare un po’ di Biodanza, che abbiamo giusto appena scoperto essere presente anche qui alla “fin del mundo”. Gladys, l’insegnante che ci accoglie, è entusiasticamente stupefatta dell’arrivo di due biodanzanti dall’Italia e più tardi ce ne andiamo a cena a chiacchierare con lei ed Omar, il suo compagno. Vengono entrambi da Buenos Aires, ma Gladys è qui da soli due anni e dice di non riuscire ad adattarsi al clima : fa troppo freddo, la vera estate non esiste e d’inverno è sempre notte, con appena cinque-sei ore di luce al giorno. Omar invece è qui da più di vent’anni ed ormai si è prefettamente ambientato. Ci dice che quando arrivò lui, Ushuaia era davvero “l’ultima frontiera” e contava non più di ottomila abitanti. Mentre oggi ne ha sessantamila, tutto è cambiato e si è conformato ai modelli culturali della globalizzazione e l’unica frontiera rimasta è quella con il Cile.

7 novembre
Mattinata a bighellonare per Ushuaia e poi nel primo pomeriggio voliamo a El Calafate, la porta di entrata al Parco Nazionale dei Ghiacciai. Fatichiamo abbastanza a trovare una stanza d’albergo, perchè è già tutto pieno di turisti, e alla fine ne troviamo una per 54 € a notte. Stiamo anche impiegando il più possibile la carta di credito, perchè stiamo spendendo più del previsto e rischiamo di andare a corto di contanti. Ci preoccupiamo soprattutto di organizzarci per i prossimi giorni e dunque: acquisto dell’escursione al Ghiacciaio Perito Moreno, della navigazione del Lago Argentino, dei passaggi in autobus di linea per El Chalten e poi per Puerto Natales. Per il resto, El Calafate è una piccola cittadina senza infamia nè lode, sperduta in mezzo al nulla patagonico e che prospera solo grazie ai turisti. Ristorante raccomandato : il “Mi Viejo”.

8 novembre
Andiamo in autobus al Ghiacciaio Perito Moreno, circa 150 km che sembrano interminabili per la condizione della strada, sterrata e disseminata di cantieri di rifacimento. Ma lo spettacolo che ci attende è di quelli che vale ogni fatica per arrivarci. Il Perito Moreno è uno dei pochissimi ghiacciai al mondo in avanzata e il suo fronte (che scende fino ad appena 200 mt sul livello del mare con una parete di ghiaccio alta 60 mt !) entra direttamente in uno stretto braccio periferico del grande Lago Argentino. Il ghiaccio non compone un più o meno piatto tavolato, ma un immane blocco compattato di guglie e di pinnacoli dalle sfumature di azzurro e di blu. E non è per niente silenzioso, perchè al suo interno il ghiacciaio è come vivo e si muove e si frattura e si ricompone e tutto questo produce un crepitare continuo. Per non dire poi dei piccoli e grandi blocchi di ghiaccio che in continuzione si staccano e crollano in acqua dal suo fronte, producendo colpi secchi come fucilate e grandi tonfi nel lago. Uno spettacolo unico, di un fascino tanto maestoso da lasciare annicchiliti in contemplazione per ore senza che il tempo sembri trascorrere.
Noi ce lo siamo visti sia dal lago, grazie ad un’escursione a bordo di una lancia turistica, che dalle balaustre della collina proprio di fronte, ovviamente zeppe di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Ma credo sia davvero uno dei pochissimi posti del mondo dove centinaia di turisti possano starsene tutti assieme senza quasi fiatare, tanta è la rispettosa reverenza che il Perito Moreno riesce ad incutere.

9 novembre
Navigazione di un’intera giornata del Lago Argentino, a bordo di un catamarano insieme ad altri 300 turisti. E’ una bella giornata di sole e mano a mano che ci addentriamo nel lago sempre più in direzione dei ghiacciai incontriamo una quantità sempre maggiore di iceberg. Si tratta di uno spettacolo di emozionante bellezza, questi blocchi di ghiaccio che fluttuano nell’acqua assumono vere e proprie forme di scultura artistica naturale fra le più diverse e suggestive e contengono ognuno nei suoi colori tutte le sfumature che vanno dal bianco fino al blu elettrico. Alcuni sono piccoli come una barchetta da bambini, altri giganteschi fino a due-tre volte la dimensione del nostro catamarano. Viene da fotografare ogni singolo iceberg e ce ne andrebbero rullini dietro rullini! A un certo punto approdiamo per recarci, con un breve tratto a piedi, alla Laguna Onelli. Un piccolo lago incastonato fra montagne e ghiacciai le cui acque cristalline sono zeppe di piccoli bianchi iceberg. Pranziamo con dei panini sulle sue rive e mentre mangiamo non riusciamo a scollare gli occhi da tanta bellezza. Poi la navigazione prosegue fino al fronte del Ghiacciaio Uppsala. E’ il più vasto della zona e dal centro della cordigliera andina si protende per oltre 60 km fino al Lago Argentino. E’ lui il papà degli iceberg che abbiamo finora incontrato, perchè a differenza del Perito Moreno, il cui fronte è ancorato al fondo del lago e dunque si sgretola a piccoli pezzetti, il fronte dell’Uppsala flotta invece sull’acqua e questo produce dunque la frattura e il distacco di enormi blocchi di ghiaccio che poi se ne vanno a zonzo per il lago. E poi il Ghiacciaio Spigazzini, il più “piccolo”, ma il cui fronte a picco sul lago supera i 100 mt d’altezza. E la cui caratteristica è di essere “morenico”, ovvero di trascinare con sè verso valle inglobati nel ghiaccio tantissimi detriti delle rocce che sgretola durante il suo percorso. Ok, questa gita ci è costata sui 50 € a testa, ma ci ha permesso di innamorarci definitivamente e per sempre dei grandi ghiacci di questa straordinaria parte di mondo.

10 novembre
Seconda consecutiva giornata di sole splendido e cielo terso e azzurrissimo. Partiamo per El Chalten, 230 km di strada sterrata in autobus, ma viaggio tutto sommato comodo. A un certo punto davanti a noi si para spettacolare l’intero profilo di quest’angolo di cordigliera, con nitidissimi i complessi del Cerro Torre e del Fitz Roy. Gran parte dei viaggiatori reclama una breve sosta per poter fare delle fotografie, ma l’imperterrito autista replica che quello è un trasporto di linea e “non si può”. Così cerco di sconfiggere i continui sobbalzi del nostro automezzo regolando il tempo di scatto della mia macchina fotografica ad 1/1000 di secondo e scatto alcune foto attraverso il parabrezza. Una vera fortuna averlo fatto ed essere riuscito nel mio intento, come poi scoprirò.
El Chalten è un piccolo conglomerato di case disperse in un ampia ed isolata vallata pre-andina, da sempre base delle escursioni alpinistiche verso le aspre e suggestive vette circostanti, che negli ultimi tempi vive di un’accresciuta affluenza turistica, ma certo non ai livelli di El Calafate. Le montagne che lo cingono e lo riparano ne impediscono anche ogni vista panoramica dei dintorni e il ragazzo che ci accoglie per darci la chiave del nostro bungalow ci dice che siamo arrivati in un momento molto fortunato, perchè è raro che il cielo di queste parti sia così limpido e terso. Il che ci rende ancora più odioso l’autista del nostro autobus.
Abbiamo mezza giornata di luce ancora a disposizione e così decidiamo di inerpicarci subito lungo il sentiero fra i monti che conduce al mirador, cioè al belvedere, verso il Fitz Roy. Sarebbe un’ora e mezza, ma noi ne impieghiamo una in più, cinque in tutto fra andare e tornare, non siamo gente allenata alla montagna ! Le scenografie che via via si aprono intorno a noi sono affascinanti e straordinario è poi l’impatto emozionale con la veduta ravvicinata del maestoso e granitico picco del Fitz Roy, che gli indigeni (ora tutti estinti in ogni angolo della Patagonia) chiamavano appunto Chalten, cioè montagna che fuma. Per questo si credeva che fosse un vulcano, ma in realtà non fuma, è che le nuvole gli si appiccicano alla vetta e da lì si estendono come appunto pennacchi di fumo, un fenomeno che a un certo punto anche noi abbiamo avuto modo di vedere, con la pressochè unica nuvoletta presente nel cielo. E lungo il ritorno, ad accompagnarci nel bosco il frenetico ticchettio di tanti picchi dalla testa nera o rossa.

11 novembre
Il cielo è denso di nuvole basse e scure e la nostra passeggiata ci conduce fino al mirador del Cerro Torre, che dovremmo avercelo proprio di fronte, ma non si vede assolutamente: è la Patagonia, bellezza, dove il tempo cambia completamente nel giro di un attimo e le giornate di sole sono una rarità. Le foto che avevo scattato dal pulmann saranno le sole che potrò riportarmi a casa di questo massiccio di torri granitiche un po’ simili a quelle dolomitiche di Lavaredo e la cui vetta venne per la prima volta raggiunta da una spedizione alpinistica italiana. Per l’ora di cena siamo di nuovo a El Calafate.

12 novembre
Lasciamo l’Argentina e con un pulman di linea attraversiamo la frontiera con il Cile e arriviamo a Puerto Natales. Il viaggio dura circa 4 ore, la strada è quasi tutta sterrata, ma anche questo pulman è nuovo e confortevole.
Puerto Natales è una cittadina ad alcune centinaia di km dall’Oceano Pacifico, è completamente incastonata fra i monti, ma è anche un porto di mare. Perchè si affaccia non su un fiume come sembrerebbe, bensì su uno delle centinaia di fiordi che dall’oceano penetrano tortuosamente la terra di questa parte di mondo. Il fiordo si chiama Seno Ultima Esperanza e una delle principali tradizionali attività economiche di Puerto Natales è la pesca del salmone, di cui Cile e Norvegia si contendono il primato. Quello che soprattutto ci piace di questa città è che è ancora tagliata su misura dei cileni che la abitano e non dei turisti che la frequentano.
Anche qui passiamo il pomeriggio ad organizzarci i giorni successivi e a scoprire un po’ questa città. La sera decidiamo di cenare a pesce e consigliamo il ristorante El Maritimo. Ma dobbiamo anche dire che la cucina cilena non ci ha mai entusiasmato. Pesce e frutti di mare li abbiamo trovati sempre freschissimi, ma è l’arte culinaria che lascia poi a desiderare. Ugualmente, manzo ed agnello cileni non sono certo di qualità inferiore a quelli argentini, ma è tutta un’altra storia come vengono trattati e cucinati e la voglia di “cordero patagonico” è meglio togliersela in Argentina. Il vino rosso cileno è invece sicuramente di ottima qualità, meglio del pur valido argentino. Caffè ugualmente terribile di qua e di là dalla frontiera !

13 novembre
Ci rechiamo al Parco Naturale Torres del Paine con una escursione organizzata, in autobus turistico. Lungo la strada ci portano anche alla Cueva del Milodon, un profondo antro nella roccia di una montagna reso famoso dal libro di Chatwin e dove vennero scoperti i resti di un grande sconosciuto animale preistorico che venne appunto chiamato Milodonte.
La giornata è fredda e nuvolosa e per arrivare al Parco si percorrono 130 km quasi tutti sterrati. Un po’ per il tempo e un po’ per questo trovarci intruppati in comitiva non riusciamo a gustarci veramente le bellezze di questi posti, che comunque traspaiono vigorosamente. Si tratta di un ambiente sub-andino, fatto di ghiacciai, montagne innevate e torri di granito, di laghi e laghetti, di boschi e di cascate. E a proposito di boschi, c’è anche da dire che quelli della Patagonia e della Terra del Fuoco hanno due principali caratteristiche. Una è che sono formati da sue sole specie di alberi, le uniche adatte al clima rigido e ventoso di queste parti. L’altra è che sono stati in grandissima parte bruciati dagli incendi di quest’ultimo secolo. Tutti causati dai colonizzatori e dagli allevatori, a volte deliberatamente, altre accidentalmente. Il problema è che qui ogni incendio divora centinaia di ettari di bosco prima di estinguersi e che poi, per le asprezze del clima, prima che un bosco si rigeneri occorrono una cinquantina di anni. Tornando invece a parlare del parco, il suo nome è dovuto alle Torri del Paine, alti pinnacoli di granito che ci dicono assai spettacolari, ma che ci restano completamente celati dalle nuvole. Poi ci sono i Corni del Paine, che intravediamo parzialmente, e il massiccio del Paine Grande, una montagna tutta bitorzoluta e ricoperta di neve.
Vediamo un po’ di guanachi, un paio di volpi patagoniche, una bella cascata e poi ce ne andiamo al Lago Grey sul quale scende il Ghiacciaio Grey, dal quale si distaccano degli iceberg che dopo aver percorso tutto il lago vanno ad arenarsi sulla spiaggia opposta. Ed è questo nuovo affascinante spettacolo di ghiaccio che possiamo ammirare, appunto arrivando a piedi fin sul bordo di questa spiaggia. Oltretutto nell’unico momento della giornata in cui riesca anche a filtrare qualche raggio di sole. Ancora poi un po’ di giri in autobus e a piedi e dopo si torna a Puerto Natales con la sensazione di esserci però persi molto.

14 novembre
Oggi navigazione del Seno Ultima Esperanza. Mai conosciuto un vento tanto freddo come quello che ci taglia a mezzo standosene sul ponte di questa nave. Alte montagne scure a farci da contorno, una parete di roccia dove hanno messo su casa i cormorani dal becco rosso, un condor che vola altissimo sulle nostre teste, il ghiacciaio Balmaceda in così vistosa ritirata da mettere tristezza e riflettere un po’ sui cambiamenti climatici la cui repentinità è assai più visibile in questa estrema parte di mondo. Anche di questa escursione, il clou è rappresentato da un ghiacciaio che si stempera in un lago. Si tratta del Ghiacciaio Serrano, un ghiacciaio fortemente morenico, ove anche i piccoli iceberg rilasciati nel piccolo lago inglobano piccole rocce e pietrisco. E che volete, per quanti di questi spettacoli possiamo aver già visto, ogni volta è un rinnovarsi del suggestivo fascino che esercitano e anche di qui non vorremmo quasi più andarcene. Durante il ritorno facciamo una seconda sosta per una passeggiata naturalistica nei terreni di proprietà di una grande isolatissima estancia dove oltre ad allevare ovini hanno anche preso a rifocillare turisti.

15 novembre
Stanotte ha piovuto, ma oggi c’è finalmente il sole, così andiamo a noleggiare un’auto per tornare autonomamente al Torres del Paine. Sull’ultimo tratto di strada prima di arrivare, una bellissima sorpresa : tutto intorno a noi c’è stata una strepitosa fioritura di piccoli fiori rosa che, fittissimi, formano insieme ad altri piccoli fiori gialli uno sterminato e coloratissimo tappeto giallo e rosa. Siamo sicuri che l’altro ieri questi fiori non ci fossero e ci viene il sospetto che si tratti di un fenomeno del tutto affine a quello delle “rose di Atacama” : un terreno estremamente arido dove quando però cade un po’ di pioggia e poi segue il sole si assiste tutto d’un colpo alla straordinaria fioritura di milioni di fiori.
Visitiamo la parte settentrionale del parco, dove con il pullman non siamo andati. Scoprendo nuovi laghi e un’altra bellissima cascata e incontrando decine di guanachi e una femmina di nandù (il piccolo struzzo sudamericano) che se va lungo il ciglio della strada con una mezza dozzina di suoi piccoli : sono carinissimi ! Anche le montagne intorno sono ovviamente più scoperte alla vista, però l’unico vero addensamento di nuvole è proprio quello che ci nasconde le Torri del Paine : evidentemente non le dobbiamo vedere. E con il sole e senza essere intruppati in comitiva anche quelle zone che poi rivediamo per la seconda volta ci sembrano più belle.

16 novembre
Con un altro pulman di linea raggiungiamo Punta Arenas, la cittadina sullo Stretto di Magellano che è la più meridionale vera città del Cile. Da Puerto Natales a qui, più di 200 km senza incontrare una sola casa : quando si dice poco affollato! Visitiamo quel poco che c’è da vedere di questo posto, compreso il cimitero storico. E quello che più ci piace è la vista sui coloratissimi tetti delle case che si ha dal belvedere di una bassa collinetta: anche perchè pure oggi c’è il sole e oltre la città si stendono le acque turchesi dello stretto e oltre quelle svettano le montagne innevate della Terra del Fuoco. Ma per il resto Punta Arenas non offre proprio altro che l’aeroporto che collega questo lembo di mondo a Santiago del Cile.

17 novembre
Arriviamo in volo a Santiago verso mezzogiorno. Lungo il tragitto, abbiamo potuto ammirare dall’alto alcuni altissimi vulcani andini le cui vette innevate sembravano nascere dalla fitta coltre di nuvole che invece trapassavano e poi anche l’enorme e spettacolare Ghiacciaio San Rafael, purtroppo in spaventosa ritirata di centinaia di metri all’anno. Di Santiago, invece, la prima cosa che notiamo dall’alto è la spessa coltre grigio-giallognola dello smog che si estende per tutta l’ampia vallata in cui si trova questa metropoli. Ma per fortuna noi qui non pensiamo proprio di starci nemmeno un’ora e infatti dopo mezz’ora siamo già sull’autobus che ci porterà a Vina del Mar, la più rinomata delle località balneari del Cile, a un centinaio di km da Santiago.
La chiamano la “città giardino“, ma per noi è una grossa delusione. Bruttina e piena di traffico, con spiaggette anguste che danno su un mare, l’Oceano Pacifico, oltretutto decisamente sporco. In più fa abbastanza freddo e a un certo punto piove anche un po’. Ma forse per gli abitanti di Santiago è già un piccolo sogno poter evadere dalla loro città verso un posto come questo, tutto è sempre relativo.

18 novembre
Al mattino andiamo a Valparaiso, di cui Vina del Mar è praticamente un’estensione. E ci chiediamo per quale arcano mistero questa città possa essere stata dichiarata dall’Unesco “patrimonio culturale dell’umanità”. La troviamo bruttissima ed in gran parte sporca e fatiscente e anche dall’alto, quando ci rechiamo a visitare la casa-museo di Pablo Neruda, non riusciamo a vederci proprio nulla di apprezzabile. L’unica cosa che maggiormente anzi si apprezza dalle colline che contornano la città è la leggera cortina di smog che offusca la baia. Poi al pomeriggio ci trasferiamo nel grande hotel centro congressi dove fino al 22 parteciperemo al X Incontro Sudamericano di Biodanza che quest’anno si tiene appunto qui in Cile, per la prima volta nella terra dove è nato Rolando Toro, il fondatore di Biodanza. Perchè è solo per questo che siamo infine venuti da queste parti, altrimenti ce ne saremmo rimasti ben volentieri in Patagonia !
E per tre giorni e mezzo è solo Biodanza e stare insieme ad altre trecento meravigliose persone “missionarie” di amore, di pace e di vita che vengono dal Cile e dall’Argentina, dal Perù e dal Brasile, dall’Uruguay e… dall’Italia! Il rivedere tanti vecchi amici e l’incontrare tanti altri nuovi amici. Mentre in una Santiago blindata da ventimila poliziotti prende il via la Conferenza dell’Apec e arrivano Bush e Putin e il Presidente Cinese e tanti altri Capi di Governo delle due sponde del Pacifico. A parlare delle loro guerre e dei loro traffici.
E questa sarebbe davvero tutta un’altra loro storia, se non fosse che purtroppo abbiamo loro permesso di farla diventare anche la nostra storia.
Ciao e buoni viaggi a tutti,
Giorgio e Antonia.