Così sono andata in agenzia di viaggio e ho prenotato. Due giorni dopo mi aspettava la realizzazione di un sogno. Ho sempre immaginato di visitare tutta l’Africa e di cominciare proprio dalla Tunisia.

Siamo partiti il 13 settembre, con due ore di ritardo, dall’aeroporto di Catania, con la compagnia aerea Tuninter. A prima vista il nostro aereo non prometteva niente di buono,dato il sole, i vetri della cabina di pilotaggio erano coperti dai.. GIORNALI!! Inoltre non era l’aereo che mi aspettavo, somigliava più a un piccolo aereo di provincia con i posacenere ancora sporchi del viaggio prima. Il viaggio comunque è andato bene. In un’ora eravamo già all’aeroporto di Tunis-Cartaghe. Lì ci aspettava il pulmino che ci avrebbe portato ad Hammamet, dove si trovava il nostro splendido albergo; un misto fra abitazione araba e coloniale.

La prima impressione che ho avuto appena abbiamo messo piede a terra, impressione che è rimasta tale per tutto l’intero soggiorno, è di “CROCCANTEZZA”; non so, sarà stato l’odore di fritto, di spezie, di alberi e giardino umido, di stanze d’albergo con l’armadio in legno laccato, ma quell’odore di misto croccante mi è rimasto addosso, e quando oggi ripenso alla Tunisia, mi sembra quasi di sentirlo impregnato, come allora, nei vestiti.

La stessa sera dell’arrivo abbiamo conosciuto la nostra guida che ci ha dato alcune dritte sugli usi e costumi delle città che avremmo visitato; nel frattempo però si era già fatta ora di cena e noi morivamo di fame, così, col buco allo stomaco, siamo corsi al ristorante. Da buoni turisti intelligenti, abbiamo deciso di assaggiare tutto quello che il repertorio culinario tunisino poteva offrirci. Abbiamo mangiato couscous, datteri (buonissimi), dolci, marmellate e verdure speziate per l’intera settimana. Non curanti degli effetti disastrosi sul nostro povero stomaco, abituato alla cucina italiana. Così stanchi ma entusiasti e all’odor di frittura siamo andati a dormire.

Il giorno dopo abbiamo visitato la città di Hammamet. Il taxi, con la pelliccia tigrata e sintetica sul cruscotto, ci ha portato in centro e lì i miei occhi hanno iniziato ad assorbire, come fossero spugne, tutti i colori travolgenti della medina . Colori che profumavano di gelsomino e di cucina grassa;colori che si mischiavano alla musica e alle urla dei negozianti. Dal mercato, il suk, che circonda tutta la parte vecchia della città, siamo saliti sulle mura della casba, da dove abbiamo potuto gustare, insieme all’odore di pipì, un meraviglioso e succoso tramonto aranciato. Le vie della città nuova sono piene di turisti e tunisini che cercano di vendere gli oggetti più disparati.

Fortunatamente noi siamo scaltri e incorruttibili, se non fosse stato per un ragazzo che, avvicinandosi a noi, dice di lavorare per il nostro albergo e di averci riconosciuti, e ci invita a seguirlo perché così ci farà visitare la moschea… Furbo lui e noi cadiamo nel suo gioco. Così dopo aver visitato la moschea… CHIUSA, andiamo nel suo negozio e compriamo qualcosa come tutti, quei “tutti” che noi un attimo prima avevamo guardato con sufficienza!

Il giorno seguente siamo partiti per Sousse, ridente cittadina sul mare. Siamo andati in treno, noi e un gruppo di anziane signore in vestito berbero, con i piedi, le mani ed il viso decorati con l’hennè. Sousse è davvero carina, la medina è piena di negozi e profuma di pane, con sopra le mosche però! La parte del mercato coperta è in penombra, ed è illuminata a tratti dalle luci gialle dei negozi, che esaltano i colori dei tappeti e degli oggetti in rame.

La gente si trascina da una bancarella all’altra e, tra un negozio ed un altro, si intravedono bar pieni di uomini che, immersi nelle loro discussioni di certo interessanti, fumano il narghilè. Da Sousse il passo è breve per Port el Kantaoui. Porticciuolo alla St.Tropez, tutto alberghi di lusso, barche miliardarie e spiagge sporche. La mattina seguente la sveglia è alle quattro, si parte per il tour con le jeep nel deserto.

Il viaggio è lungo e stremante ma la compagnia è quella giusta. La ciurma è formata da me, il mio ragazzo, che alle 12:30 di ogni giorno vuole sentire alla radio la preghiera del ramadan, due mie amiche, madre e figlia, una signora austriaca di quasi ottant’anni che viaggia da sola, parla quattro lingue e fuma come un turco, ed infine il nostro autista Yousserì, un ragazzo di ventitre anni, ma che ne dimostra trenta, dai tipici caratteri somatici tunisini… BIONDO E CON OCCHI VERDI!
Il tour nel deserto è stato sfiancante ma carico di emozioni. Man mano che scendevamo per il sud della Tunisia c’era più povertà e meno igiene. Qui la sabbia è dappertutto. Non esistono strade e tutti camminano scalzi. 40° all’ombra ma non si suda perché il tasso di umidità è basso. Qui le pianure sono come il mare, a perdita d’occhi. Per chilometri e chilometri non vedi anima viva e poi, come da sotto una pietra, sbuca fuori qualcuno, un uomo col trattore, una donna berbera o un bambino col grembiule. Nella infinita solitudine e pace di queste strade, sfiorate dalla sabbia che sembra schiuma del mare, camminano verso non sò quale meta, visto che qui non c’è proprio niente intorno. A tratti si incontrano piccoli centri dove la gente vende gasolio o una pecora viva da scegliere e fare alla brace sul momento, mentre i ragazzi, in divisa blu, davanti alle scuole, schiamazzano e ci salutano. Le oasi con le cascate poi non sono proprio come nel film “Paradise”, qui ci sono turisti ovunque che, non curanti della folla, si spogliano nudi per indossare il costume e fare il bagno da immortalare, ma l’acqua è torbida e con le rane. E poi ci sono bancarelle e i negozianti che ci chiamano scambiandoci puntualmente per spagnoli. Cos’avremo poi noi di spagnolo continuo a chiedermelo ancora adesso. Abbiamo pure cavalcato le dune, e abbiamo fatto la tipica foto da turista seduto sul tetto della jeep, ma la sensazione più forte è stata quella di vedere e respirare la distesa di sabbia. Sabbia rosea come il culetto di un bambino, impalpabile come farina 00, vischiosa come olio; sabbia che appena sfiorata scivola giù come fosse acqua, che al tramonto si fa grigia e che, insieme al vento, avvolge noi ed i cammelli in lontananza come fosse una coperta di pail.

Le montagne della Tunisia non sono come le nostre in Sicilia, ma più basse e più le sali, più caldo fa e più tutto diventa color arancio. Anche le oasi non sono come quelle che mi aspettavo e che si vedono in TV, sono soltanto dei paesini circondati da grandi piantagioni di palma da dattero.

Sempre in montagna abbiamo visitato le abitazioni berbere, ovvero delle case scavate nella roccia, con un cortile centrale da cui si dipartono alcune piccole stanze. Qui la gente è davvero lontana dalle nostre comodità, luce, acqua, telefono e caldobagno!
Ci offrono da bere il buonissimo tè alla menta col pistacchio a pessettino sopra e del buonissimo pane arabo fatto in casa da inzuppare con l’ olio d’oliva.
Un bimbo scalzo e sporco gioca con i cani davanti la porta di casa, li abbraccia e li bacia… Visione tenera se non fosse per i parassiti, grossi come un’arachide, che saltellano dal cane al bambino e viceversa. Abbiamo detto a Yousserì che era pericoloso e che in Italia, per un morso di zecca, si muore, ma lui ci ha risposto che qui è normale e che ci sono abituati… BEH ALLORA!!!!

L’ultima tappa sono state le città di Cartagine, tunisi e Sidi Bou Said. Le terme di Cartagine sono meravigliose, ben tenute e simili a quelle in Sicilia, a parte la super moderna casa del governatore che rovina le “foto delle terme con panorama”. Tunisi è una metropoli con grattacieli e superstrade ai cui bordi pascolano mucche e galline. Perfetto connubio tra civiltà moderna e rispetto per le tradizioni!!

Siamo saliti su una terrazza da cui si poteva vedere tutta la città, la moschea e le macchie di colore del mercato. All’interno di quest’ultimo l’aria è tiepida e saporita di frittella; la via al coperto che ospita le gioiellerie è illuminata e tutto si riflette in un magico color oro, sul quale le bandierine tunisine appese in alto sembrano piccoli coralli incastonati su di un gioiello troppo vistoso. Sidi Bou Said mi ricorda tanto Taormina, è arroccata su di un altura, molto cara e alla moda. Le case sono bianche e azzurre e le strade piastrellate. Questa è la città degli artisti e tutto qui mi sembra grazioso e lezioso. Abbiamo visitato il museo “La casa della sposa” e ci siamo soffermati per i tipici caffè carichi di turisti.

La sera siamo tutti saturi di colori e di compere, tutti tranne me, ed il solo pensiero che domani sarò sull’aereo per casa, mi mette una tale malinconia che sistemo le valigie a malincuore e mi addormento pensierosa. Il mattino della partenza eccoci tutti carichi e soddisfatti all’aeroporto. Prima di salire sul “piccolo pullman di provincia”, ovvero il nostro aereo, respiro a pieni polmoni e cerco di tenere in apnea, tutto l’odore di denso fritto croccante tunisino, che ancora oggi mi ricordo con grande nostalgia!