Istanbul - Moschea Blu
Cappadocia - Chiese rupestri di Goreme
Cappadocia - Chiese rupestri di Goreme
Caravanserraglio di Karatay Hani
Nemrut Dagi
Myra
La biblioteca di Celso

PROLOGO
…Forse una delle ragioni per le quali non ho mai dormito molto in autobus è che mi piace guardare e godermi tutto il paesaggio esterno. La TURCHIA in particolare ha un ambiente che spesso cambia dopo la curva o il dosso successivo, quindi sono qui, nonostante le quasi 11 ore passate in bus e il buio della notte, a guardare fuori e a cercare ostinatamente qualcosa che non ho visto.
Siamo quasi a Istanbul a siamo partiti nel pomeriggio verso le 15 da Kusadasi . Alle 6:20 di domani 5 maggio prenderemo l’aereo che ci porterà a Francoforte e da qui a Bologna dove, io e Paola, avremo ancora due ore di treno per Milano. Mi rigiro ancora sul sedile, Paola è appoggiata sulla mia spalla e cerca di dormire un pochino, mentre Barbara e Marco sono sui due sedili vicino ai nostri.
Sono contento del nostro viaggio, sono contento anche di tutte le esperienze fatte e sono contento dei nostri due compagni di ‘avventure’ sempre pronti a dedicarci un sorriso o una battuta in ogni momento. Con Marco e Barbara condividiamo molti interessi tra cui la continua voglia di conoscere e forse, con loro, anche i miei viaggi precedenti sarebbero stati più ricchi di un sano entusiasmo.
Mi rigiro verso il finestrino dell’autobus e vedo in lontananza le prime luci di Istanbul, pensare che mi sembra così lontano il giorno della nostra partenza, il giorno in cui arrivammo proprio qui …

24 aprile 2002

Parola mia, non ho mai guardato così di continuo l’orologio: le due ore e mezzo di treno tra Milano e Bologna mi sono sembrate un’eternità. Fortunatamente abbiamo evitato lo sciopero degli addetti alle pulizie dei treni e alle 14,30 siamo alla stazione di Bologna… anche Paola mi sembra impaziente. Decidiamo di mangiare e poi con calma prendere la navetta per l’aeroporto. Paola vuole un gelato, io preferisco altro, comunque decidiamo di cercare una gelateria nei dintorni della stazione. All’improvviso scorgiamo la tendina di un chiosco… è una piadineria!!! Avete presente, nei film, le scene in pieno deserto quando si scorge in lontananza un’oasi? Ecco, la stessa cosa. Ci basta una rapida occhiata e siamo già in procinto di ordinare una piadina con lo squaquerone e il prosciutto crudo (per quanto mi riguarda). Passiamo un’oretta piacevole, poi ci carichiamo lo zaino in spalle e ritorniamo in stazione, dove, dopo 15 minuti, ci attende la navetta. Siamo solo da cinque minuti nell’area check in ed ecco che arrivano i nostri compagni di viaggio: Barbara e Marco. All’inizio mi spavento: nel loro carrello conto ben sei valigie/zaini… era solo un’illusione ottica, sono carichi quanto noi.
Sono passati solo due mesi da quando li abbiamo visti su a Milano, ma devo dire che per me è sempre un enorme piacere rivederli… non parliamo poi per Paola, mi sembra così contenta quando può rivedere sua sorella e suo cognato. Il tempo per un caffè e siamo pronti per l’imbarco poco prima delle 19:00. L’aereo parte con una ventina di minuti di ritardo e, seduti nell’attesa, scrivo il diario e non posso fare a meno di notare l’espressione di Barbara: è inchiodata al sedile e non muove un muscolo, la mummia di Ramsete II nel museo egizio del Cairo mi sembrava un pochino più dinamica… bando alle chiacchiere, si decolla per Francoforte! Neanche il tempo di bere qualcosa che siamo arrivati e di nuovo via verso Istanbul. Partiamo in ritardo, per il resto comunque le due ore e mezzo di viaggio scorrono tranquille. All’arrivo ci attende un signore con un cartello:”Star Holiday Hotel”… iniziamo a vedere i minareti illuminati da luci artificiali, la Moschea blu e Santa Sofia; il nostro albergo è in pieno centro, il Sulthanamet. Finalmente in albergo ci possiamo sdraiare per dormire… sono le tre di notte ora locale.

25 aprile 2002

Alle cinque di mattina mi sveglio di soprassalto… è il canto del muezzin! Mi sono spaventato, pensavo ad una crisi mistica notturna di Paola. Il tutto va avanti per dieci minuti e così riesco ad addormentarmi. Ad ogni modo la sveglia suona alle 7,30… ci alziamo un pochino assonnati, ma durante la colazione mi accorgo che anche Barbara e Marco sono nella stessa condizione: il caffè e il pane con marmellata e cioccolato ci rimettono subito in forma. Usciamo dall’albergo e subito ci troviamo nella zona dell’Ippodromo, con la Moschea blu da un lato e Santa Sofia dall’altro. Dopo una breve occhiata agli obelischi, subito entriamo nella Moschea blu, non scordandoci di togliere prima le scarpe. Rimaniamo tutti e quattro a bocca spalancata: le maioliche blu, le quattro immense colonne che sorreggono la volta con scritte arabe ovunque e i nostri piedi nel frattempo calpestano morbidi tappeti.

Da qui ci dirigiamo verso Santa Sofia (ben 15 milioni di Lire Turche – circa 15 Euro!), più antica di 1000 anni rispetto alla Moschea blu. Fu infatti costruita da Giustiniano e comunque si vedono muri spesso cadenti, rovine romane e rappresentazioni di Gesù che tanto mi ricordano i mosaici di Ravenna.

Terza tappa è la Basilica della Cisterna, uno spettacolo! Si cammina su delle passatoie tra numerosissime colonne la cui base è immersa nell’acqua. Anticamente era una fonte di approvvigionamento idrico durante gli assedi. Fuori fa freddo ed è molto nuvoloso, ci rifugiamo in un ristorante per riscaldarci e mangiare qualcosa… kebab naturalmente!

Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita al Gran Bazar: per raggiungerlo attraversiamo numerose viette dove veniamo regolarmente fermati per sapere da dove veniamo, se ci siamo persi o se vogliamo un tappeto! È un vero flagello… basta che guardiamo una vetrina o ci fermiamo a guardare la cartina. Nel Bazar la musica non cambia tra decine di negozi di oro e di tappeti; io e Marco, nonostante il fascino del posto, ci scocciamo presto, ma alla fine anche Barbara e Paola si stufano del continuo assedio. Usciamo dal Bazar e decidiamo di dirigerci verso la Moschea di Solimano, la più grande di Istanbul. Nel tragitto ci perdiamo in una via piena di negozi specializzati in articoli per i matrimoni; veniamo in contatto per la prima volta con la vera popolazione: donne velate con espressivi ma sfuggenti occhi azzurri o nocciola ( i turchi hanno degli splendidi occhi!). Passiamo anche in mezzo ad una bolgia spaventosa di uomini e ci sentiamo un po’ fuori luogo. Finalmente arriviamo: la Moschea blu è molto più bella a mio parere, ma anche questa vale l’arrampicata che ci siamo fatti per vederla.

Durante il ritorno fermiamo un taxi per farci portare all’otogar, dobbiamo infatti comprare i biglietti per dopodomani per Urgup in Cappadocia. Meno male che l’autista ci dà una mano, ci sono decine di compagnie e ognuna ci vorrebbe proporre i suoi autobus, ma scegliamo la NEUTUR, come suggeritoci dall’autista che anzi ci accompagna di persona. Tornati in albergo ci aspetta una doccia e la cena; il ristorantino che scegliamo fa anche la pizza turca (veramente ottima!); riusciamo così a passare la serata a chiacchierare con calma al riparo dall’assedio dei venditori.

26 aprile 2002

Ci siamo: ecco, questa è la mattina dedicata all’Hamam. Ci alziamo alle 6.30 e in ½ ora siamo pronti a coprire i 300 metri che separano il nostro albergo dal bagno turco “CIAMBERLITAS” uno dei più famosi Hamam di Istambul. Pagato l’ingresso veniamo separati: Barbara e Paola da una parte, Marco ed io dall’altra. Ci danno una specie di gettone e ci conducono in uno spogliatoio con dei divanetti. Marco si gira, mi guarda e sogghigna…..il tizio che ci ha condotto fin lì ci consegna la chiave e due teli da avvolgere in vita. Siamo di fronte ad un dilemma: dobbiamo tenere le mutande sotto il telo? Mha! Decidiamo di tenerle e ci avviamo verso una porticina di legno; entriamo in un locale tiepido e da qui veniamo introdotti in un secondo locale molto caldo ma senza il vapore che mi aspettavo. Marco si gira ancora, mi guarda sogghigna… sto per tirargli la ciabatta di legno che ci hanno dato… solo lo sguardo severo dei massaggiatori mi ferma dal farlo. L’Hamam ha una cupola traforata da dove entra la luce; al centro del locale c’è un rialzo in marmo ottagonale caldo sul quale dobbiamo stenderci a “sudare” e tutt’intorno ci sono delle nicchie sempre in marmo con dei lavandini dove ci si può lavare. Restiamo così per una mezz’ora, finchè un signore abbastanza smilzo prende da parte Marco, lo fa sdraiare e inizia a strofinare e insaponare. Questa volta sono io a sorridere… lo vedo teso. Dopo neanche 5 minuti una specie di King Kong baffuto di almeno 120 kg. di peso mi viene a prendere. Ha una pancia che potrebbe contenere tranquillamente un’otre. Mi gira di schiena e inizia l’opera. Guardo verso Marco, sorride a 85 denti…..la canaglia!!! Ci massaggiano e insaponano con vigore e poi ci sciacquiamo con secchiate di acqua calda… a piacere… o anche fredda. Finalmente, avvolti in morbidi teli, ci si riposa nel camerino… medito vendetta su Marco ma sono troppo buono… sorvolerò sull’accaduto.

Usciamo così strigliati e riposati, Barbara e Paola ci mettono qualche minuto in più ma, alla fine, torniamo in albergo per la colazione e da qui al Topkapi, ex residenza di sultani. L’ingresso costa circa 15€, ce ne vogliono altri 15 per visitare l’Harem e ancora 15 per il tesoro: una follia !! Decidiamo di visitare solo la parte esterna, quindi niente harem e tesoro… è comunque una bella visita e la splendida vista sul Bosforo con il ponte che unisce Europa e Asia. Il pranzo e il resto della giornata lo trascorriamo in completo relax scaldati da un bel sole primaverile. Le 19 arrivano presto, prendiamo gli zaini dall’ albergo e il nostro “amico” taxista ci porta all'”otogar”, la stazione dei bus. Partiamo per Urgup alle 21 con ½ ora di ritardo. Passeremo la notte sull’autobus arriveremo alle 8 di domani mattina: ci aspetta la Cappadocia.

27Aprile 2002

Le luci dell’alba rischiarano le pianure della Cappadocia, per la prima volta sono riuscito a dormire sull’ autobus almeno un pochino, Paola invece, che generalmente “dove la metti dorme”, ha passato una notte di continuo dormi-veglia. Ad ogni modo alle 8 siamo a Urgup, identifichiamo con facilità l’ufficio “Avis” e in circa ½ ora sbrighiamo le pratiche di noleggio: abbiamo una Fiat Marea bianca che puzza di mangime di pollo. Proseguiamo per Goreme dove abbiamo l’albergo: è stupendo, le camere sono scavate nei coni di tufo. Lasciamo gli zaini in macchina, visto che le camere non sono ancora pronte. Ci dirigiamo a piedi verso il museo all’aperto di Goreme costituito da un insieme di chiese rupestri scavate nei coni di tufo (questi coni sono depositi di remote eruzioni). L’ingresso è l’ennesimo salasso: 15€ (altri 10€ per l’ingresso alla Dark Church). In turchia giusto da quest’anno hanno rincarato tutto. Il sito è patrimonio dell’Unesco e in molte chiese ci sono bellissimi affreschi; vaghiamo per circa 1 ora e ½ tra una chiesa e l’altra, poi torniamo in albergo dove hanno finalmente preparato le nostre camere. Sistemiamo al meglio gli zaini e poi andiamo a mangiare dei panini con Kebab e verdure. Ci crogioliamo sulle sedie del ristorantino per un po’: il sole e il posto sono veramente piacevoli… ma ecco che appaiono in lontananza dei nuvolosi neri, è meglio sbrigarsi ed andare in macchina a Zelve a vedere i camini delle fate. Il paesaggio è lunare e si incontrano lungo la strada numerosi coni di tufo sormontati da pietrosi che sembrano in bilico: tutte queste strutture sono dette appunto Camini Delle Fate. Non entriamo nel sito, si vedono bene anche da fuori e poi siamo stufi di questi salassi per vedere anche la minima cosa. Prendiamo la macchina e giriamo un pochino a zonzo per la parte di Cappadocia vicino a Urgup; inizia a piovere e ci spostiamo in direzione sud dove si possono visitare le case sotterranee. Fermati ancora una volta dal prezzo di ingresso (10€) e, diciamolo, anche dal nostro scarso interesse, torniamo in albergo. Mancano un paio d’ore alla cena perciò, dopo una doccia, ci riposiamo per circa un’ora. La serata la passiamo in uno splendido ristorante di Goreme dove mangiamo zuppe di lenticchie o funghi o pomodoro con una specie di pane-focaccia buonissimo e, dopo, ancora meglio, la pida (la pizza turca). Andiamo a letto alle 10 ben rifocillati.

28 aprile 2002

Facciamo colazione attorno alle 7:30, proviamo quello che chiamano toast francese, praticamente è pan carré fritto, niente di speciale. Paghiamo e lasciamo il nostro albergo nei coni di tufo. Facciamo qualche fermata per le ultime foto della Cappadocia e via in direzione Kayseri e da qui verso Pinarbasi fermandoci a visitare il caravanserraglio di Karatay Hani, un posto di sosta lungo la via della seta. Ci accolgono festosi dei bambini e un signore anziano apre per noi il lucchetto d’entrata. Uno dei bambini che ci hanno accolto ci fa anche da guida all’interno del caravanserraglio. Con il linguaggio dei gesti e con l’aiuto di un piccolo dizionario riusciamo a comunicare quanto basta per capire l’organizzazione della struttura. Il posto è molto bello, ma sicuramente è impreziosito dai sorrisi e dalla curiosità dei bambini che ci circondano. Riprendiamo la strada e notiamo molti cartelli con segnali di avvertimento interpretabili come: attenzione attraversamento tartarughe… ci sembra uno scherzo ma ecco che improvvisamente ne vediamo passare una… e’ giusto in mezzo alla strada !! Scendo, sollevo il rettile corazzato e lo sposto sul lato opposto… ci sentiamo bene abbiamo salvato (ipoteticamente) una vita !!

Da Pinarbasi proseguiamo per Goksum e da qui verso Kahraman Maras. Questa parte dell’Anatolia centrale è un susseguirsi di monti innevati e boschi, mentre la prima parte (zona di Kayseri) era più desertica. Ci diamo il cambio alla guida io e Marco. Mangiamo a Nersin, un paese giusto alla svincolo che ci porterà ad Adiyaman via Pazerik. Ci vogliono altri 200 km per passare a Adiyaman ed arrivare a Kahta. Questo paese è usato dai turisti per le escursioni al Nemrut Dagi (ci vogliono circa 55 km). Decidiamo di proseguire, andremo a dormire proprio ai piedi del monte o poco più su: a Karadut. Troviamo una pensioncina per dormire e, visto che è ancora chiaro, proviamo a salire il Nemrut fino all’ingresso del sito. Cedo la guida a Marco, è più esperto di me e la strada ci hanno detto non essere molto bella. Facciamo i 12 km in 20 minuti circa, la strada è lastricata di mattonelle di basalto nero, piuttosto sconnessa ma non impraticabile. Troviamo anche la neve in qualche punto ai bordi della strada. Verificata la situazione torniamo alla pensione, domani andremo all’ingresso del sito con la nostra macchina. Non mi sembra vero, è uno dei posti che ho sempre desiderato vedere. Ceniamo molto bene nella pensioncina a base di verdura, uova pomodoro e riso. Le camere non sono molto confortevoli, ma il padrone è ospitale e l’atmosfera sembra simile a quella delle località ai piedi dell’Everest in Nepal. Passiamo il resto della serata chiacchierando piacevolmente … condivideremo la stanza anche con piccoli gechi.

29 aprile 2002

Inizia oggi una delle giornate più lunghe, più estenuanti, ma allo stesso tempo più emozionanti di tutto questo viaggio in Turchia. Ci alziamo alle 4 di notte, prendiamo la macchina e saliamo sul Nemrut Dagi per i 12 km che ci restano. Arrivati all’ingresso compriamo frettolosamente i biglietti e ci dirigiamo velocemente verso la cima, percorrendo gradini in pietra per circa 500 metri; la stanchezza è attenuata dall’entusiasmo dovuto al fatto di essere così vicini al luogo tanto ambito. Arriviamo in cima e io sono subito in fibrillazione: finalmente vedo le enormi teste di statue fatte costruire quassù da Antioco I in eta’ preRomana. Giro da una statua all’altra cercandone i particolari, ma ecco che il disco rosso del sole appare colorando di mille sfumature tutta la zona, anche la neve prende delle colorazioni. Fa piuttosto freddo, ma l’entusiasmo copre ogni brivido, almeno per quanto mi riguarda; siamo comunque tutti ben coperti. Vedo che l’eccitazione contagia tutti, in particolare Barbara che inizia a scattare un centinaio di fotografie; oggi è il suo compleanno e passare parte della giornata qui è sicuramente un bel regalo che fa a se stessa. Restiamo solo nel sito, a parte un ragazzo curdo con suo padre. Viene subito a fare conoscenza e così chiacchieriamo con lui per circa un’oretta, spostandoci anche nella capanna riscaldata del custode. Sono sicuro che non ci scorderemo mai degli occhi del padre, scintillanti di orgoglio nell’udire parlare della sua terra. Torniamo verso l’ingresso, guardo il cielo terso di un azzurro intenso, anche oggi sarà una bellissima giornata. Salutiamo i nostri nuovi amici e facciamo ritorno all’alberghetto di Karadut dove ci attende la colazione; attorno a noi vediamo passare galli e galline e vecchietti sulla groppa di asini. Il sole inizia a scottare e noi ci togliamo l’abbigliamento pesante usato sulla cima del Nemrut.

Partiamo verso le 9, prima tappa Siverek a circa 50 km da Karadut. Per farlo dobbiamo attraversare un piccolo ramo di un lago immenso il cui nome pero’ non e’ riportato sulla nostra cartina, in queste zone verra’ costruita la diga di Ataturk. Parcheggiamo e ci mettiamo seduti ad attendere in riva il battello. Arrivano anche gli ‘amici’ curdi conosciuti sul Nemrut, vanno anche loro in zona Siverek. Con loro c’è un simpatico olandese che ci allieta l’attesa con simpatiche barzellette… rivolgiamo lo sguardo verso la riva del lago e vediamo due dei soldati di guardia all’imbarco intenti a pescare… Ma in che modo lo fanno ?? Utilizzano un filo di nylon con degli ami enormi.. troppo grossi per i piccoli pesci della riva. Rimaniamo stupiti della semplicità di questa gente: quando si ha poco dalla vita, anche il rimanere seduti nell’aia della propria casa a parlare con amici o forestieri oppure improvvisare attività tipo questa, ha la capacità di far sbocciare un sorriso sui loro volti… e sui nostri. Ecco il battello … carichiamo la macchina e in 15 minuti siamo dalla parte opposta. Da qui a Siverek è un attimo, poi la direzione diventa SanLiurfa o Urfa circa 100 km a sud, la più grossa città vicina al confine con la Siria: è una città universitaria. Fino ad ora le strade ci hanno permesso di mangiare i chilometri, libere e in buone condizioni, ma Urfa sembra Bombay: macchine arrivano da ogni dove e le moto fanno più fumo di un incendio boschivo.

Puntiamo diritti verso la Siria, vogliamo vedere com’è il confine e poi faremo una piccola deviazione verso Harran. Il paese di Akcakale giace lungo la linea di confine Turchia-Siria, è pieno di filo spinato e muri, ma non riusciamo a vedere il punto di passaggio… torniamo indietro di pochi chilometri ed entriamo in Harran, famosa per le case ad alveare, i nostri trulli praticamente. Siamo stanchi e non abbiamo molta voglia di vedere il castello e tutte le case della città, perciò rifiutiamo gentilmente una guida e andiamo alla macchina: cerchiamo un posto dove mangiare. Ci vengono incontro due bambini che ci chiedono l’equivalente di 0,50€ per degli ornamenti fatti di ceci secchi; stiamo per andare quando ci guardiamo in faccia e Marco nota: con quello che paghiamo per macchina e benzina dobbiamo rifiutare così poco a dei bambini per i quali questa cifra può fare la differenza? Immediatamente esce dalla macchina e compra due pendagli. Ci sentiamo un pochino in colpa per essere stati così prevenuti e poi qui, in questa parte della Turchia, la gente ha molto più bisogno. Circa 5/6 km fuori da Harran troviamo un ristorantino, il Ganlik Restaurant; è ombreggiato e questo non è male dato che ci saranno circa 30°. Una volta era deserto, ora, anche grazie all’irrigazione artificiale, sono tutti campi coltivati. Immediatamente le persone del ristorante si attivano, ci accolgono come dei principi e ci fanno accomodare in una specie di gazebo rialzato dove, oltre ad un basso tavolo centrale, ci sono cuscini e tappeti. Ci togliamo le scarpe e ci accomodiamo; cerchiamo anche di fare conversazione con uno dei proprietari, ma parla solo l’arabo, neanche turco, quindi desistiamo. Ci portano del kebab con spezie e verdure con della sfoglia sottile di pane da intingere nel condimento della carne. Il tutto è servito in un piatto metallico circolare. Ci sentiamo dei sultani… Ogni tanto circolano attorno a noi dei bambini, ognuno con un colore degli occhi diverso: azzurri, neri, nocciola, sono un pochino incuriositi dalla nostra presenza. La gentilezza e la cortesia di questa gente penso non la scorderemo mai… Penso che Barbara abbia passato un compleanno indimenticabile! Il conto, una sciocchezza: meno di 5€ a testa. Facciamo delle fotografie con tutta la famiglia…gliele spediremo. Lasciamo loro anche una buona mancia e loro cosa fanno? Ci offrono il te e ci lavano la macchina con le mani… con le mani!!! È troppo, è veramente troppo, va al di là della comprensione di noi europei.

Riprendiamo la strada per Urfa e da qui tagliamo per Gaziantep: 140 km veramente duri, trafficati da moltissimi camion che procedono a 20 km/h e una sola corsia per ogni senso di marcia. Finalmente dopo 2 ore ½ imbocchiamo l’autostrada a Gaziantep, è incredibilmente vuota, tre corsie tutte per noi. Marco mi dà il cambio alla guida e copriamo i restanti 250 km in circa 3 ore. L’autostrada finisce a Mersin, una città molto grossa sul Mar Egeo; decidiamo di portarci più fuori per dormire a Kizkalesi, un paesino sul mare. Troviamo facilmente un albergo dove ceniamo a base di pesce e poi tutti a letto, a conclusione di una giornata indimenticabile.

30 aprile 2002

Ci alziamo più tardi del solito e dopo colazione partiamo in direzione Antalya. Ci rendiamo subito conto che questa è un’altra Turchia, molto meno spontanea e se vogliamo sincera, anche se continua a mantenere quella sua forte ospitalità. Ogni paese ha alberghi, ristoranti e negozi pronti a spennare il turista, sempre in funzione della provvigione o dell’arricchimento personale, insomma una Turchia veramente occidentalizzata. Non vedremo più villaggi scalcinati dove i bambini ci corrono incontro con i piedini nudi per venderci qualcosa (loro faranno un pasto in più con quei soldi!) o semplicemente non vedremo più tutte quelle persone che ci vengono incontro per scambiare due parole o per ricevere un sorriso. Questa è una Turchia diversa, che non riusciamo molto ad apprezzare e a capire, soprattutto dopo aver conosciuto l’altra. Vorremmo tornare indietro, specialmente Paola, ma il nostro programma di visite ci oppone di andare nella direzione opposta, verso Antalya; in fondo una vacanza è anche questo, in fondo è Turchia anche questa… e poi appassionato di archeologia come sono non vedo l’ora di visitare Myra e Efeso.

Per la cronaca oggi è solo una tappa di trasferimento, ci fermiamo a Silifke, città nel cui fiume annegò Federico Barbarossa durante una crociata; visitiamo anche il castello, un po’ diroccato. Da Silifke in avanti la strada è tortuosa e si arrampica sulla montagna per poi scendere lungo il mare e poi riprende a salire…una vera tortura per i nostri stomaci. Compriamo del cioccolato lungo la strada che assieme al pane e alla frutta oggi costituirà il nostro pranzo al sacco. Riprendiamo la strada che si fa molto più lineare e larga, attraversiamo Alanya, sembra Rimini, e così siamo ad Antalya in poco più di 2 ore. Ovviamente decidiamo di non fermarci e proseguiamo fino ad una piccola cittadina a 50 km da Antalya chiamata Tekirova, troviamo un albergo (Alhoa Pension, consigliato dalla guida), molto grazioso e con un bel giardino pieno di rose ed alberi da frutto e camere pulite e confortevoli. Mangiamo in un ristorante locale e poi a letto, siamo tutti abbastanza stanchi.

1 maggio 2002

Oggi è il compleanno di Marco, ma lui non è proprio in forma: è stato colpito dalla “maledizione del sultano”; le pastiglie di Imodium lo fanno subito stare meglio, anche se ha sempre un po’ di mal di testa e qualche linea di febbre: è la normale prassi della maledizione. Carichiamo i bagagli in macchina e partiamo con destinazione le tombe licie di Myra. Ci arriviamo in meno di 1 ora ½, con lo spiacevole intramezzo della multa per eccesso di velocità…la polizia mi intrattiene pure a parlare di Milan, Inter e naturalmente di Mister Terim, l’allenatore turco è un vero idolo qui in Turchia. Ce la caviamo con circa 30€.

Il sito di Myra è veramente spettacolare; i Lici erano una popolazione preromana che abitava in queste zone. Di fianco alle loro tombe c’è anche un anfiteatro probabilmente romano, veramente bello. Ripartiamo con destinazione Ucagiz, una piccola cittadina portuale da cui partiremo per una gita in barca per vedere le tombe licie a sarcofago (quelle di Myra sono a parete) e la città sommersa, vicino all’isola di Kekova. La città era già abbandonata quando fu parzialmente ricoperta dalle acque del mare. La barca con la quale facciamo questa gita ha il fondo di vetro e possiamo così ammirare le murature sommerse e numerosi cocci di anfore. Ritorniamo al porticciolo di Ucagiz e ripartiamo con destinazione Fethiye, una cittadina turistica, ma più vivibile rispetto ad Alanya o Antalya. Lungo il tragitto per arrivarci però, abbiamo la sfortuna di collaudare il pessimo asfalto turco, che quando si bagna assume le caratteristiche di una lastra di ghiaccio. Ad una curva la macchina tira dritto, fortunatamente c’è una piccola piazzola di sosta che ci permette di arrestare la macchina… proprio un bello spavento!!! A Fethiye troviamo facilmente un albergo e, visto che è presto, ci riposiamo un’oretta prima di dedicarci alla ricerca di cibo. Anche Paola accusa qualche sintomo della “maledizione”, ma sembra in forma molto più leggera rispetto a Marco. Questa sera mangiamo in camera ciò che abbiamo comprato al supermercato e concludiamo la serata giocando a carte.

2 maggio 2002

Ci alziamo il mattino non troppo presto, Marco sta meglio, spara la solita raffica di cavolate… buon segno. Io e Paola abbiamo un leggero mal di pancia, ma niente di preoccupante. Oggi lasciamo la costa mediterranea per per l’entroterra con destinazione Denizli e da qui 15 km più a nord, verso Pamukkale. In totale percorriamo circa 200 km. Già alle 12:30 siamo arrivati e prendiamo alloggio presso la Pension Weisseburg, dove ci accoglie una signora gentilissima segnalata dalla nostra guida come una cuoca eccellente. Sperimentiamo subito il pranzo, anche se decidiamo di mangiare riso e patate, visto il nostro stato convalescente. Andiamo a riposare un’oretta.
Pamukkale è un luogo termale già preromano e l’acqua calcarea ha formato delle stalattiti lungo tutti i laghi di scorrimento e non solo, ha ricoperto completamente di bianco tutta la roccia. Si sono formate così delle vasche naturali dove, fino a poco tempo fa, si poteva fare il bagno. Oggi si tende a preservare il luogo impedendo ai visitatori di accedervi. All’ingresso ci fanno togliere le scarpe per non rovinare troppo la pietra calcarea e ci arrampichiamo così verso la cima, da dove si ha un’ottima visione d’insieme del posto. Da qui, visto che inizia a piovigginare, ci avviamo verso il Termal Hotel, che offre una piscina naturale di acqua calda con il fondo sparso di colonne e capitelli romani. Il posto sarebbe anche affascinante se non fosse totalmente invaso dai turisti e inoltre attorno alla vasca sono stati installati numerosissimi negozi pronti a spennare il turista appena esce dall’acqua. Ci rifiutiamo di unirci al pollaio ed essendo tornato il sole non ci resta che visitare le rovine dell’antica Hierapolis, città romana e poi bizantina che usufruiva delle acque calde calcaree di Pamukkale. Prima di entrare nell’anfiteatro attraversiamo un intero prato cosparso di colonne, capitelli e cornicioni, molto spesso intagliati e fregiati di figure ornamentali o animali. L’ingresso dell’anfiteatro conduce al palco, dove si possono ammirare le imponenti gradinate. Passiamo qui un’oretta, godendoci il tiepido sole e la bellezza del luogo. Ritorniamo verso il tramonto, giusto in tempo per rimetterci in ordine e gustare la buonissima cena che la proprietaria della pensione ci ha preparato (a base di kebab e involtini di foglie di vite). Passiamo la serata giocando a carte e chiacchierando piacevolmente con lei e il marito.

3 maggio 2002

Oggi è l’ultimo spostamento in macchina che abbiamo in programma: da Pamukkale a Kusadasi, via Denizli, con sosta lungo il percorso per visitare Efeso. Durante la notte sia Paola che Barbara sono state colpite dalla “maledizione del sultano”, ma le pastiglie di Imodium mettono entrambe in buone condizioni nel giro di un’oretta. Accompagnamo la proprietaria dell’albergo a Denizli, dove va a trovare il fratello malato in ospedale. Alla stazione degli autobus di Denizli carichiamo in macchina altri due suoi parenti, siamo in 7! Degni di una macchina turca! Percorriamo così poco più di un chilometro verso l’ospedale… all’arrivo non finiscono più di ringraziarci. Il viaggio procede anonimo per circa 150 km, fino ad Efeso… finalmente vedrò il sito archeologico che ho sempre visto sui libri. Parcheggiata l’auto, entriamo percorrendo una via lastricata, non prima di aver pagato i soliti 15 milioni alla cassa; passiamo un enorme anfiteatro, anche se in condizioni meno buone rispetto a quello di Hierapolis. Da qui imbocchiamo la via sacra, una strada lastricata di marmo, fiancheggiata da colonne a destra e a sinistra, come se fossero alberi. Arriviamo così a vedere la biblioteca di Celso, una meraviglia che da sola vale la visita: colonne intarsiate, iscrizioni in greco e romano (anche in tedesco per la verità!?) e statue ad ogni piano. Ci fermiamo estasiati per quasi un’ora ad osservarla in ogni suo punto e a fare le foto ovviamente. Ritorniamo sulla via sacra e continuiamo la visita ai templi, ai bagni pubblici dell’epoca e al bordello. Riprendiamo la stessa strada per il ritorno quando sono le due del pomeriggio; arrivati alla macchina puntiamo per Kusadasi, una bella cittadina sul Mar Egeo, anche se molto turistica. Esiste perfino una copia del Gran Bazar di Istanbul con negozi pronti a venderti tappeti, oro, maglie, libri o quant’altro. Mangiamo in un ristorante sul mare e poi troviamo un albergo. Kusadasi è anche l’ultima tappa per la nostra auto, la restituiamo infatti all’agenzia Avis locale. Il resto della giornata è dedicata a doccia e riordino degli zaini, acquisto di ricordi e regalini vari e per concludere il solito te (çai) con il proprietario dell’albergo, che ci intrattiene chiacchierando di moltissimi argomenti, fra cui l’immancabile calcio e Mister Terim. La serata la trascorriamo mangiando pida in un ristorantino del centro e passeggiando lungo il mare. Paola e Barbara stanno molto meglio, fino ad ora sono l’unico a non aver preso la “maledizione del sultano”… speriamo continui così. Domattina non ci dobbiamo svegliare presto, quindi andiamo a letto un pochino più tardi del solito, ma in fondo neanche tanto più tardi.

4 maggio 2002

Alle 9 di mattina siamo seduti sulla terrazza dell’albergo, ciò che ci portano per colazione non ci soddisfa molto, perciò integriamo il tutto con una tavoletta di cioccolato. Come per i regali, anche per le cartoline ci siamo ridotti all’ultimo momento, perciò ora che finiamo di scriverle tutte arrivano le 10. Abbiamo appuntamento con il minibus che ci porterà all’Otogar alle 14, ci dedichiamo cosi’ agli ultimi acquisti e a gozzovigliare per la città. In questi due giorni ci siamo un pochino guardati in faccia e abbiamo scoperto che siamo diventati turisti frenetici e ossessionati dall’acquisto e dalla contrattazione ad oltranza sul prezzo: esattamente tutto il contrario di ciò che volevamo essere!!! Harran e la semplicità della sua gente allora non ci ha insegnato niente? Io credo invece che qualcosa ci sia rimasto e la frenesia commerciale di questi ultimi due giorni non serve ad altro che a reintrodurci più dolcemente nel nostro modo di vivere occidentale… un impatto diretto fra due mondi così diversi sarebbe forse traumatico.
Mangiamo l’ultimo panino con kebab e facciamo ritorno in albergo, carichiamo gli zaini sul minibus e partiamo per quello che sarà un lungo ritorno