La vecchia tradizione scolastica ci insegna che Dioniso era il dio del vino presso i Greci e il suo corrispondente presso i Romani era il più famoso Bacco. In realtà Dioniso non è il dio del vino ma il vino stesso, considerato ovviamente alla luce del variegato sistema di valori culturali che l’antica Grecia vi seppe e vi volle proiettare. Questo processo di identificazione non è stato stabilito da noi moderni ma la fonte è quanto mai autorevole dal momento che si tratta di Euripide:

È lui che, nato dio, viene versato
come offerta agli dèi…
(Euripide, Le Baccanti, 284)

È quindi facile intuire come si faccia spesso abuso della figura mitologica legata alle divinità che rappresentavano il vino presso le antiche civiltà senza in realtà conoscerne il mito. Eccone dunque una breve storia.

La leggenda narra che Dioniso nacque a Tebe da Semele e Zeus, fu allevato dalle ninfe dei boschi del monte Nisa e quando fu adulto scoprì il segreto della viticoltura e il metodo per estrarre dall’uva il liquore miracoloso. Da quel fortunato giorno, cominciò a vagare con un seguito di semidei, fauni, satiri, centauri, ninfe tutti sempre allegri e sbronzi. Con loro fu chiamato Libero.

Numerose città del Mediterraneo furono visitate da Dioniso che dovette combattere molti nemici dai quali venne più volte ucciso ma sempre rinacque attraverso la metamorfosi seguendo i passaggi del processo di rinnovamento della natura che ogni anno muore e si ricrea, dall’inverno alla primavera. Così Dioniso divenne universale e cominciò ad essere riprodotto nelle pittura e nei mosaici, ora con l’aspetto di bellissimo giovane, un efebo dai lineamenti perfetti accompagnato dalle sue sacerdotesse, le Menadi o Baccanti, ora con il volto maligno di vecchio barbuto. Le Baccanti erano le donne che “entravano in furore” (è il senso greco della parola Menadi) masticando le foglie di un’edera che era una specie di droga che le conduceva al parossismo della danza tra suoni di cembali e flauti, fino al sacrificio cruento del capro, azione che denunciava chiaramente il significato del modo di dire a proposito del “capro espiatorio”.

I riti, di impronta orientale e tracia, attraverso la Magna Grecia entrarono in Roma nel II secolo a.C., dove si celebrarono i Bacchanalia fino al veto della censura imposto nel 186 a.C. con l’arresto di circa settemila seguaci della setta.

Bacco rimase però nel cuore dei poeti, emblema della natura e del vino, negli spartiti dei musicisti, nelle tele dei pittori e a poco a poco mitigava il lato torbido della sua origine in una bonaria figura convenzionale, quasi una caricatura, o in un simbolo di giovinezza classica. Ora giovane ed efebico, ora grasso e colorito, significò genericamente lo stato euforico e lieto che produce un bicchiere di buon vino.