Venerdì 7 ottobre 2011 alle ore 18.30 si inaugura alla Fabbrica delle Arti di Napoli la mostra Chi, prima personale di Gianluigi Maria Masucci, nella quale l’artista presenta opere a smalto su tela e su dibond, china su carta, opere luminose e istallazioni audiovisive.

La Fabbrica delle Arti ha posto tra le sue finalità, sin dall’avvio, quella di aprire uno spazio attivo dedicato a giovani artisti invitati a lavorare in sede. Questa mostra è il primo risultato dell’incontro con le nuove generazioni che, attraverso la sperimentazione di linguaggi innovativi su materiali diversi, possono offrire suggestioni e letture per aprire nuovi scenari.

Stefania Zuliani, nel testo di presentazione della mostra, così descrive il lavoro compiuto da Masucci: “È un presente elastico, un tempo soggettivo, senza cronologia e senza direzione (un ventaglio di tempi, in realtà), quello che con pazienza allarmata Gianluigi Maria Masucci registra nelle sue opere più recenti. Scritture di segni – linee di forza, irripetibili ideogrammi, appunti di danza e di luce – che la mano e il pensiero dell’artista ordinano in sequenze lineari, in teorie irregolari e comunque musicali, cortei di figure e di tensioni che si dispiegano, ora più fitti, ora più distesi e distratti, declinando un inconcluso e per questo mai decifrato alfabeto del corpo, in bilico fra percezione e nuda emozione, analisi e intuizione”.

Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, Gianluigi Maria Masucci (Napoli 1981) è una personalità poliedrica che ha svolto numerose attività formative, spaziando trasversalmente dalla pittura alla fotografia, dal video alle istallazioni, alle performance e al teatro. Ha al suo attivo numerose esperienze di sperimentazione, sia televisive sia teatrali, come attore e aiuto regista. Ha partecipato a numerosi Festival, mostre e concorsi ed è stato premiato al concorso “video.it 2010” organizzato da Artegiovane in collaborazione con GAI, DOCVA e Fondazione Merz.

Nel vernissage sarà anche proiettato in piazza il video Shapes Sequence 2009/2011, realizzato dall’autore con la giovane fotografa Valeria Del Vacchio, improntato sul percorso di trasformazione delle forme e del concetto di identità indagato da Masucci negli ultimi due anni. Nel corso della serata, sarà inoltre possibile degustare la pizza fritta de La Masardona, preparata da Enzo Piccirillo e inserita nella Top 10 dalla “Guida alle migliori pizzerie di Napoli e dintorni”.

L’esposizione sarà visitabile fino all’11 novembre 2011, dal lunedì al venerdì dalle ore 11.00 alle ore 18.00. L’evento è inserito nella Settima Giornata del Contemporaneo, promossa da AMACI – Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani. La Fabbrica delle Arti resterà dunque aperta sabato 8 ottobre dalle 11.00 alle 18.00.

La prima volta che ho incontrato Gianluigi, nella sede della Fabbrica del Lunedì a Piazza dei Martiri, non avevo ancora inaugurato gli spazi della Fabbrica delle Arti. Mi ha mostrato i suoi lavori con l’entusiasmo e l’ansia di chi ha molte cose da dire.
Il nostro cammino insieme è iniziato con l’individuazione e la scelta di un solo tema, quello della scrittura dei segni.

Nei mesi che precedono l’apertura della Fabbrica delle Arti, Gianluigi è con noi, siamo in tanti: artisti, artigiani, architetti, fotografi, grafici… lui coglie in pieno il progetto del nostro Spazio, realizzando un audiovisivo che lo racconta; il tema conduttore sono le mani, i nostri gesti esprimono il divenire che verrà dai nostri incontri nei vari luoghi (spazi espositivi, laboratorio, manifatture, studi, botteghe, giardino…), si vedono gli scenari ma è soprattutto nei nostri gesti, nel nostro dialogare, che si legge il futuro della Fabbrica delle Arti.

Per lavorare al meglio, un giovane artista ha bisogno di uno spazio grande, possibilmente abitato da energie positive, che faccia emergere il suo pensiero;
e ancora, gli si offre il confronto, il dialogo, i suggerimenti per sperimentare nuove tecniche e materiali insieme alla convinzione che può farcela se lavora davvero, senza risparmio di tempi ed energie.
Gianluigi Masucci ha risposto con generosa partecipazione a questo progetto della Fabbrica delle Arti. Dopo due anni di cammino sono orgogliosa di presentare con la mostra Chi, la sua prima personale.
Ci auguriamo di proseguire insieme ed avere ampia visibilità, da Napoli in tanti luoghi…

Gianluigi con i suoi segni ci racconta il futuro, un futuro fluido!

È un presente elastico, un tempo soggettivo, senza cronologia e senza direzione (un ventaglio di tempi, in realtà), quello che con pazienza allarmata Gianluigi Maria Masucci registra nelle sue opere più recenti. Scritture di segni – linee di forza, irripetibili ideogrammi, appunti di danza e di luce – che la mano e il pensiero dell’artista ordinano in sequenze lineari, in teorie irregolari e comunque musicali, cortei di figure e di tensioni che si dispiegano, ora più fitti, ora più distesi e distratti, declinando un inconcluso e per questo mai decifrato alfabeto del corpo, in bilico fra percezione e nuda emozione, analisi e intuizione. Affidate a superfici diverse, al calore impegnativo e solidale della tela, alla lucentezza nervosa del dibond oppure alla familiare (e ingannevole) dolcezza della carta, sempre tagliente, le trascrizioni con cui Masucci interroga da qualche anno lo spazio instabile della relazione tra sé e il mondo hanno l’evidenza di un discorso che non cerca consenso ma vuole piuttosto ascolto ed anche partecipazione. Una richiesta e una costante sollecitazione che l’artista non gioca però sul registro, peraltro ormai piuttosto desueto, dell’eccesso e ancor meno dello shock, tanto che non manifesta alcuna esuberanza neppure rispetto alla geometria, sempre regolare e tradizionale, dei supporti, in cui domina senza ossessione il quadrato, una, forse inconsapevole, memoria del minimalismo, che aveva privilegiato del quadrato la stabilità, la qualità emotivamente neutra e priva di tensioni.
Nei lavori di Gianluigi Maria Masucci, che della ricerca minimalista condivide la piena consapevolezza che il significato dell’opera non è un contenuto precostituito e immutabile ma il prodotto, ogni volta diverso, di un incontro e di una relazione, il gesto scritturale pur facendosi, talvolta, decisamente pittorico e persino informale, non sfonda mai il limite di silenzio di una (magari invisibile) cornice che, in quanto tale, è assenza, zona di rispetto che contiene e separa il testo visivo e lo dice, senza enfasi ma con fermezza, opera e non informazione o messaggio. Pur sensibile, per formazione ed esperienze legate al teatro ed anche all’utilizzo del video come strumento di documentazione e di interpretazione critica, alla necessità di creare possibilità di incontro tra arte e vita fuori dal recinto esclusivo – e per questo insidioso – degli spazi espositivi convenzionali, Masucci evita infatti con cura ogni dispersione dell’opera nel flusso vitale anche quando sceglie di mettere a confronto il proprio lavoro con la natura meticcia e inevitabilmente impura della scena urbana, di cui in passato ha raccontato la pelle (WALLSKIN – La pelle della città, 2009) e che ora occupa, con immateriale forza, attraverso le immagini del video Shapes Sequence 2009/2011, proiettato sulle architetture prestigiose e compromesse di piazzetta San Carlo all’Arena.

I corpi sottili e inquieti, grafiche silhouette d’ombra, che costituiscono, sempre differenti eppure sempre uguali, la trama e il respiro della mostra, nella loro qualità breve e individuale di segno e non di assoluta immagine, sviluppano una narrazione densa e frammentata che attraverso il colore – il rosso, il grigio – e la sua negazione – il nero, il bianco – intende innanzitutto dare visibilità e non soluzione alla tensione radicale tra negativo e positivo, un’opposizione che non viene qui elaborata dialetticamente ma resta viva e per questo in grado di dare adito alla trasformazione e di accogliere il privilegio del rischio. Un rischio che, come in realtà dovrebbe accadere in ogni esposizione – esporre che cosa altro significa se non portare fuori, alla luce e, quindi, al pericolo? – Gianluigi Maria Masucci con questa personale si assume, provando a forzare la solitudine dell’opera per creare una relazione più intensa con il contesto, architettonico ma anche umano, in cui l’opera nasce e vive, secondo un orientamento che, e non è certamente un caso, è quello che complessivamente definisce il progetto creativo della Fabbrica delle Arti. A guidare l’artista nella sua ancora giovane avventura di ricerca e di sperimentazione, disponibile anche al confronto con i linguaggi della performance e della danza, è la fiducia di poter trovare una personale, chiaramente soggettiva misura di quella che Pierre Klossowski ha definito la “connaissance pathétique”, una forma di conoscenza che agli strumenti della ragione analitica privilegia la capacità, che è dell’arte e della poesia, di agire e conoscere per forza di emozione. Un’emozione che non è, però, accecamento e neppure esclusiva illuminazione, ma capacità di accogliere la meraviglia e di dare voce, meglio se corale, all’incertezza perché, come ha scritto Wislawa Szimborska a proposito del rapporto necessario tra il poeta (l’artista) e il mondo, “l’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so””.