A PALAZZO TE IN MOSTRA L’UNICO ARAZZO DEL PRIMO DUCA DI MANTOVA:
DA FEDERICO II AL CRITICO ZERI, L’OPERA E’ OGGI NELLE MANI DI UN ANTIQUARIO

L’opera, risalente al 1539-40 e recentemente restaurata, ha un pedegree d’eccezione: accompagnato da un disegno preparatorio di Giulio Romano, è l’unico arazzo superstite commissionato dal duca Federico II. E’ anche la più antica tappezzeria del grande arazziere fiammingo Nicola Karcher. Appartenuto a Federico Zeri è ora di un antiquario modenese: si tratta dell’unico pezzo di proprietà privata esposto alla mostra “Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento”, a Mantova fino al 27 giugno

Quasi 500 anni di storia e numerose vite di personaggi importanti si intrecciano in 4,10 per 4,5 metri di preziosa trama in lana e seta. “Venere, spiata da un satiro, con i puttini” è l’arazzo cinquecentesco tessuto a partire da un disegno preparatorio di Giulio Romano, il principale collaboratore e l’allievo più dotato di Raffaello Sanzio. L’opera è uno dei 34 arazzi raccolti nella mostra “Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento. Da Mantegna a Raffaello e Giulio Romano” ospitata a Palazzo Te a Mantova fino al 27 giugno.

L’arazzo, databile tra il 1539 e il 40, è l’unico superstite commissionato dal primo duca di Mantova Federico II, il costruttore di palazzo Te, ed è anche la più antica tappezzeria sopravvissuta del maestro Nicola Karcher, il grande arazziere fiammingo attivo a Mantova. Negli anni ’70 l’opera venne acquistata sul mercato londinese dal critico Federico Zeri che lo ha conservato fino alla sua morte, nel 1998, nella sua casa-museo a Mentana. Attualmente l’arazzo appartiene alla Galleria Raffaele Verolino di Modena: è un fatto eccezionale che un manufatto così significativo sia in mano privata, è infatti l’unico tra i 34 presentati.
Tutti gli arazzi esposti appartengono all’imponente collezione dei Gonzaga, realizzata per lo più nelle Fiandre o in Italia a opera di arazzieri di origine fiamminga. Molti di questi nei secoli seguenti sono andati distrutti, consunti dall’uso o acquistati da nobili italiani. Ciò che è giunto a noi oggi (52 opere) è solo una minima parte dei tesori dei tre figli di Isabella d’Este e Francesco II di Gonzaga: ventuno arazzi appartenuti ad Ercole (1505-1563), trenta a Ferrante (1507-1557) e soltanto uno – proprio quello in questione – del duca Federico (1500-1540). Grazie a Federico II Mantova divenne una nuova Roma: fu proprio per volere del primo duca che giunse in città Giulio Romano, discepolo prediletto di Raffaello e abile pittore, architetto ed urbanista, che trasformò la capitale dei Gonzaga in un centro manierista.

“Venere spiata da un satiro, con i puttini” è parte integrante del gruppo di arazzi “Giochi di putti” disegnati da Giulio Romano e tessuti da Nicola Karcher. Per la qualità esecutiva e figurativa e per la sua straordinaria provenienza storico-artistica l’arazzo può essere considerato uno dei più importanti mai fabbricati in Italia, oltre che l’unico, appunto, sicuro superstite dell’attività del laboratorio mantovano del grande arazziere brusselese Karcher nei pochi mesi in cui potè operare al servizio di Federico II. La scena intessuta è tratta da un testo di Filostrato: Venere, nuda e attorniata dagli amorini, viene spiata da un satiro che fa capolino da un roseto; questo dettaglio è ispirato da prototipi veneziani e da Correggio. Giulio Romano lavorò con Raffaello Sanzio nelle sue grandi imprese pittoriche, come gli affreschi di villa Farnesina, delle Logge e delle Stanze Vaticane e, alla sua prematura scomparsa, nel 1520, ne ereditò la bottega e le commissioni. Protagonista della storia della pittura e dell’architettura a Mantova tra il 1524 e il 46, Giulio Romano fu anche il maggiore disegnatore e cartonista di arazzi del secolo, ben assecondato da arazzieri fiamminghi come Nicola Karcher – che operò tra il 1539 e il ’45 a Mantova – capaci di riprodurre su stoffa, con perizia e maestria, i suoi capolavori.

“L’arazzo è già stato esposto al grande pubblico nel 1989, nell’ambito alla mostra mantovana dedicata a Giulio Romano – spiega Verolino – ma dopo il suo acquisto l’ho sottoposto a un importante restauro. Era stato infatti coperto da una vernice sintetica utilizzata per rendere più vivaci i colori delle carni dei puttini, ma siamo riusciti a riportato al suo originale splendore. Il paziente lavoro di pulitura è durato quasi tre anni: sono state asportate le macchie di vernice, integrate e sanate alcune piccole lacune lasciando intatto il prezioso tessuto e ritrovando aree cromatiche che parevano svanite”.

Da oltre vent’anni Raffaele Verolino, antiquario modenese, ricerca tappeti e arazzi che nel tempo le più importanti manifatture europee hanno creato per prestigiosi commissionari di tutto il mondo: manufatti francesi della Savonnerie e di Aubusson, inglesi di Axminster o gli Hooked americani, fino agli esemplari di Arrajolos e Cuenca prodotti nella penisola iberica. Una collezione, quella di Verolino, frutto di una continua e appassionata ricerca, che mira a scoprire esemplari unici per stato di conservazione e rarità dei disegni, ed è ricca di manufatti dalle caratteristiche e dalle dimensioni estremamente versatili. Il collezionista è stato consigliato nel suo acquisto proprio da Nello Forti Grazzini che, insieme a Guy Delmarcel, è tra i curatori della mostra mantovana: i due storici dell’arte hanno giudicato il prezioso arazzo come un pezzo più unico che raro.

Questo capolavoro del pieno Rinascimento italiano sarà visibile fino al 27 giugno al Palazzo Te di Mantova, lunedì dalle 13 alle 18 e dal martedì alla domenica dalle 9.00 alle 18.00.