Ancora poche settimane, e le colline di Langa e Roero si animeranno nuovamente al suono di coinvolgenti melodie, le note della fisarmonica si leveranno allegre dai sentieri tra le vigne, gruppi di cantori improvvisati, guidati da rubicondi Fratucìn, visiteranno cortili e piazze elemosinando uova o vino (con un occhio di riguardo alle giovani fanciulle da maritare…)

E’ la tradizione del “Cantè j’Euv”, è l’espressione di un ancestrale desiderio di ritrovarsi insieme, che ogni anno accomuna generazioni diverse a rivivere, sotto la magia della luna, emozioni tanto antiche quanto troppo spesso dimenticate.

Come è ormai tradizione, il Comune di Guarene e le Pro Loco per il Roero, in collaborazione con i vari gruppi spontanei del Cantè j’Euv delle Province di Cuneo, Asti ed Alessandria, presentano la Festa Finale del “Cantè j’Euv” il momento conclusivo dell’evento, in cui l’insieme variopinto delle diverse combriccole di canterini (più o meno intonati…) si incontreranno in un grande concerto finale di musica, convivialità ed allegria, all’insegna dell’improvvisazione, in cui tutti potranno rivivere emozioni genuine in una serata ricca di suoni, sapori e solidarietà.

Il paese del Roero che quest’anno farà da scenario alla manifestazione sarà Vezza d’Alba pronto ad ospitare, il 15 Marzo 2008 tutti coloro i quali vorranno riscoprire, almeno per una sera, il piacere di stare insieme gustando, grazie ai suoni ed alle specialità gastronomiche dei gruppi partecipanti, sapori ed atmosfere di un tempo.

“Festa è solidarietà”: come da consuetudine, tutti i gruppi devolveranno gran parte del ricavato delle questue in beneficenza, per finanziare l’opera di Padre Massimo Bonino, missionario che da anni dedica il suo impegno a favore delle popolazioni più povere del Nord-Est del Brasile.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare il Comune di Guarene, sede organizzativa della manifestazione:
– Tel: +39 0173611900 – Fax: +39 0173611127
– Cell: +39 3351413658 (Paolo Artusio) – +39 3357029597 (Beppe Vezza)
– e-mail: [email protected]

Cenni di una tradizione: il Cantè j’euv

Le piccole comunità rurali del basso Piemonte (la zona che oggi conosciamo come Langhe, Monferrato e Roero) hanno sviluppato nel corso dei secoli una miriade di tradizioni variamente legate al calendario delle festività cristiane. Fino a quaranta-cinquant’anni fa non c’era in pratica stagione o momento dell’anno che non fosse fortemente caratterizzato da un rito, una consuetudine sedimentata dal tempo, una festa popolare, uno spunto di aggregazione. D’inverno erano le veglie nelle stalle (le vijà) a riunire intere famiglie al calor di fiato di bestie, stringendole intorno a racconti e canti dialettali, di primavera era il cantè magg, o la festa dei coscritti, quindi al sorgere dell’estate la notte di san Giovanni con i suoi misteriosi falò in cima alle colline, e poi le sagre patronali, le feste della vendemmia e via via fino al nuovo sopraggiungere dell’inverno. Ma c’era tra tutte una tradizione particolare, forse la più sentita in certi paesi, certo la più strana, la più suggestiva ed emozionante: la questua delle uova, in dialetto cantè j’euv.

L’allungarsi dei giorni, ai primi di primavera, l’erba nuova nei prati e la luna nuova nel cielo, l’odore nuovo della polvere delle strade e i primi tepori della bella stagione, inducevano gruppi di giovanotti a prendere la via delle cascine, nelle notti di quaresima che precedono la Pasqua. Muovendosi rigorosamente a piedi o, al più, su carri trainati da bestie, i giovani giungevano al limitar delle aie e lì cominciavano a cantare, nascosti dalla notte e avvisati solo dal cane che per lo più si univa stonatamente al coro. La canzone era una specie di filastrocca in dialetto piemontese: “Suma partì da nostra cà, ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira…” (Siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a salutare e darvi la buona sera). Questo l’inizio. Poi seguivano altre strofe, molte altre strofe, in cui si invitava il padrone di casa a uscire e consegnare un po’ di uova. Il padrone il più delle volte usciva per davvero, magari assonnato nel primo sonno, con i pantaloni ancora in mano, e faceva scivolare una dozzina d’uova in una cesta portata a braccio da uno strano figuro, il fratucìn (che era poi nient’altro che un ragazzo vestito da frate). Dunque succedeva di tutto un po’ in quei cortili di cascina illuminati solo dalla luna, quando c’era: i cantori cantavano, il padrone, o la padrona, di casa per lo più stava al gioco e, dopo essersi fatta attendere un po’, si affacciava all’uscio con le uova in mano, quindi potevano accadere molte cose: che i cantori ringraziassero, sempre con il canto, la padrona per poi riprendere il cammino verso un’altra cascina, oppure che il padrone di casa, ormai ben desto, facesse entrare in casa o in cantina i ragazzi, offrendo loro un bicchiere di buon vino rosso e tagliando il salame fatto in casa. Erano rare le volte in cui il padrone di casa non voleva proprio saperne di uscire: in quei casi i ragazzi se ne andavano maledicendo la cascina e i suoi abitanti, in particolare gli animali e il raccolto. Ma erano maledizioni bonarie e scherzose, non c’era mai reale intento di augurare sventure. Così, con l’andar della notte, l’intero villaggio risultava animato di canto e di musica: di musica, certamente, perché i questuanti avevano sempre con sé il clarino, la fisarmonica, un tamburo o un trombone.

Certo era una festa per tutti, un bel modo di trascorrere insieme le prime notti tiepide di primavera. Ma c’erano anche altri significati alla base di questa tradizione: le uova raccolte erano utilizzate il giorno di pasquetta per preparare una grande frittata cui era invitato tutto il paese (motivo di comunione e socializzazione); chi andava a cantare le uova era quasi sempre poco facoltoso e in penuria di mezzi, e le uova si cantavano soprattutto in quelle cascine dove c’era abbondanza di animali e quindi di ricchezza (motivo di giustizia sociale e redistribuzione del reddito); a volte i ragazzi del gruppo vendevano le uova raccolte e con il ricavato si pagavano la festa dei coscritti (in pratica la festa dei 18 anni che tutti i ragazzi di uno stesso paese facevano insieme in estate); i ragazzi spesso con il pretesto della questua delle uova facevano la corte alle ragazze, ossia le figlie del padrone di casa, e molti matrimoni sono effettivamente nati così (motivo di stabilità sociale e solidità della comunità rurale); e poi chissà quanti altri motivi, più o meno importanti, più o meno dichiarati, più o meno attendibili. Quel che c’è da dire è che per tutto il paese il cantè j’euv era un momento fondamentale per ritrovarsi insieme, finalmente all’aperto, dopo un inverno passato chiusi in casa, per tutti era l’occasione di sgranchire le gambe, ristabilire un contatto con la natura, riprendere la via dei campi dopo i lunghi mesi di gelo (motivo ecologico).

Eppure tutti questi, invero tanti, motivi e significati non sono bastati per salvare il cantè j’euv dall’orlo dell’estinzione. Trent’anni fa le uova non si cantavano praticamente più. Scomparse. Sembrava persino non ci fosse mai stata una tradizione simile. Poi un giovanottone di Magliano Alfieri, certo Antonio Adriano, decise nel 1965 di riprendere per mano la tradizione. Provò a riproporla, sia nel suo paese, sia nei comuni dei dintorni. E fu immediatamente un successo. Contemporaneamente, in Langa, precisamente nel minuscolo borgo di Prunetto, il gruppo musicale dei Brav’om guidato dal mitico “Brun” faceva la stessa cosa, rilanciando il cantè j’euv anche nei suoi paesi. Il cantè j’euv era salvo. Da allora la tradizione non si è mai più persa, anche se ha vissuto momenti molto particolari. Come nei primi anni Ottanta, quando un gruppo di Bra, animato da Carlin Petrini oggi presidente del movimento internazionale Slow Food, ripropose la tradizione in grande stile, invitando in terra di Langa alcuni gruppi musicali molto famosi in Italia e all’estero. Il cantè j’euv diventò così una specie di grande festival folkloristico internazionale, con migliaia di spettatori accorsi da molto lontano per vedere il cantè j’euv. Ma fu una specie di esperimento, ben presto esauritosi per lasciare di nuovo spazio ai tanti, piccoli cantè j’euv di paese portati avanti da gruppi che di famoso non avevano nulla.
Ed anche ai giorni nostri, tempi di globalizzazione e troppo spesso di individualismo, la tradizione rimane viva ed attuale, portando generazioni diverse a ritrovare il piacere di mettersi in cammino nelle sere di primavera, esprimendo nel canto e nella musica il desiderio di ritrovarsi insieme.