Il Platano dei Cento Bersaglieri
Il Grande Maronaro de Piana Cattiva
Il Grande Maronaro de Piana Cattiva
El Fagaron di Contrà Gritti
Larice di san Gertrude
Larice di san Gertrude
Il Faggio di Alpago
La grande Farnia di Villanova
La grande Farnia di Villanova

Anzi.
Il Nord Italia era interamente ricoperto da fitte foreste di carpino bianco, farnia, cerro e quercia. E ciò che ne rimane oggi sono pochi stupendi patriarchi monumentali che, vivi e vegeti, testimoniano il nostro passato millenario.
Quello che vi proponiamo è un itinerario tra i più belli e i più accessibili del Triveneto. A voi l’arduo compito di scovarne altri nascosti nelle campagne, tra i monti o in mezzo a fitti boschi. Per aiutarci a conoscerli.

Il Platano dei Cento Bersaglieri (Caprino Veronese, Verona)
Si narra che nel 1937, durante un’operazione svolta dall’Esercito Italiano, tra le sue ampie fronde si nascondessero 100 bersaglieri. Da allora la meravigliosa pianta venne denominata “Platano dei 100 Bersaglieri“. Con i suoi oltre 400 anni, è il più vecchio Platano di Italia e proprio per questo considerato ‘monumento nazionale’, così come attesta un cartello apposto vicino. Non si presenta come i platani più giovani, alti e svettanti lungo le strade venete. Ha una forma tozza ed espansa, con una circonferenza di 11.15 metri a 1.3 metri di altezza e una biforcazione centrale lungo la quale si può anche salire così come fecero i 100 bersaglieri. E’ un meraviglioso esemplare visibile nei pressi di Verona, a Caprino Veronese. Arrivarci è facile perché l’albero si trova proprio all’angolo di un incrocio stradale, poco distante dal torrente Tasso. Bisogna fare però molta attenzione, perché l’incrocio è molto pericoloso e si trova alla fine di una brutta curva che chiude un rettilineo, dove le auto arrivano a una certa velocità.

Il Grande Maronaro de Piana Cattiva (Trissino, Vicenza)
Ha circa 370 anni e intorno al 1987 è stato ‘restaurato’ dal Wwf Valle dell’Agno che ne ha ripristinato in gran parte la primigenia bellezza. Con una circonferenza al colletto di oltre 10 metri, il Grande Maronaro di Trissino è biforcato già dalla base e presenta numerose cavità che ne fanno la bellezza. Arrivarci non è semplice perché l’albero si trova in un boschetto di castagni, poco lontano da una casetta dove primeggia e dove continua a produrre buoni frutti nonostante la venerabile età. Ma a Piana Cattiva di Trissino, nel Vicentino, tutti conoscono il meraviglioso castagno attorno al quale è possibile vedere altri maestosi esemplari. Basta chiedere, non appena arrivati in loco e fare una piccola passeggiata.

El Fagaron di Contrà Gritti (Asiago)
Le sue foglie e il suo fusto si colorano di un rosso intenso quando osserva il sole tramontare. E la sua bellezza plurisecolare brilla come una gemma color fiamma. Collocato sulla strada che da Rubbio (Asiago) porta a Bassano del Grappa, in località Contrà Gritti, “El Fagaron” balza subito agli occhi per sua conformazione pregevole e la sua forma aggraziata. Ha una circonferenza di quasi 5 metri a un’altezza di 1.3 metri e lo si vede arrivando già da alcuni chilometri di distanza, solitario nella sua attesa dei viandanti.

I Larici più antichi d’Europa (S. Gertrude di Bolzano)
Spetta all’Italia il primato dei più antichi larici d’Europa.
Risalendo lungo la valle che da Merano conduce a S. Gertrude (Bz), in Valle dell’Ultimo, si incontrano tre meravigliosi esemplari che risalirebbero a ben 2280 anni fa, più o meno all’epoca di Annibale e Scipione. In origine erano quattro ma 80 anni fa circa un violento temporale ne abbbattè uno. Fu allora che qualcuno ne contò gli anelli: 2200! Da qui se ne dedusse che gli altri tre larici avessero la stessa età e quindi, oggi, circa 2280 anni. L’Urlaerche (Larice antico) più imponente ha una circonferenza di circa 6 metri ed essendo in parte cavo consente l’accesso al suo interno da cui pende una lunga fune. Gli altri due fratelli, in condizioni meno buone, svettano accanto nella loro imponenza. Il larice è un albero particolare: innanzitutto è l’unica conifera a perdere le foglie d’inverno e chi non ne conoscesse questo segreto potrebbe credere che sia morto. Poi, appare per molti molti anni come un esile tronco che sale fino in alto, longilineo e sottile. Vedendo l’imponenza degli Urlaerche di S. Gertrude non si può negare che siano molto antichi.
Ci si arriva facilmente partendo da Merano e raggiungendo S. Gertrude. Si imbocca poi un sentiero – se temete di perdervi gentili abitanti vi indicheranno la vostra meta – e li si incontra riuniti insieme 100 metri più in là di una vecchia casa attorniata da stalle e fienili.

Il Faggio di Alpago (Belluno)
Ha circa 300 anni e domina, come nelle fiabe popolate da gnomi e folletti, un bosco di faggi che rimasti a debita distanza hanno permesso il suo sviluppo a ombrello cascante. Si trova ad Alpago, nel Pian della Formosa, zona che si raggiunge uscendo a Vittorio Veneto Nord in direzione Alpago, lasciando alla propria sinistra il lago di S. Croce. Non è semplice raggiungerlo, ma raccogliendo informazioni al locale Apt ci si potrà orientare più facilmente. Lì le nevi si ritirano a primavera inoltrata, lasciando un manto di foglie secche pronte a ricevere i nuovi germogli. Si sale lungo un sentiero che passa vicino a un altro faggio molto bello e più alto. Si percorre il sentiero lasciando alla propria sinistra alcune malghe e alla propria destra un’edicola religiosa. Si sale ancora e dopo un po’ si giunge a un bivio segnato da una grande roccia scesa dalle montagne che si elevano davanti agli occhi. Si prende la direzione di destra e poco dopo si entra in un boschetto. Lì il Grande Faggio sembra accogliervi con le sue grandi imponenti braccia. Un luogo idilliaco per fermarvi a riposare e meditare.

La grande Farnia di Villanova (Portogruaro)
E’ uno dei pochi alberi antichi del Veneziano. E’ una Farnia di circa 500 anni – ma la gente gliene attribuisce almeno 700 – che si raggiunge molto facilmente arrivando a Fossalta di Portogruaro, a Villanova di Vado in via da Vinci. L’albero – sacro ai Veneti e simbolo dei patriarchi verdi che un tempo ricoprivano questa terra – si trova vicino alla chiesetta di S. Antonio. La sua forma contorta e una ferita che nel 2000 ha danneggiato una grossa branca primaria ne oscura in parte la bellezza. Ciononostante a 1.3 metri dal suolo ha una circonferenza di circa 7 metri e mezzo ed è alto 15 metri e mezzo. La Farnia è un albero splendido che, invecchiando, assomiglia sempre più a un grande pachiderma nodoso abbarbicato al terreno. Oggi in Italia non vi sono moltissime Farnie così antiche e soprattutto così accessibili. Rinchiuse nei parchi di grandi ville, talvolta difese dal vandalismo talvolta strappate invece all’affetto degli uomini e delle donne, sono difficilmente raggiungibili se non grazie a permessi speciali. E’ un esemplare dunque da non perdere

Ma le piante parlano?

Quella notte del 1966 Clee Backster, il più noto esperto di macchine della verità, aveva addestrato alcuni agenti di sicurezza al rilevamento delle menzogne. Ora se ne stava lì stanco e pensieroso nel suo appartamento in Times Square a New York. Spinto da un irrefrenabile impulso, decise a un tratto di applicare alcuni elettrodi della sua macchina della verità a una foglia di dracaena tropicale. In realtà voleva solo vedere se essa avrebbe reagito all’acqua versata sulle radici. Non appena la pianta ebbe assorbito il liquido, il galvanometro mostrò una reazione simile a quella di un uomo sottoposto a un piccolo stimolo emotivo. Stranissimo, si disse Backster ormai incuriosito. Sapeva anche che l’uomo lascia nella macchina tracce molto più evidenti delle proprie emozioni se in pericolo di vita. Decise perciò di immergere nel suo caffè bollente una qualsiasi foglia della dracaena. Questa volta nulla si mosse. Allora pensò di peggio: avrebbe bruciato la foglia dove stavano appesi gli elettrodi della macchina. E a quel punto successe l’inimmaginabile: non appena ebbe formulato nella sua testa questa intenzione e prima di muoversi per prendere il fiammifero, il disegno sul grafico ebbe un’impennata pazzesca.

Era possibile che la pianta gli avesse letto nel pensiero?

Altri dopo di lui raccolsero nuovi dati per dimostrare questa intuizione. Pierre Paul Sauvin, un tecnico elettronico del New Jersey, scoprì che le piante reagiscono molto vivacemente alla morte di cellule viventi nell’ambiente in cui si trovano, in primis se cellule umane. Grandi contributi giunsero da Marcel Vogel, un chimico della California. Un giorno chiese a un amico scienziato di pensare con intensità al philodendron poco distante. La pianta di colpo diventò ‘come morta’. Quando Vogel chiese a cosa l’amico avesse pensato, l’uomo gli rispose che aveva mentalmente paragonato la pianta al philodendron di casa sua, giudicando quest’ultimo molto più bello. La pianta di Vogel reagì ‘dimostrandosi offesa’ e rifiutandosi per tutto il giorno di dare segni di vita alle macchine. Poi ‘tenne il broncio’ per oltre quindici giorni.

Altri studi ed esperimenti si aggiunsero dimostrando lo stesso: le piante sono sensibili ai pensieri e alle emozioni umane. Si deprimono vicino ad atteggiamenti violenti e cattivi, reagiscono positivamente ai sentimenti gioiosi. Quanto ci circonda è dunque ricco di vita e di personalità, per cui nulla di quel che facciamo o pensiamo può restare senza conseguenze. Non siamo soli e piccoli in questo Pianeta.
Basta aprire gli occhi.

Paola Fantin