CAPO NOLI

Capo Noli, fin dall’epoca bizantina, è stato uno strategico punto di difesa di Finale. Molte tracce di quel passato sono quasi scomparse: si dice che vi fossero torri, edifici vari e fortificazioni in seguito distrutte dai Rotari. La sola costruzione che si salvò fu l’originario monastero, presumibilmente di origine benedettina sul quale poi venne eretta la chiesa di S. Lorenzo. Quest’ultima si raggiunge con un sentiero che dall’Aurelia porta al mare. Si narra che all’epoca l’approdo a Capo Noli fosse il migliore di tutto il Ponente; i Genovesi, temendo che i Del Carretto potessero così estendere il proprio dominio sul mare, interrarono gli ormeggi nel 1341. Oggi la zona, nella sua punta più estrema, viene detta “Del Malpasso” in quanto la più esposta alla furia dei venti.

NOLI

Di struttura tipicamente medioevale, Noli è l’erede dell’antica e gloriosa Repubblica Marinara, rimasta indipendente per secoli. Già nel 1193 era comune autonomo e intorno al XIV secolo raggiunse il massimo del proprio splendore vantando la bellezza di ben 72 torri fortificate. Era usanza che ogni famiglia che all’epoca avesse fornito a Genova una galea armata conquistasse il diritto di costruire la propria torre. Di queste attualmente ne rimangono soltanto cinque; la più alta è quella chiamata “dei quattro canti” risalente al XIII secolo, mentre quella del Papone, nel suo aspetto originario, presenta delle preziose finestre a bifora e monofora. Il castello edificato nel XII secolo è visibile sulla sommità del monte Ursino; anticamente, nei pressi del maniero, c’era il primo nucleo originario di Noli abbandonato successivamente quando gli abitanti si spostarono sulla costa. Furono i marchesi Clavesana a erigere la fortezza estendendo così i propri domini sull’intera baia e costruendo le mura in modo che giungessero fino al mare. A Noli avrete l’opportunità di vedere altre importanti tracce del passato soprattutto medievale; ci sono tre porte, rispettivamente Porta Zacca, Porta Piazza e Porta Viale. Ma il vero gioiello rimane senza dubbio, oltre alla cattedrale di S. Pietro vicino al Castello, la chiesa di S. Paragorio. Quest’ultima è il tipico esempio di stile romanico ligure; poco distante dal borgo, in una bella cornice naturale, circondata da un’area in cui sono visibili rari sarcofagi bizantini, S. Paragorio riunisce stili differenti. Vedrete le absidi e i loggiati gotici, le tombe ad arcosoglio e riconoscerete nella struttura a tre navate con pilastri in mattoni ottagonali l’origine paleocristiana dell’edificio. All’interno poi oltre alle scenografiche capriate lignee spicca un grande Cristo di legno d’origine bizantina, portato qui dall’Oriente intorno all’anno 1000. L’ara della cripta si dice sia d’origine pagana.

Gesù a Noli
Si racconta che sia stato proprio Gesù a fondare l’antica Noli; durante la sua predicazione in terra di Liguria, la leggenda vuole che una sera insieme ai suoi discepoli, sostò in una spiaggia deserta, circondata da imponenti montagne.
Solitamente quando Gesù riposava, gli stessi angeli preposti alla sua protezione di notte erigevano una città là dove lo stesso figlio di Dio aveva dormito. In quell’occasione Simon Pietro notando che c’era troppo poco spazio tra i due promontori, consigliò a Gesù di non far costruire nessuna città – Domine, no lì facere! – disse Pietro. Proprio mentre Gesù stava per addormentarsi avvolto nel proprio mantello, così rispose al discepolo: – Se la città sarà stretta, ci sarà anche meno posto per i peccati – Così il giorno dopo sorse la città che Gesù volle chiamare Noli, in ricordo della poca fede del suo discepolo.

La Noli d’illustri memorie
Lo stesso Dante Alighieri subì il fascino di Noli e certamente sperimentò di persona l’impervia strada che all’epoca conduceva da Capo Noli al centro della piccola Repubblica Marinara. Ecco come il poeta vi fa riferimento nel IV canto del purgatorio: “Maggiore aperta molte volte impruna con una forcatella di sue spine l’uom della villa quando l’uva imbruna, che non era la calla onde saline lo duca mio, e io appresso, soli, come da noi la schiera si partine. Vassi in Sanleo o discendesi Noli montasi su in Bismantova in cacume con esso i piè; ma qui convien ch’om voli.” [Purgatorio, IV, 19-27) [Quando l’uva è quasi matura il contadino con una piccola forcata di rovi costruisce un sentiero non più largo della salita che la mia guida ed io affrontammo, ormai soli, dopo l’allontanarsi della schiera. A S. Leo si va a piedi, e così si discende a Noli,; o si sale alla cima della montagna di Bismantova, ma qui bisognerebbe avere le ali.]

Bazure
Anche qui le streghe si davano convegno: si dice che le si vedessero “animare” la notte dalla collina tra Noli e Varigotti in località detta appunto Pian delle Streghe dove c’è anche una torre abbandonata.

SPOTORNO: Il fantasma della torre

Nei pressi di Spotorno, in corrispondenza dell’Isola di Bergeggi sono visibili ancora due torri, una sul mare e l’altra, più interna, detta di Coreallo. C’è chi asserisce che entrambi le torri siano state innalzate dai Saraceni intorno all’anno 1000 (… altri le considerano i resti di quella fortificazione in cui visse i suoi primi anni la giovane Ines amante del principe saraceno Achmet); da qui il nome di castello del saraceno che tuttora portano.
La leggenda vuole che in certe notti appaia un fantasma nero che si arrampica lungo i resti scoscesi della fortificazione; ad attenderlo alla finestra ci sarebbe il fantasma di una donna vestita di bianco e dall’aspetto malinconico che lo trascinerebbe poi fino all’alba per le stanze del castello gemendo sommessamente.

Saraceni… o quasi
Questa è una leggenda ascrivibile alla cittadina di Spotorno ma non è raro trovarne versioni simili riguardanti altre località della Riviera di Ponente. Si racconta che all’epoca delle incursioni saracene, una notte, un soldato che era di guardia alla spiaggia di Spotorno si insospettì udendo strani rumori. Nel buio ordinò al probabile nemico di retrocedere, ma nessuno rispose. Terrorizzato cominciò ad arretrare sperando di arrivare in paese per lanciare l’allarme. Ad un certo punto avvertì qualcosa di appuntito appoggiarsi sulla sua schiena. Inevitabilmente pensò che i turchi lo avessero preso alle spalle; si sentì senza via di scampo e gettando a terra la lancia gridò disperato: “Sciò, turco, me rendu! Me rendu, sciò turco, ho dito che me rendu!”. Ancora una volta nessuno parlò e l’uomo rimase immobile attendendo ormai la fine. La luna che fino a poco prima era oscurata, illuminò col suo chiarore la spiaggia. Il soldato vedendosi praticamente spacciato si voltò così dicendo: “Ormai pe mì a l’è finia”. In quel momento si rese conto che la lancia nella schiena altro non era che la prua di una barca abbandonata sulla spiaggia. Allora rapidissimo riacquistò tutto il suo coraggio urlando al mare e alle stelle: “No me rendu, e no me renderia pè tutti li turchi de la Barberia.”

ISOLA DI BERGEGGI: L’isola che non c’era

Ecco come un’antica leggenda racconta la comparsa in Liguria dell’Isola di Bergeggi. Siamo nel VII secolo e i vescovi africani Eugenio e Vindemmiale cercano di sfuggire alle persecuzioni del vandali… «Si spezzarono le catene, si aprirono le porte, uscirono di città, indisturbati verso il mare. C’era una barchetta pronta e con essa vagarono fino ad uno scoglio vicino. Scesero sullo scoglio che era in vetta illuminato da una misteriosa luce, e lo scoglio si mosse. Passarono la Sicilia, il Tirreno e giunti nel golfo ligure di fronte alla città dei Vadi Sabazi, a poca distanza dalla costa, lo scoglio si arrestò. Ritrovarono la barchetta e con essa misero piede in terra di Liguria dove predicarono con ardore la fede di Cristo tra quelle genti pagane. Ma ogni sera tornavano al loro rupestre isolotto, detto di Bergeggi, che da allora non si mosse più e sul finire del secolo X, vide sorgere un’abbazia dedicata a S. Eugenio.

Immersi nella quiete e nella solitudine dell’isola di Bergeggi rimangono i ruderi di una chiesa romanica (XI secolo) e quelli di un edificio di culto paleocristiano (V – VII secolo). Intorno al 1960 fu costruita una cappelletta. Nei secoli l’isola fu scelta da alcuni eremiti per vivere e pregare e si dice che in epoca bizantina (così testimoniano anche le leggende…) vi fosse un monastero nel quale nel 922 d.C., per voler del Vescovo di Savona, giunsero i monaci lerinesi. Qui inoltre fino al 1588 riposarono le spoglie di S. Eugenio che furono poi trasferite nella cattedrale di Noli.

Gli innamorati di Bergeggi
Un’altra leggenda è stata tramandata sino ai giorni nostri; essa narra dell’impossibile e infelice storia d’amore tra il principe saraceno Achmet e Ines, figlia di un nobile di Bergeggi. La vicenda risalirebbe al X secolo quando la costa ligure era oggetto di incursioni saracene. Sul capo più estremo di Bergeggi viveva in una torre fortificata un nobile insieme ai propri figli Roberto e Ines. Accadde che un giorno dovette assentarsi affidando dunque la difesa della proprietà a Roberto. Durante la sua assenza i turchi assalirono la torre e Roberto si ritrovò a combattere da solo le orde di Saraceni venute dal mare e bramose di distruzione. Fece scudo col suo corpo mentre i fendenti delle scimitarre stavano per raggiungere l’amata sorella. La scena fu straziante e i Saraceni rimasero colpiti da quell’atto di valore nonché dal dolore della ragazza. In particolare tra i Saraceni fu il principe Achmet a rimanere colpito dalla bellezza di Ines e così, innamoratosi, decise che la ragazza avrebbe dovuto vivere da principessa. Achmet fece costruire un bellissimo e imponente castello in quell’isola prospiciente alla costa e lì condusse a vivere Ines. Lui si faceva vedere da lei raramente; a volte passeggiavano insieme al tramonto sulla spiaggia e in breve tempo il loro legame divenne indissolubile. Nel frattempo la gente della costa osservava con crescente preoccupazione quella fortezza nemica sorta sul mare. Si dice che Achmet la sera portasse Ines sotto un bellissimo loggiato costruito in posizione panoramica e lì le parlasse di mondi lontani e fantastici incantandola per ore e ore. il loro idillio ebbe fine una mattina quando all’orizzonte comparvero le prime galee con i vessilli della Repubblica di Genova; Achmet consapevole dell’imminente battaglia si allontanò con la propria flotta dall’isola. Prima di affrontare il nemico diede a Ines un anello con incastonata una pietra miracolosa che si sarebbe magicamente offuscata quando lui si fosse trovato in pericolo, al contrario la sua lucentezza avrebbe confermato la sua salvezza. I due eserciti si fronteggiarono sul mare csì pure i due rispettivi comandanti; Achmet lanciò il segnale ai suoi uomini di non attaccare e avanzò da solo tra le schiere nemiche giungendo al cospetto del condottiero cristiano. Dopo un breve colloquio un’espressione di gioia e di commozione comparve sul volto di quest’ultimo: Achmet gli aveva indicato il castello dove avrebbe ritrovato sua figlia sana e salva. Il Principe saraceno si allontanò poi con le proprie navi e scomparve. Pochi giorni dopo la pietra magica che Ines portava al dito si offuscò e la ragazza cominciò a trascorrere interi giorni scrutando l’orizzonte in attesa del ritorno di Achmet. Il castello detto “del saraceno” andò lentamente in rovina e anche Ines morì per il dolore. Trascorsero gli anni e sull’isola fu costruito un monastero. Un giorno vi sbarcò un anziano pellegrino che chiedeva ospitalità. I monaci l’ospitarono nell’edificio assegnandogli una cella dalla quale si vedevano le rovine del castello. Si racconta che il vecchio guardasse in quella direzione sussurrando il nome di Ines e struggendosi dal dolore. Poco dopo morì; solo in seguito di seppe che era il principe Achmet tornato a cercare la sua amata. Ancora oggi si dice che in certe notti di luna sia possibile scorgere il fantasma dei due innamorati che tenendosi per mano passeggiano al chiaro di luna.

VADO LIGURE

Nacque come stazione militare romana (II secolo a.C.) e nel 89 a.C. prese il nome di Vada Sabatia. Il suo sviluppo fu rapido e fiorente e prima della caduta dell’Impero Romano si suppone che fosse un’importante città dedita al commercio marittimo. Nel V secolo gli abitanti, in cerca di maggiore sicurezza, la spopolarono preferendole la cittadella del Priamar. Anche a livello istituzionale Vado ebbe ruoli notevoli: fu sede del vescovo dal VII al XI secolo e rimase sotto al dominio dei Del Carretto e dei Marchesi di Ponzone. A Vado visiterete la chiesa di S. Giovanni Battista (XII.XIII secolo), i resti di un sepolcreto romano detto “Fossa do Re” (…S. Genesio), una torre testimonianza dell’originario “castrum vadorum” e sul colle S. Elena i resti del castellaro. A Capo Vado c’è invece la fortezza di S. Stefano risalente al 1614 e voluta da Genova. Curiosità: sotto la sede dell’attuale comune sono venute alla luce tombe romane e i resti di una villa del I-II secolo a.C.

SAVONA: La città delle torri

È proprio una torre il simbolo di questa città d’antica tradizione marinara; i Savonesi la chiamano “a Campanassa” perché al suo interno è conservata un’enorme campana che anticamente fungeva da segnale d’allarme in caso di pericolo. La “Campanassa”, che è poi la torre campanaria del Brandale, è alta quasi 50 m. e sembra dominare ancora oggi tutta la città. Poco distante troviamo la Torre dei Corsi e la Torre degli Scolopi, mentre vicino al vecchio porto c’è la Torre di Leo Pancaldo, l’illustre navigatore già protagonista della leggenda qui di seguito riportata. Altre due torri sono la “Torretta” originariamente inglobata nelle mura trecentesche e quella già citata del Brandale, all’estremità del porto; in una nicchia di quest’ultima vedrete la statua della Madonna della Misericordia protettrice di Savona. Il nucleo medioevale della città sorgeva un tempo nei pressi del vecchio porto e di quel periodo Savona mostra orgogliosa i palazzi nobiliari simbolo di un glorioso passato; ricorderemo fra questi Palazzo Lamba-Doria, Palazzo Gavotti, Palazzo Multedo, Palazzo Pozzobonello, eccetera.

Priamar, cuore di Savona
La incontrerete sulla strada che costeggia il porto della città: nel vedere l’imponente sagoma non nutrirete dubbi sulla sua passata funzione militare, sebbene il Priamar racchiuda in sé un patrimonio storico di notevole importanza per la città. Ancora oggi il nome della fortezza solleva non pochi interrogativi in quanto non si è riusciti a stabilire se esso significhi “pietra a mare” o “pietra mala”; nel secondo caso ci sarebbe un ulteriore dilemma circa l’interpretazione sul destino storico della costruzione o sulla natura della roccia. Il Priamar è il risultato di secoli di storia e cultura con le sue architetture pre-romane, romane, bizantine, medioevali e i rimaneggiamenti successivi risalenti al XIV secolo. L’aspetto attuale lo si deve alla grande ricostruzione del 1542 quando il Priamar fu distrutto dai genovese guelfi. All’interno vedrete le rovine della chiesa di S. Domenico il Vecchio (XIV secolo), la cattedrale di S. Maria del Castello, il Palazzo della Sibilla e tra le scoperte più recenti la necropoli del VI secolo affiorata grazie agli scavi del 1969.

La leggenda dei fuochi di S. Elmo
La leggenda ha come protagonista il navigatore Leon Pancaldo che nel novembre 1520 stava attraversando lo stretto di Magellano; originario di Savona, Leone aveva lasciato a casa ad attenderlo la moglie Silvia de Romana. Durante i giorni di navigazione, una sera, preso da nostalgia e tristezza per la lontananza della sua amata, affidò il timone al suo secondo e andò in coperta a riposare. Sognò la propria nave colta da tempesta, in balia dei flutti quasi vicina al naufragio; vide infatti i famosi fuochi di S. Elmo posarsi accanto all’albero maestro. Secondo la tradizione quelle magiche luci erano l’invito del Santo ai marinai affinché si preparassero da buoni cristiani alla morte ormai prossima. Il naufragio era imminente se i fuochi scendevano dall’alto fino a raggiungere la coperta. Leone in sogno li vide invece risalire dalla coperta e poi correre velocissimi sul mare fino a raggiungere la torre di S. Elmo a Savona. Là c’era Silvia che avvolta dalle fiamme chiedeva disperata il suo aiuto. Leone la chiamò svegliandosi di soprassalto; nei giorni seguenti il sogno si ripeté destando nel navigatore grande apprensione. I giorni trascorsero, ma Leone non poteva immaginare ciò che nel frattempo era accaduto a Savona. Silvia abitava non lontano dal Priamar, nei pressi di S. Elmo, accanto al vecchio arsenale dismesso che conteneva ancora materiale facilmente infiammabile. Era una zona mal frequentata e una sera vi capitarono Michele Solaro, noto mercante di schiavi in Africa, e Brancaleone e Ludovico, due suoi amici. I tre, reduci di una rapina in casa di tale Pietro Saluzzo, completamente ubriachi, cercarono di penetrare anche nella chiesa di S. Caterina per rubare. Poiché era buio i tre appiccarono un incendio, e in breve rimasero imprigionati nella chiesa. Michele cercò di fuggire, ma cadde picchiando la testa e svenne. Intanto le fiamme avevano svegliato la gente nei dintorni e anche Silvia si destò accorgendosi spaventata che la sua casa, vicina alla chiesa e all’arsenale, era avvolta dalle fiamme. Silvia pronunciò il nome di Leone e in quell’istante un tale Giovanni, udendo quel nome, corse in suo aiuto. Giovanni, che quella sera era stato uno dei responsabili del rogo, da piccolo fu salvato da Leone, unico ad aiutarlo mentre stava per annegare. Giovanni prese una scala e incurante del fuoco l’appoggiò alla casa; salì, sfondò la finestra e avvolgendola in una coperta, trasse in salvo Silvia portandola dai guardiani della torre di S. Elmo che accorsero in loro aiuto. Da quel giorno Giovanni cambiò vita. Silvia, ancora sotto shock, nel suo delirio invocava incessantemente il nome del marito.

Curiosità: a Savona nel Convento Figlie N.S. della Misericordia è conservato miracolosamente intatto il cuore di Santa Maria Rossello (1811 – 1880) mentre il corpo è custodito presso la Casa Generalizia. Ancora una volta la Liguria è terra di miracoli…

ALBISSOLA MARINA e ALBISOLA SUPERIORE

Albissola Marina è l’odierno comune che si estende a ovest del torrente Sansobbia, caratterizzato da un lungo e sabbioso litorale diviso in due parti dal molo di S. Antonio. Su uno scoglio quasi di fronte al porto della vicina Savona è visibile una piccola statua della Madonna da cui prende nome la roccia denominata appunto Scoglio della Madonnetta. La parte più antica del borgo caratterizzata da pittoreschi budelli e carruggi è quella che sorge intorno alla Chiesa della Concordia. Di epoca più recente vi è da visitare la famosa villa Faraggiana immersa in una cornice naturale di terre coltivate e giardini, risalente al XVIII secolo, oggi sede del Centro Ligure per la Storia della ceramica. Albisola Superiore, il comune che attualmente sorge a est del Sansobbia vantava originariamente una vocazione prettamente agricola oggi pressoché scomparsa e sostituita da quella turistica. E così pur essendo molto cambiata l’edilizia urbana, tracce del passato continuano a testimoniare le antiche origini di Albissola: nei pressi della chiesa di S. Pietro ci sono resti di quello che fu l’antico insediamento romano, ovvero Alba Docilia. Da non dimenticare è il fatto che proprio qui, appena più a monte, passava la famosa via romana “Julia Augusta”, il cui tracciato è ancora oggi visibile.

Albisola o Albissola?
È una S che fa la differenza e che ha la sua ragion d’essere. Infatti Albissola Marina, quella con due S, deve questa particolarità al fatto d essere stata così trascritta erroneamente presso la Consulta Araldica per l’ottenimento dello stemma comunale, quando nel 1615 divenne comune autonomo. Da allora ha mantenuto la denominazione di Albissola.

Albisola, patria della ceramica
Le più antiche testimonianze riguardanti le maioliche di Albisola risalgono alla fine del XV secolo. Questa forma di artigianato è stata senza dubbio favorita dalla presenza dell’argilla rossa e di terra bianca, estratte da numerose cave. La produzione si divise fra le terrecotte (soprattutto oggetti d’uso quotidiano come brocche, vasi, piatti, eccetera) e le piastrelle maiolicate (laggioni) che hanno reso famosa Albisola a livello mondiale. La produzione nei secoli successivi si farà sempre più varia, influenzata da nuovi stili e processi di lavorazione, ma rimane ancora oggi uno dei capisaldi dell’artigianato di Albisola vantando una tradizione unica.

Apparizioni misteriose
A poca distanza dal mare, nell’Entroterra di Albisola Superiore c’è una montagna detta Bricco Spaccato che «… squarciandosi dall’ime viscere in parti uguali, aprì nel mezzo una voragine, donde l’occhio si ritrae quasi impaurito da quella profondezza e desolata solitudine. Non filo d’erba, non canto d’uccello, non vestigio di piede umano;…» [da G. Gatti “Racconti storici e romantici”, Ed. Voghera, 1855]. Qui la leggenda vuole che la notte del 2 novembre si svolga una delle processioni più terrificanti di tutta la Liguria. I contadini raccontano che intorno alla mezzanotte le anime degli annegati e di quelli non sepolti in terra consacrata vaghino indossando cappe nere, muovendosi lente alla luce delle torce e levando commoventi salmi, La processione ha termine all’alba con la luce del sole.

Streghe ad Albisola
Sembra proprio che la pratica della stregoneria abbia interessato ogni angolo della Liguria. Così anche ad Albisola, nelle vicinanze di Villa Gavotti, si racconta che le streghe si dessero convegno per il sabba. Si dice che una di loro si fosse innamorata del marchese e le sue colleghe tentassero allora con ogni sorta d’incantesimi e malefizi di distogliere la giovane dal suo sentimento. Nonostante le loro arti magiche, fallirono, ma la strega innamorata, presa da ira tremenda, salì sulla montagna e provocò un terremoto che spaccò in due la vetta. Da quel giorno il luogo fu chiamato “Bricco Spaccato”.

CELLE LIGURE

Il nome della località ci rimanda ai suoi trascorsi di pescatori e marinai; le “cellae” erano infatti quei capanni utilizzati per riporre le barche, le reti e gli attrezzi da lavoro. Il paese oggi si divide nel nucleo di Piani, più moderno, a levante, e in quello costituito dal vecchio borgo di pescatori, a ponente. È un incantevole lungomare a unire le due anime di Celle, entrambe piacevoli da visitare pur nella loro diversità. A levante sorge la chiesa di Nostra Signora della Consolazione la cui costruzione risale al 1468 ad opera degli Agostiniani; l’attuale facciata è del 1725. I primi documenti in cui viene citata Celle risalgono al 1014 e la indicano come possedimento di Ugo di Clavesana. Fu poi divisa tra i Marchesi di Ponzone, i Marchesi Del Bosco, i Doria e i Malocello; dal 1398 al 1414 fu sotto il dominio della vicina Genova fino a che non divenne Comune dotandosi di un proprio statuto chiamato “Negrin”. Nel 1528 fece parte della Podesteria di Varazze. Un tempo ci dovevano essere ben due castelli a proteggere Celle dagli assalti saraceni, uno a monte e l’altro sul mare, ma di nessuno dei due è rimasta traccia.

Tradizioni
È tradizione che a Celle la notte tra il 23 e il 24 giugno in occasione della festa di S. Giovanni si accendano numerosi falò sulla spiaggia; l’usanza, praticata anche in altre zone, potrebbe essere retaggio di un lontano culto pagano. Nell’opinione di Padre Francesco Ferraironi, famoso storiografo di Triora, i falò della notte di S. Giovanni “non hanno alcuna relazione con la stregoneria: si tratta di un uso antichissimo, già praticato nel secolo XV che esprime gioia popolare…”, invece Orlando Grosso (Gazzetta di Genova, 3 giugno 1919) sosteneva a riguardo un’altra ipotesi secondo cui: “i contadini accendevano con le fiaccole i mucchi di sterpi e di ossami, nella illusione che il fumo cacciasse dalle valli i draghi e gli spiriti maligni: scendevano dai boschi – secondo la tradizione popolare – in quella notte, le streghe in cerca di villaggi. Pendevano dalle finestre e alle porte delle case le palme, i rami d’ulivo benedetti, le scope nuove, per stancare le streghe nel contare ad uno ad uno i fuscelli di saggina prima di entrare.”

Il fantasma del mulino
È una vecchia struttura nei pressi di un’area picnic, in zona collinare, appena fuori dall’abitato di Celle; il mulino sarebbe stato più volte luogo di apparizione di un fantasma femminile non precisamente identificato, ma che in vita doveva essere particolarmente legato al Mulino. Sono diverse le testimonianze di coppie di fidanzati che avrebbero visto di notte la bianca figura vagare intorno alle rovine.

VARAZZE

Già in epoca romana Varazze era conosciuta come centro di mare per i rifornimenti e lo smercio postale (così la indica la Tavola Peutingeriana del III secolo a.C.); si chiamava Ad Navalia, nome rimasto in uso fino all’arrivo dei Longobardi che la chiamarono prima Varagia e poi Varagine. Fu feudo dei Marchesi Ponzone e Malocello fino a quando venne ceduta da questi a Genova (XIII secolo). In seguito, comprendendo Celle Ligure e Albisola, nel 1343 divenne comune autonomo. Le sorti di Varazze rimasero sempre legate a Genova e fu teatro di violente battaglie nel corso della storia tra le quali ricordiamo l’ultima che vide contrapporsi Francesi ed Austriaci. Borgo di pescatori, si distinse nel XIX secolo per l’imponente attività cantieristica navale. Il turismo sarebbe nato in seguito, prendendo come simbolica data d’inizio la nascita nel 1887 del primo stabilimento balneare intitolato alla Regina Margherita.

Si dice che Giuseppe, Maria e Gesù, dopo la drammatica fuga in Egitto, abbiano peregrinato ancora a lungo, giungendo addirittura in Liguria. Un giorno però l’asino sul quale Maria e Gesù viaggiavano non ne volle più sapere di andare avanti. Giuseppe allora gli disse: “Va ase”. Da quel momento il paese che stavano attraversando cambiò nome traendo spunto da quell’invito a proseguire.

Passeggiando per il centro vedrete, chiusi tra le recenti costruzioni, i resti della cinta muraria del XI secolo, alcuni torrioni e la facciata della parrocchiale di S. Ambrogio risalente al XII secolo. Nei pressi della chiesa di S. Nazario ci sono i resti della seconda cinta muraria del XV secolo che ingloba la Porta di via Coda, la Torre di Ponente e altre fortificazioni.

Misteri
In località Salice, presso U Cian da Munega (il piano della monaca) c’è un’enorme pietra infissa nel terreno, alta più di 2 m., con una circonferenza di 4 m., che nelle forme ricorda l’immagine di una monaca. Anche questa pietra è un menhir, uno dei tanti della zona, autentica e misteriosa traccia di un lontano passato.

Tradizioni
Quella della “cassa di S. Bartolomeo” è una delle più celebri leggende di Varazze; si narra che i pirati saraceni durante una delle numerose scorrerie avessero rubato una preziosa statua che pesava più di quindici quintali, raffigurante lo stesso santo. Tuttavia durante la navigazione nelle acque del Tirreno i predoni, colti da un’improvvisa tempesta, se ne liberarono, gettandola in mare. La corrente e un intervento miracoloso, alcuni giorni dopo, fecero comparire la statua di nuovo sulla spiaggia di Varazze da dove era stata trafugata.
Da allora la statua viene portata annualmente in processione durante la festa di San Bartolomeo.