Macugnaga si trova a 1327 metri s.l.m ai piedi del Monte Rosa.

I primi insediamenti stabili di coloni avvennero nel XIII secolo, queste popolazioni provenivano dalla Svizzera, ma erano di origine germanica. I Walser (così erano denominati) erano in cerca di nuove terre idonee per la pastorizia e l’agricoltura. Caratterizzarono la Valle Anzasca con la loro architettura tipica e il loro dialetto che è rimasto fino ai giorni nostri.

Nel centro storico di Macugnaga si potranno vedere queste antiche case (datate XVI secolo) e nel museo casa Walser, nella frazione di Borca, si potranno trovare gli oggetti tipici della vita quotidiana di questo fiero popolo. Interessante è la particolare tecnica a incastro utilizzata per costruire le abitazione, chiamata blockbau, con cui venivano disposti e uniti gli angoli dei tronchi di larice e abete utilizzati per la costruzione delle pareti. Alla casa non mancava certo il fleischspicher (dispensa), né tanto meno la gode (stalla) e del griech (fienile), e naturalmente delle Seela-bagga (si trattava di un’apertura che veniva aperta solo quando un membro della famiglia moriva, per consentire all’anima di fuggire dalla casa indisturbata).
Famosa è anche la “MausPlatte“,un sistema di posizionamento dei tronchi usato per creare dei basamenti tali da impedire al topo di salire fino al granaio.

Alle spalle di Macugnaga troviamo Sua Maestà il Monte Rosa: la punta più alta è Punta Dufour 4634 m e lo Zumstein 4.563 m di altezza. Queste vette sono state raggiunte per la prima volta nel 1872 e poi nel 1889 scalate da Achille Ratti, futuro papa Pio XI.
A 4556 m sulla Punta Gnifetti, si trova il rifugio più alto d’Europa: la capanna Regina Margherita, così denominata in onore della Regina Margherita di Savoia che pernottò nel 1893, nel giorno dell’inaugurazione.
Il nome Monte Rosa deriva dal termine roise in patois, antica lingua locale e significa ghiacciaio.

Giungendo poi alla seconda frazione di Macugnaga, Borca, troviamo la miniera d’oro della Guia, che è stata attiva per oltre duecento anni (dal 1710 al 1946) e vanta in Italia il primato di essere stata la prima miniera riaperta a scopo culturale. La massima produzione si ebbe fra il 1937 e il 1945, negli anni ’50 l’attività estrattiva dava lavoro ad ancora 300 operai per poi chiudere nel 1961.

Al suo imbocco si può ammirare il mulinetto di amalgama a mercurio, testimonianza del metodo di lavoro utilizzato tra gli anni Venti e Trenta per separare l’oro dai materiali sterili, reso attivo dalla spinta dell’acqua. Il lavoro del minatore era senza alcun dubbio molto duro, sia per la bassa temperatura interna alla miniera (circa 9°C), sia per gli strumenti e le tecniche di lavoro richieste.

La miniera è ben attrezzata per accogliere visite guidate a pagamento, durante le quali è possibile scorgere lungo tutto il percorso (1,5 km) autentici filoni di pirite aurifera.
Il percorso dura circa 40 minuti.

Per visite turistiche organizzate, sono disponibile: unsognodilago