Mario Sobbia nasce in Piemonte, ad Andorno Micca, in provincia di Biella, ma risiede a Torino dove è docente presso l’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Alberghieri e della Ristorazione Colombatto.

Laureato in Scienze Politiche con indirizzo Politico-Amministrativo ha avuto numerose esperienze in Ristoranti ed Hotel in Italia e all’estero: Inghilterra, Cina, Francia, Svizzera, Danimarca, Stati Uniti, Giappone, India, e sulle navi.

Ha pubblicato cinque testi di Cucina con la Casa Editrice Barisone:
“Carni rosse”
“Carni bianche”
“400 ricette per preparare i primi piatti”
“I dolci presentati dai Grandi Chef”
“Piatti chic e vini doc”

E’ insegnante e consulente di cucina. Collabora con il quotidiano “La Stampa” e la rivista “Il Cuoco”, della Federazione Italiana Cuochi. Fa parte dell’Associazione Cuochi di Torino e Provincia.

Noto professionista del settore ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui:
Distintivo d’Oro A.C.T. , Collegium Cocorum F.I.C. Discepolo di Escoffier; Vincitore di alcuni concorsi, Sommelier, Collare U.R.C.P. dell’Assessorato regionale al Turismo per meriti acquisiti fa parte dell’Ordine Professionale dei Maestri di Cucina ed Executive Chef della F.I.C.

E’ insignito dell’ambito riconoscimento al merito professionale “Collegium Cocorum” ed è Ambasciatore della Cucina Italiana in Francia, America e Giappone.
A Londra lavora al mitico “Savoy”, come Chef Potager e Hors d’Oeuvrier. A Montreux in Svizzera; in Francia a Parigi; negli Stati Uniti a Washington, ha insegnato la cucina italiana a “La Francesca” di Yamaguchi in Giappone. Ha cucinato in Vaticano per il Papa e i suoi ospiti.
A Pachino per divulgare la cucina italiana in occasione del “Through Italy Food and Wine Festival”.
Promotore e collaboratore nello stand “Il Laboratorio del Gusto” al “Salone del Gusto” di Torino – Lingotto.
In Italia ha lavorato in una casa privata presso la contessa Buratti della Malpenga, poi alla Società di Navigazione Italia e altri noti ristoranti.

Due ricette di Mario Sobbia

Bue brasato al Barolo di Mario Sobbia

Piatto tipico piemontese, la cottura del bue brasato al Barolo avviene a fuoco basso e in un recipiente chiuso (oppure a cottura in forno). Originalmente il brasato si faceva nella brace del focolare e per ottenere una cottura uniforme, la brace veniva messa anche sul coperchio del recipiente.
La preparazione risale al periodo romano, quando il sistema di conservazione era quasi nullo. Si teneva la carne, immersa nel vino con erbe aromatiche e verdure, per alcuni giorni. Questo sistema oltre che conservare la carne prendeva sapore, diventando più tenera. Con il passare del tempo e i vari incroci di animali, non si è più reso necessario lardellare la carne.

La tradizione del bue nella storia di Torino…

Le origini del bue brasato si intrecciano con la storia di Torino. Il nome della città “Torino” è legato a TAURINORUM ovvero concentrazione di allevamenti di tori e buoi; infatti lo stemma di Torino è proprio il toro. Lo stemma della città rappresenta il Toro rampante d’oro, con le corna d’argento, su campo azzurro e con la corona comitale a nove perle. Questo simbolo venne però adottato ufficialmente solo il 16 giugno 1687.

L’etimologia è anche legata alla storia che narrava come Cecrope (primo re di Atene) detto Difie, iniziò ad immolare tori a Giove, dopo che questi si era unito a Jo, la quale, dopo la morte, sarebbe stata adorata col nome di Iside. Iside e Jo erano già state assimilate da alcuni autori antichi come Ovidio, Tibullo, Properzio e Giovenale; anche nell’Iseo di Pompei vi sono raffigurazioni con questa identificazione. Pingone narra che allora l’Italia si chiamasse Apenninia, con riferimento al toro Api, e quindi che la prima città al di là dei monti volesse avere la divinità dei tori, che fu così chiamata Taurina. Altri sostengono che ciò derivi dall’espressione celtica thor (monte), e che abbia poi mutuato per analogia il simbolo del toro.

La ricetta del bue brasato al Barolo

Attrezzatura:
pentola con coperchio, forchettone, mestolo, coltello, tagliere, spago, ago lardellatore, passaverdura o setaccio

Ingredienti per 4 persone:
800 gr circa di carne di bue o manzo dalla parte della coscia
300 gr di mirepoix di verdure (sedano, carote e cipolle tagliate a cubetti)
spezie: chiodo di garofano, cannella in stecca, 2 grani di pepe schiacciato
alcune erbe aromatiche: rosmarino, salvia, lauro
1 spicchio d’aglio, lardo o pancetta, olio, burro, sale
1 bottiglia di barolo o del buon barbera

Preparazione: dopo aver steccato il pezzo di carne con listarelle di lardo o pancetta (facoltativo), legatela con lo spago e lasciatela a marinare per circa 12 ore con il vino; unite la mirepoix, erbe aromatiche, aglio e spezie. Sgocciolate la carne dal liquido, infarinatela e rosolatela con olio e burro a fiamma forte, facendola colorire bene da tutte le parti sempre a fiamma forte. Aggiungete tutti gli ingredienti della marinata e salate. Mettete il coperchio e cuocete a calore molto basso per circa 2-3 ore; aggiungete brodo e acqua calda se il sugo tendesse ad asciugarsi troppo.

A cottura ultimata, togliete la carne e passate il fondo al passaverdura. Rimettete nella pentola il fondo e portatelo a bollore, controllandone il sapore e consistenza. Se risultasse troppo liquido, lasciatelo sul fuoco a ridurre o legatelo con fecola o farina.
Servite il brasato ben caldo, velato dalla sua salsa e accompagnato con purea di patate e cipolline glassate, oppure con polenta.

Il Bonèt di Mario Sobbia

È uno dei dolci tipici che più di frequente si trova sulla carta abituale dei ristoranti. Si chiama bonet (che vuoi dire berretto, copricapo; pronuncia “bunèt“), sia per la forma dello stampo di rame o di alluminio in cui tradizionalmente viene cotto, sia – anche – perché viene servito alla fine del pasto, come “bonet”, cioè “berretto, cappello” a tutto ciò che si è mangiato: quando ci si vestiva per uscire, il bonet non era l’ultima cosa che si indossava?

A base di latte, uova, amaretti, zucchero e cacao (qualcuno aggiunge un goccio di rhum), il bonet è un budino cotto a “bagno maria” e generalmente servito freddo (ma c’è anche chi lo serve caldo).
Ormai il bonet lo si trova dappertutto, ma originariamente era un dolce tipico delle Langhe, anzi probabilmente dell’ Albese. Nato come dolce invernale, lo si trova in tutte le stagioni. Come vino, nonostante contenga cacao, chiede Asti spumante o Moscato, oppure un passito.

Ricetta del Bonet

Ingredienti per 5 persone:
Latte lt. 1/2
uova n. 3
tuorli n. 3
zucchero gr 125
cacao gr 25
amaretti sbriciolati gr 150
vanillina n. 1/2 bustina
zucchero per caramello gr 100
salsa di nocciole

Sobbollite il latte con la vaniglia; preparate lo zucchero caramellato unendo allo zucchero n. 4 cucchiai di acqua e cuocetelo fino a farlo caramellare e quando è ancora caldo coprite con lo stesso il fondo degli stampini destinati alla preparazione del bonet. In una bastardella sbattete tutte le uova con lo zucchero; quando il composto è diventato color biancastro, unite prima il cacao e poi gli amaretti sbriciolati; quando il latte è arrivato ad ebollizione filtratelo nel composto e lasciatelo raffreddare. A composto freddo, riempite gli stampini con il caramello e cuocete a bagnomaria in forno per 40/45 minuti a 150°C oppure in forno a vapore a 84°C per 35 minuti; a cottura ultimata abbatteteli, sformateli quando sono ben freddi e posizionateli nei piatti.
Accompagnare eventualmente con salsa di nocciole e guarnite con stile e fantasia.

Ricetta della salsa di nocciole

Ingredienti:
Latte intero gr 700
zucchero gr 140
tuorli d’uovo gr 180
panna gr 120
pasta di nocciole gr 100

Versate sui tuorli sbattuti con lo zucchero, il latte caldo e portate a 85°C, unite infine la panna e la pasta di nocciole.

di Alexander Màscàl, fotoreporter e scrittrice di turismo