Dalla preistoria all’antica Grecia, tra otri e anfore…
L’epoca romana e il vino status symbol
Medioevo e Rinascimento: i vigneti nei giardini dei monaci
Dalla scoperta dell’America al XIX secolo: Colombo e la vite americana
La viticoltura moderna, epidemie e nuove tecnologie

DALLA PREISTORIA ALL’ANTICA GRECIA

Un tempo si credeva che la vite fosse una pianta non indigena ma importata in Europa dall’Asia occidentale in tempi remoti. In realtà, grazie ai numerosi reperti paleontologici ritrovati, si può affermare che a partire dal principio dell’era terziaria, cominciarono a fare la loro apparizione delle piante riferibili al genere botanico Vitis. La vite selvatica quindi esisteva ancora prima della comparsa dell’uomo sulla Terra. Grazie a condizioni climatiche più miti di quelle attuali, la sua diffusione superava quasi certamente i confini delle sue attuali zone di coltivazione. Essa cresceva in Afghanistan e in Egitto, nella parte occidentale dell’America centrale, nei Carabi, in Messico… Le glaciazioni ne ridussero la diffusione alle zone temperate. Diversamente dalle attuali viti coltivate, quella selvatica aveva caratteristiche molto diverse. È solo nell’era quaternaria, e nell’area euro asiatica, che si può parlare con sicurezza della presenza di Vitis vinifera, chiamata così dai botanici per indicare la vite atta a produrre vino. Quindi resta comunque assodato che la vite esisteva in Europa già prima della comparsa dell’uomo e quindi prima di ogni immigrazione e perciò prima di ogni trasporto di essa da altri paesi.

Grazie alle conoscenze archeologiche attuali, si tende a far risalire l’origine della viticoltura al Mesolitico, intorno a 9000 anni a.C., nella zona nota come Mezzaluna Fertile, culla delle antiche civiltà, nell’area compresa tra Caucaso ed Egitto. Benché il passaggio dalla raccolta dei frutti alla coltivazione sia stato sicuramente lento e graduale, la vite sembra essere stata, insieme a grano, orzo, miglio, lino e cotone, una delle prime piante coltivate dalle antiche popolazioni che precedettero le grandi civiltà sumere, assire, babilonesi, egizie e cartaginesi com’è dimostrato da chiare documentazioni in bassorilievi, pitture funerarie, tavolette che descrivono le tecniche di coltivazione della vite e della produzione del vino. In realtà non si sa con precisione quando e dove sia stato prodotto il vino per la prima volta ma il metodo del Carbonio 14 ha permesso di datare con sicurezza fra il 7000 e il 6000 a.C. reperti che attestano diffusione di questa pratica.

Al 6000 a.C. risale un torchio ritrovato presso Damasco, sempre allo stesso periodo risalgono resti di brocche d’argilla decorate con grappoli d’uva rinvenuti in Georgia; inoltre ad una antica cultura caucasica si attribuisce l’origine del termine “vino”. Si racconta che la scoperta del vino sia stata un fatto del tutto casuale: alcune popolazioni asiatiche, infatti, conservavano il succo d’uva in otri di pelle di capra o di cammello dove esso, a causa della temperatura elevata, iniziava ben presto a fermentare fino a trasformarsi in una bevanda dal gusto piacevole e inebriante. È tuttavia lecito avanzare qualche dubbio sulla bontà della bevanda ottenuta che veniva infatti addolcita con miele oppure aromatizzata con erbe come l’assenzio. Non si sa neanche se la fermentazione fosse completa, se il vino restasse dolce, si ossidasse o diventasse aceto, in ogni caso è molto probabile che venisse venerato per gli effetti inebrianti che produceva quando lo si beveva.
Nell’Egitto predinastico (4000 a.C.) il consumo del vino era riservato alla nobiltà e, cosa curiosa, il geroglifico che indicava il vino è stato il primo geroglifico in assoluto ad essere decifrato (succedeva nel 1822).

Dal terzo millennio a.C. il consumo del vino e la coltivazione della vite si diffusero nell’area mediterranea dove furono soprattutto i Greci a esaltare l’importanza del vino per alleviare la fatica e le pene dell’uomo. A partire dal 1600 a.C., proprio grazie all’ascesa della civiltà greca, la vite divenne una coltivazione sistematica nel bacino del Mediterraneo. I maggiori centri di produzione del vino dovevano essere Sparta e Micene. Il vino era una bevanda rituale, con la quale si festeggiavano vittorie, si veneravano gli dei e si celebravano le feste. I metodi di vinificazione erano sorprendentemente avanzati anche se accadeva spesso che durante la fermentazione venisse aggiunta acqua di mare al vino per ammorbidirlo. I Greci diffusero il vino e la vite in Siria, in Egitto, a Cadice e a Marsiglia intorno al 600 a.C. e successivamente, circa cento anni più tardi, in Sicilia. Dioniso, il dio del vino, era considerato sì un benefattore, poiché aveva insegnato ai contadini l’arte delle vinificazione, ma anche come una minaccia, poiché era in grado di far ubriacare gli uomini e lasciarli in preda alla follia.

L’EPOCA ROMANA

In Italia l’inizio della coltura della vite e della preparazione del vino non si ebbero in modo simultaneo in tutto il Paese. In Sicilia sembrerebbe che la vinificazione fosse già praticata 2000 anni a.C., mentre nell’Italia settentrionale bisogna aspettare l’età villanoviana, all’inizio del primo millennio a.C. Alla diffusione di un’attività vitivinicola nel Settentrione devono aver contribuito gli Etruschi i quali avevano iniziato a esportare il vino verso la Provenza. Per gli Etruschi il vino era un simbolo di agiatezza economica e di vita dissoluta già a partire dal III secolo a.C. Secondo quanto narra lo storico Livio, le prime discese dei Galli in Italia sarebbero state determinate proprio dal desiderio di approvvigionarsi di tale bevanda.

Al fiorire di questa attività nel Nord Italia devono aver contribuito anche gli Euganei la cui civiltà, durata per circa un millennio prima dell’occupazione romana, ebbe evidenti influssi anche su altri popoli al di qua e al di là della Alpi.
Nei primi secoli della storia di Roma, la coltura della vite e la preparazione del vino dovevano essere poco esercitate anche se la vite era considerata quasi sacra. Nella Legge delle XII Tavole, risalente al 450 a.C., si parlava di vigneti e venivano puniti i furti in essi commessi. Fra il V e il III secolo a.C., in seguito alle grandi conquiste di Roma, l’economia rurale subì profonde modificazioni e la vite venne ad occupare il primo posto fra le colture ad alto reddito.

Pare che in origine le tecniche di coltivazione della vite siano state passate ai Romani da parte dei Greci, mentre le tecniche di vinificazione giunsero a Roma grazie ai Fenici. La tecnica vitivinicola col passare del tempo andò perfezionandosi e la bontà e la fama dei vini italiani si andava affermando sempre più e con essa l’esportazione dei prodotti enologici. Questo fu il periodo dell’apogeo della viticoltura romana testimoniato dalle opere dei principali georgici latini. In quest’epoca il vino era status symbol, valuta, medicina, bevanda mitica e veniva bevuto in occasioni importanti. In quel periodo si cominciò a distinguere le varie specie di vite e Virgilio scrive che ce n’erano tante come i granelli di sabbia sulla spiaggia.

Seguì poi un periodo in cui si ebbe uno spostamento territoriale della viticoltura che dal Lazio si spostò verso le province per far posto a colture più redditizie. I Romani, inoltrandosi all’interno di Gallia (Francia), Germania, Norica (Austria), Spagna, portarono questa coltura in questi luoghi e l’espandersi dell’Impero Romano corrispose all’espandersi della civiltà del vino presso popoli che fino ad allora conoscevano solo la birra.

Nel 92 d.C., nel momento della massima espansione dell’Impero, Domiziano emise il ben noto Editto in cui veniva vietato l’impianto di nuovi vigneti in Italia e ordinata la soppressione di quelli esistenti nelle province. La formulazione di questa norma fu provocata da una grave carestia di grano e mirava quindi, da una parte ad assicurare il pane all’Italia, e dall’altra a sopprimere la concorrenza che la viticoltura delle province faceva a quella italiana. Tale Editto fu poi revocato nel II secolo dall’imperatore Probo che favorì la viticoltura nelle province ed è a lui che si attribuisce lo sviluppo dei vigneti lungo il Danubio.
Nel II secolo d.C. iniziò un periodo di decadenza dell’agricoltura, a causa delle guerre civili e dello spopolamento, e la vite fu tra le prime colture a risentirne tanto che con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente fu in pericolo la sua coltivazione nella penisola italiana.

MEDIOEVO E RINASCIMENTO

Se la decadenza della viticoltura non ebbe conseguenze irreparabili, fu grazie alla particolare considerazione in cui il vino fu tenuto dalla religione cristiana che andava diffondendosi in tutto il mondo per la celebrazione del cui rito più alto, la Mensa Eucaristica, il vino era un elemento indispensabile. Fu così che nell’Alto Medioevo la coltivazione della vite si ritrovò affidata agli ordini religiosi e veniva praticata nei conventi, al riparo dai predoni che battevano le campagne. Furono soprattutto i monaci benedettini a occuparsene e presso di loro la scienza della viticoltura e della giusta vinificazione raggiunsero un grado di sofisticazione molto elevato. Fu invece grazie ai monaci cistercensi dei monasteri di Cluny e di Cîteaux che la Borgogna iniziò a trasformarsi in una regione viticola.

Al 650 d.C. risale l’Editto di Rotari secondo il quale erano previste pene severe per chi rubava più di tre grappoli d’uva. Carlo Magno, invece, nel suo Capitulare de Villis dedica vari articoli alla vite e al vino e la leggenda vuole che fosse lui stesso a piantare vigneti presso il Reno.
Intorno all’anno Mille i vigneti andavano risorgendo e il vino a circolare e ad essere consumato in abbondanza tanto da rendere necessarie severe misure contro l’ubriachezza che lo stesso Papa Innocenzo III, nel Concilio de 1215, proclamava come un grave delitto.

Mentre le Repubbliche marinare importavano i vini provenienti dall’Oriente mediterraneo, i vini italiani ricominciarono ad avere buon credito e ad essere esportati verso l’Europa Centrale. Col sopraggiungere dell’età dei Comuni vennero adottate varie disposizioni per favorire la viticoltura e proteggerla da ogni sorta di danni come è testimoniato dagli Statuti comunali provenienti da ogni parte d’Italia.
Nel Rinascimento furono i monarchi illuminati e la borghesia a far diventare la viticoltura una delle coltivazioni principali. Nel XVI secolo si registrò la massima espansione della superficie coltivata a vite in Europa, ma l’epoca d’oro del vino andò in breve tempo a scomparire a causa di guerre, epidemie e abbassamento della temperatura, fattori che determinarono un restringimento delle aree vitate alle zone attualmente caratterizzate dalla viticoltura.

DALLA SCOPERTA DELL’AMERICA AL XIX SECOLO

Le vicende storiche che si susseguirono a partire dalla scoperta dell’America, ebbero profonde ripercussioni sull’economia agraria dei paesi europei e anche sulla viticoltura. Nel 1498 Cristoforo Colombo, di ritorno dal suo terzo viaggio dall’America, portò alla Regina Isabella il prodotto di viti indigene da lui trovate a Cuba. Alle Canarie e a Madera la vite era già stata portata da Enrico il Navigatore nel 1420; l’importanza di questi avamposti della viticoltura europea sono legati al fatto che queste isole costituirono gli scali per le navi dirette ne Nuovo Mondo dove, invece, i primi impianti si ebbero ad Haiti e pare che risalgano a poco tempo dopo l’arrivo dei conquistatori spagnoli. Nel 1524 Cortez, allora governatore della Nuova Spagna (l’attuale Messico), ordinò che i coloni spagnoli piantassero la vite nei territori loro concessi.

Nel 1550 Carlo V decretò un premio cospicuo a chi per primo avesse prodotto nell’America meridionale vino utilizzabile per celebrare la Santa Messa. Lungo le coste del Pacifico la viticoltura seguì la progressiva conquista dell’impero incaico da parte delle truppe di Pizarro. Lo sviluppo della viticoltura nell’America centro – meridionale fu tale che in quel periodo Filippo II proibì l’impianto di nuovi vigneti in quel continente. Per quanto riguarda le tecniche vitivinicole, un progresso fu realizzato con l’invenzione della stampa che permise di pubblicare e diffondere le opere georgiche dei latini, contenenti le buone norme viticolo – enologiche.

A differenza dell’America del Sud, le importazioni viticole sulla costa atlantica dell’America settentrionale non ebbero successo perché il clima si rivelò poco propizio; la vite europea, infatti, sopravvisse appena per ibridarsi con viti selvatiche locali, prima di scomparire sotto l’attacco dei numerosi parassiti contro cui non aveva alcuna resistenza. Non si hanno testimonianze dell’esistenza del vino in epoca precristiana in questa parte del continente pur essendovi diffuse piante del genere Vitis. La spiegazione sta nel fatto che le uva delle viti americane non avevano le caratteristiche per essere trasformate in vino poiché contenevano quantità di zuccheri insufficienti e tassi di acidità troppo elevati o, in alcuni casi, troppo bassi. Probabilmente esisteva una specie di vino, ma forse non aveva un buon sapore, ancora oggi infatti i vini ottenuti dalle sottovarietà americane sono caratterizzati da un aroma particolarmente intenso e sgradevole definito come “foxy” o “volpino”. In ogni caso nella storia del continente americano il vino vero e proprio compare in epoca molto tarda.

Nel frattempo la coltura della vite conquista nuovi territori oltre alle Americhe: presso il Capo di Buona Speranza, importante scalo sulla rotta delle Indie, il governatore Johan van Riebeek piantò le prime barbatelle nel 1655.
Nel 1788 si ebbe un altro momento importante per la viticoltura mondiale, con l’introduzione della vite in Australia.

LA VITICOLTURA MODERNA

All’inizio dell’800, l’influsso della Rivoluzione Francese, segnò un nuovo periodo di trasformazione nella gestione della proprietà terriera in Europa, che vide protagonisti i borghesi arricchiti e quella parte di nobiltà che, aperta e sensibile al progresso tecnologico, diede la spinta a migliorare i sistemi di conduzione dei fondi, poiché già dal ‘700 si andava manifestando un notevole interesse per la sperimentazione e si realizzavano importanti conquiste nel campo delle scienze biologiche e fisico – chimiche.
L’avvenimento più significativo nella storia della viticoltura moderna fu la scoperta di tre gravi malattie della vite: Oidio, Fillossera e Peronospora.

L’Oidio giunse in Europa dall’America attraverso piante importate da oltreoceano. Nel 1845 si ebbe il primo attacco in una serra presso Londra e nel 1847 raggiunse la Francia dove distrusse interi raccolti. Ancora più devastanti furono i danni causati dalla Fillossera, insetto giunto anch’esso dall’America settentrionale comparso per la prima vota in Europa nel 1868. Partendo dalla Francia, divorò i vigneti europei annientando per decenni interi patrimoni. Infine, nel 1878, sempre dal Nuovo Mondo, giunse la Peronospora.

Fortunatamente, il substrato culturale e la fase di sviluppo tecnologico raggiunti, consentirono alla scienza di reagire a questa grave crisi e si riuscì ogni volta a trovare i rimedi adeguati contro questi flagelli, ma la viticoltura europea uscì da questa lotta profondamente trasformata. Fino alla prima metà del XIX secolo, infatti, la viticoltura era rimasta legata alle tradizioni millenarie e la tecnica non si discostava di molto da quella illustrata da Columella e Virgilio nelle loro opere. La comparsa di queste tre ampelopatie causò più che un’evoluzione, una vera e propria rivoluzione nella tecnica stessa, non più basata solo sulle norme colturali tramandate di padre in figlio, ma anche sulle scoperte scientifiche della biologia e della chimica-fisica.

Trasformazioni profonde sono avvenute e sono ancora in corso in Italia come in altri paesi viticoli e sono legate alla necessità di ridurre sempre più i costi e alla sempre più crescente specializzazione. Questi sono elementi che, nel risolvere alcuni problemi, ne creano degli altri nuovi: è per questo che è necessario un continuo ripensamento nel modo di coltivare la vite anche perché i suoi prodotti, pur non essendo obiettivamente indispensabili per l’uomo, rappresentano un elemento non trascurabile per la qualità della vite che i popoli mediterranei hanno portato ovunque si siano stabiliti.