Genova, Palazzo Ducale 27 novembre 2010 – 1 maggio 2011

La sfida impossibile, la prova del fuoco: questo è stato il Mediterraneo, con la sua luce e i suoi colori, per almeno cinque generazioni di artisti, tutti calamitati in Riviera a catturare con i pennelli le magie che si creano all’infrangersi della luce sul movimento dell’acqua. E non solo l’acqua del grande mare, ma anche il suo immediato entroterra, aspro e rigoglioso al tempo stesso, lucente di un sole abbagliante che per esempio Van Gogh ha immortalato in quadri celebri, così come Cézanne.

“Mediterraneo da Corot a Monet a Matisse” è la grande mostra che riunisce il meglio di quelle sfide, i magnifici capolavori che esse hanno generato. Circa ottanta le opere che, dal 27 novembre 2010 al 1 maggio 2011, brilleranno a Palazzo Ducale, concesse da molti musei sia europei che americani, oltre che da gelosissime collezioni private.
A promuoverla sono il Comune di Genova, Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e Linea d’ombra, con la cura scientifica di Marco Goldin e la collaborazione del Gruppo Euromobil dei fratelli Lucchetta, storico partner del critico veneto.

Le cinque generazioni iniziano da quella, subito dopo metà Settecento, con l’opera di Joseph Vernet e Hubert Robert, ancora nell’ambito del classicismo, poi quella cresciuta intorno a Courbet e Corot, all’insegna del realismo, che hanno poi vissuto il formarsi, il crescere e il superamento dell’impression con Monet, Cézanne, Renoir, Van Gogh, e ancora cercato nuove strade con Signac, o nell’inedito Munch, i Fauves, rappresentatati nel titolo della mostra da Matisse, e poi Derain, Braque, Friesz, Dufy, Valloton, Soutine, Bonnard, fino alle prove brucianti di Nicolas de Stael a metà XX secolo, a conclusione quindi di ben duecento anni di pittura davanti al Mediterraneo.

Tutto intorno a un tema che fu un rovello: rappresentare l’apparente semplicità del blu del Mediterraneo: “Colore cangiante, non sai mai se sia verde o viola, non sai mai se sia azzurro, perché il secondo dopo il riflesso cangiante ha assunto una tinta rosa o grigia”, come scrisse Van Gogh. Ma anche rappresentare quel verde specchiato di cielo dell’entroterra.

Rispetto alle visioni fortemente spirituali di Friedrich o alle tempeste baluginanti e magmatiche di Turner nei mari del Nord, il Mediterraneo si è imposto con notevole ritardo nella percezione che i pittori avevano del paesaggio tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del successivo.
Proprio nel momento in cui Pierre – Henri de Valenciennes pubblicava il suo celebre trattato sulla rappresentazione della natura, perdurava l’idea che la nozione del Mediterraneo fosse stretta al senso dell’antichità e in primo luogo alla romanità. Per cui il riferimento alla coste italiane, quali luoghi deputati di questo riandare all’antico, dominava la pittura.

Un contributo fondamentale a un primo cambiamento venne da Camille Corot, che nella primavera del 1834 scendendo per la seconda volta verso l’Italia, percorse la strada costiera da Marsiglia a Genova, dipingendo tra l’altro nella città ligure una manciata di quadri molto belli. Il breve transito in Provenza convinse Corot a ritornare due anni più tardi assieme all’amico pittore Prosper Marilhat, così da dipingere alcune vedute della zona di Avignone assai significative. A questo tempo del realismo si possono certamente ascrivere anche le opere di Félix Ziem e di Émile Loubon, con i loro quadri realizzati attorno a Marsiglia, Antibes e Nizza. Così come quelli di Paul Guigou e Adolphe Monticelli, ovviamente assieme a quelli meravigliosi di Gustave Courbet specialmente dipinti nel piccolo villaggio di pescatori di Palavas, vicino Montpellier.

A questo primo tempo della mostra ne succede un secondo, quello in cui alcuni grandi dell’impressionismo danno conto, in molti quadri sublimi, delle loro visite, o lunghi soggiorni, in Provenza e lungo la costa del Mediterraneo. Da Cézanne a Monet, da Renoir a Boudin a Van Gogh. Cézanne che dagli anni settanta coltiva quello spazio, sia esso il mare, il bosco o la Sainte-Victoire, come la nascita di una continua, sempre nuova bellezza. Renoir che proprio vicino a Cézanne dipinge, tra 1882 e 1883, rari e però bellissimi scorci di natura, prima che sia quel suo tempo più tardo di brillante frammentazione del colore. E ancora i due soggiorni di Monet, nel 1884 a Bordighera e nel 1888 tra Antibes e Menton, quando il mare è come un tappeto di pietre preziose. E poi i due anni provenzali di Van Gogh.

Anni cui seguono immediatamente quelli del post impressionismo, che hanno soprattutto in Signac tra Saint-Tropez e Antibes la loro punta di diamante. Ma anche Van Rijsselberghe, Cross, Valtat, Guillaumin, Manguin, Camoin solo per dire di alcuni. E dentro una luce precipuamente francese stanno quei quadri che Edvard Munch dipinse a Nizza, nel corso di un periodo di convalescenza, tra 1891 e 1892, quadri quasi tutti oggi in mano privata.

La sezione dedicata alla pittura dei Fauves è certamente una tra le più interessanti, dal momento che vi saranno compresi, con quadri celebri e fondamentali, autori quali Matisse, Derain, Marquet, Braque, Friesz, Dufy, in quel loro indicare come il Mediterraneo, soltanto pochi decenni dopo, sia cosa quasi completamente diversa rispetto alle visioni di Courbet. Già pienamente dentro la modernità di un secolo che si veniva appena aprendo. E che nella regione provenzale, e sulle rive del Mediterraneo, proseguirà con gli esempi in mostra di Felix Vallotton, Chaïme Soutine e Pierre Bonnard, il pittore che più di ogni altro ha saputo consegnare la strabiliante lezione di Monet al secolo nuovo. Prima che sia la lacerazione anche psicologica del mare visto dalle mura di Antibes da De Stael.

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