progetto e cura di
Luigi Cavadini, Bruno Corà, Giacinto Di Pietrantonio

Tre grandi mostre per descrivere e interpretare quarant’anni di storia italiana. Avendo nell’arte il punto focale, inserendo però le espressioni artistiche nel contesto culturale, sociale economico di decenni rivelatisi cruciali per l’Italia: quelli dal 1947 al 1989, dall’immediato dopoguerra alla caduta del muro di Berlino. Sono stati gli anni della ricostruzione dopo una guerra tra le più devastanti, ma anche del celebrato “miracolo italiano”, gli anni della contestazione e del terrorismo, gli anni complessi della Guerra fredda. Anni comunque fondamentali anche per capire ciò che è l’Italia di oggi, nell’economia, nella politica e, a suo modo, anche nell’arte.

Per la prima volta in modo organico una grande mostra cerca di fare il punto su quel periodo magmatico, contraddittorio e vivo come pochi, tentando fra l’altro di verificare come nel corso di quei quarant’anni, l’arte abbia influenzato la società.

Emblematico il titolo della rassegna: “Il Grande Gioco. Forme d’arte in Italia 1947 – 1989”, dove il “grande gioco” evoca ruoli, richiama esperienze, suggerisce relazioni, ma soprattutto intende sottolineare come il divenire della storia e dell’arte non possano essere affrontate per comparti, ma debba essere letto nelle interazioni e nelle rispettive e reciproche influenze.

Per realizzare una così importante rassegna tre realtà hanno unito gli sforzi: Il Comune di Lissone con il suo Museo d’arte contemporanea, il Comune di Bergamo con la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea e il Comune di Milano – Cultura, con i suoi spazi della Rotonda di via Besana, strettamente affiancate dall’Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia. A ideare il progetto e curare la mostra Luigi Cavadini, Bruno Corà e Giacinto Di Pietrantonio.

“Il Grande Gioco. Forme d’arte in Italia 1947-1989” – scrivono i curatori – fa il punto sulla ricchezza di ricerche ed esiti conseguiti nel quarantennio corrispondente al periodo ormai universalmente definito della Guerra fredda mediante la sperimentazione di nuovi mezzi e di nuovi territori estetici da parte dell’arte e le relazioni, le confluenze e/o influenze instauratesi in molti casi con architettura, cinema, design, editoria economia/industria, fotografia e fotogiornalismo, società, teatro, televisione.. Si tratta di una trasversalità che recupera, ravvivandola a partire dal secondo dopoguerra, la ricchezza dell’esperienza futurista, che intendeva entrare nei vari campi espressivi e sociali della realtà, come risulta evidente fin dalla pubblicazione del primo manifesto avvenuta non su un catalogo o una rivista d’arte, ma su Le Figaro, maggiore quotidiano dell’epoca, con l’intento di rivolgersi in generale alla società e non solo agli addetti ai lavori dell’arte.
Negli anni dell’immediato dopoguerra gli artisti cercano di riprendere percorsi spesso interrotti dalla loro partecipazione al conflitto o, comunque, di ravvivare la propria ricerca e di dare ad essa una nuova visibilità.
Sui due percorsi figurazione-astrazione gli artisti si dividono, rimanendo in parte nella scia di Corrente, allineati ad una visione realistica storicamente e ideologicamente connotata (il Fronte Nuovo delle Arti, 1946), e in parte cercando, senza per questo rinunciare a un impegno politico, nuove modalità espressive, sulla scorta di esperienze come quelle condotte dagli astrattisti attivi già negli anni Trenta sia attorno alla Galleria del Milione di Milano, che in una situazione singolare come quella di Como, dove interagivano con gli architetti razionalisti e in particolare con Terragni.
Questi ultimi, memori dei limiti che un regime può imporre anche alla cultura e all’arte, manifestano l’intolleranza per un inquadramento della loro libertà espressiva entro schemi realisti, ritenuti di retroguardia.

Il filone figurativo, stando agli effetti prodottisi nei decenni successivi al dopoguerra, non sembra avere sbocchi fecondi nella società alla quale peraltro ambiva, mentre la ricerca astratta si va espandendo e ramificando in vari filoni.
L’esposizione si sofferma su questa “storia”, proprio per la sua diversificata evoluzione, per le conseguenze decisamente ampie che avrà sulla ricerca dei decenni successivi e per le relazioni che si instaurano con i vari aspetti della cultura e della società e dell’economia dell’epoca. Le forme dell’avanguardia e della neoavanguardia si diffondono nella realtà, diventano vita, anche se la maggior parte della gente non ha consapevolezza da dove quelle forme provengano”.

La mostra si articola sui tre spazi espositivi secondo una successione temporale che affida al Museo d’arte contemporanea di Lissone gli anni dell’immediato dopoguerra fino al 1958, alla Rotonda di via Besana di Milano il periodo 1959-1972 e alla GAMeC di Bergamo gli anni più recenti, dal 1973 al 1989.

Si annuncia che una rilettura di sintesi della mostra si terrà a partire dal 3 luglio fino al 26 settembre 2010 presso la sede del Museo d’Arte di Lugano.

Catalogo: Silvana Editoriale

Produzione e organizzazione generale:
Solares Fondazione delle Arti, Parma. Tel 0521 964803
www.solaresdellearti.it