Per la prima volta, fino al 10 giugno 2012, una mostra rivela la figura di VINCENZO I GONZAGA, splendido principe delle corti d’Europa che portò il ducato di Mantova a diventare un importante centro d’arte e la cui corte si misurava per sfarzo con quelle dei grandi regni europei e italiani.

Al Museo Diocesano ‘Francesco Gonzaga’ di Mantova, che esibisce tutta l’oreficeria superstite dei Gonzaga, l’esposizione dal titolo Il fasto del potere, curata da Paola Venturelli, con la collaborazione del Museo di Palazzo Ducale, presenta 90 opere – gioielli, dipinti, armature, incisioni, libri, lettere, tessuti – molte delle quali inedite o note solo agli specialisti, che offrono la percezione di un’età incomparabile, riassunta in un uomo che segnò per l’Europa intera l’apice della magnificenza.

Il percorso espositivo ha una preziosa appendice nella reggia di Palazzo Ducale che, per l’occasione, apre tutti gli ambienti dell’appartamento di Vincenzo.

Vincenzo I Gonzaga (Mantova, 1562-1612) era legato da parentela o da altri vincoli alle maggiori corti del continente. Filippo II di Spagna lo insignì del Toson d’oro, il papa Paolo V elesse suo figlio Ferdinando cardinale, il re di Francia Enrico IV era suo cognato, sua moglie Eleonora de’ Medici, sua sorella Margherita divenne duchessa di Ferrara, la nuora Margherita di Savoia, la figlia Margherita divenne duchessa di Lorena, sua madre Eleonora era figlia dell’imperatore, e un’altra sua figlia Eleonora sposò l’imperatore Ferdinando II. Quanto a lui, egli cinse una duplice corona ducale, di Mantova e del Monferrato. Pur signore di uno stato di limitata estensione e di modeste risorse, volle dimostrare di non essere da meno di un re, e anzi di distinguersi dai suoi presunti pari per singolarità di iniziative (talora sino alla stravaganza), larghezza di mezzi (regalmente ignorando i vincoli di bilancio), inesausto appagamento delle proprie passioni (gli amori, le feste e il gioco d’azzardo).

La mostra evoca i fasti di un personaggio così esuberante attraverso capolavori di grande qualità, come i ritratti. Particolarmente interessante è il raffronto tra quelli del padre, il duca Guglielmo, presente con un inedito e con il ritratto ufficiale, e quelli di Vincenzo, che misurano il repentino passaggio da un’epoca di austerità a una di appariscente grandeur. Se da un lato il padre si volle rappresentato vestito di nero in un modesto interno, il figlio appare già subito, nel ritratto dell’incoronazione, ammantato di ermellino, con scettro e corona, mentre in altri successivi volle esibire di sé, nell’abbigliamento, nelle insegne e negli ornamenti, le virtù guerresche, la raffinatezza, i titoli di gloria. Elementi suggeriti anche da un’armatura brunita con borchie d’oro che si vuole appartenuta a lui, monete e medaglie da lui coniate, un vessillo militare, un piatto su cui compaiono congiunti lo stemma Gonzaga e quello de’ Medici, memoria delle nozze con Eleonora.

Non mancano inoltre tele che ricordano l’apporto di Vincenzo al museo di famiglia, la celebre “celeste Galeria”.

Molto ricca è anche la sezione documentaria, con libri, disegni, manoscritti e stampe dell’epoca che riportano alla memoria le feste, le musiche e i testi teatrali composti per lui, le mappe e i volumi sulle glorie del casato, le figure degli illustri personaggi che frequentavano la corte.

Una documentazione particolare si occupa di un’impresa che Vincenzo vantò forse più di tutte, tanto da non esitare a mettersi in concorrenza con il re di Spagna che conferiva l’onorificenza del Toson d’oro. In occasione delle nozze del primogenito, il duca di Mantova istituì l’ordine cavalleresco che intitolò al Redentore, in rapporto con l’eminente reliquia venerata a Mantova, denominata del Preziosissimo Sangue di Gesù. Di quest’ultima viene esposto il reliquiario d’oro – per l’occasione integrato delle componenti solitamente custodite a parte – che i Gonzaga trattenevano presso di sé, nella basilica palatina. Al suo fianco, vengono presentati gli stemmi di alcuni cavalieri, nonché un disegno e un dipinto raffigurante, in tutta la sua sontuosità, il collare d’oro, insegna dell’ordine.

Nulla però può dare la percezione del fasto di cui si circondò il duca Vincenzo meglio dei capolavori di oreficeria da lui acquisiti. In mostra sono raccolti tutti quelli superstiti, salvatisi da dispersioni e saccheggi. Tra questi, la monumentale croce donatagli dal papa Clemente VIII, che con esuberanza di forme e singolarità dei materiali unifica scultura, pittura e architettura. O ancora, la grande urna in ebano di Santa Barbara, minuziosamente decorata in oro all’interno e all’esterno, che presenta grandi specchiature e raffinate colonnine tortili all’apparenza di vetro, in realtà di quarzo.

E tra le altre opere, lo splendido pendente donatogli per il battesimo, un trionfo di oro, gemme e smalti, impiegati a profusione ma in calcolato rapporto con un chiaro messaggio di professione di fede. Se infatti, la scena biblica dell’adorazione del vitello d’oro – simbolo della falsa fede – è raffigurata nella piatta faccia posteriore, destinata a restare nascosta, quella che dimostra la fede autentica è riassunta a rilievo nella faccia da esibire, con il monogramma del Redentore scritto in diamanti.

Il duca di Mantova fu un uomo la cui prodigalità rasentava l’incredibile: è stato calcolato che nei suoi venticinque anni di regno sia riuscito a spendere oltre venti milioni di scudi, dieci volte di più di quanto il padre, il duca Guglielmo, gli lasciò in eredità.

Questi soldi, tuttavia, non furono solamente dilapidati. Con essi, arricchì la reggia di bellissimi ambienti, di un teatro, di uno scientifico “giardino dei Semplici”, di opere d’arte con cui incrementò i tesori della “celeste Galeria”; fece scavare l’immensa cripta dell’albertiana basilica di Sant’Andrea e costruire la raffinata palazzina di caccia di Bosco Fontana e l’imponente cittadella di Casale Monferrato. Ebbe al proprio servizio Peter Paul Rubens, che a Mantova diede la prima misura del suo genio; ospitò a corte, liberandolo dal carcere di Ferrara, Torquato Tasso, e con lui, tra i tanti attori cantanti musici e scrittori, anche Claudio Monteverdi, il quale, proprio per Vincenzo, scrisse l’Orfeo, dando inizio alla storia del melodramma.

Accompagna la mostra, una serie di iniziative collaterali: conferenze, visite guidate, concerti, cene a tema contribuiscono a immergere il visitatore nelle atmosfere di corte dei Gonzaga.

Catalogo: Edizioni Publi Paolini Mantova