Sassoferrato, Palazzo della Pretura, 18 luglio – 30 agosto 2009

Giuliano Vangi
Salvi rivisitato con Bruno d’Arcevia
Evocato Futurismo

E’ la conferma di una formula di successo, l’edizione 2009, la numero cinquantanove, della Rassegna Internazionale d’Arte “G.B. Salvi”, che si tiene a Sassoferrato, dal 18 luglio, con inaugurazione alle ore 18, al 30 agosto. Si articola in due parti: la prima con l’opera dello scultore Giuliano Vangi, tra i maggiori artisti contemporanei, – toscano di nascita, ma attivo da tempo nelle Marche – la seconda con quattro mostre concomitanti e intrecciate in un unico discorso che affronta la memoria nella referenza storica e nell’ attualità del vissuto. Di Vangi vengono messe in risalto le peculiarità artistiche e il suo “procedimento ideativo” che dal disegno al bozzetto svolge le varianti di un unico tema affrontato, concludendosi poi con una grande opera di valenza monumentale. “C’era una volta”, una tra le sue recenti creazioni, che occupa tutto un piano del Palazzo della Pretura, sarà esposta insieme ai disegni e ai lavori preparatori su carta. L’opera vuole rappresentare la sintesi-denuncia contro un mondo sempre più culturalmente approssimativo, malvagiamente aggressivo e con poca speranza di resurrezione. L’azione è quella perentoria di una testa tagliata da due boia incappucciati, mentre la scultura policroma è realizzata in fibra di carbonio e altre speciali leghe.

La seconda parte della rassegna si articola in quattro mostre concomitanti e intrecciate dalla memoria storica che si riflette nell’attualità. I due centenari che cadono nel 2009 – del Salvi (quarto centenario della nascita di Giovan Battista Salvi) e i 100 anni del Futurismo – permettono una ricorrenza attiva, in cui si ricostruiscono vicende che connotano la nostra identità culturale. La realtà critico-artistica del Salvi viene riletta e reinterpretata alla luce dell’attualità con alcuni significativi interventi di Bruno d’Arcevia, artista di spiccata sensibilità, protagonista della stagione della citazione in chiave concettuale e figurativa. Altresì, viene ad essere riletto il Futurismo in termini di un’ “evocazione” che si ebbe nel territorio umbro-marchigiano, a Sassoferrato – dove visse e lavorò Alessandro Bruschetti – tra Perugia e Macerata. Per “Evocato Futurismo” in mostra oltre a Bruschetti, anche Leandra Angelucci, Gerardo Dottori, Sante Monachesi, Ivo Pannaggi, Umberto Peschi, Giuseppe Preziosi, Bruno Tano, Wladimiro Tulli.
Per la Sezione giovani, seguono una rassegna delle due Accademie di Belle Arti di Urbino e Macerata e, in collaborazione con FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), una selezione di fotografi. E’ stata invitata a partecipare anche una rappresentanza di studenti dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Sassoferrato si ripropone così come luogo di laboratorio per le nuove generazioni di artisti, un ruolo tradizionale per la rassegna Salvi. Infine una breve sezione è dedicata a otto artisti che disegnano una linea critica definita “Adriatica.”

C’era una volta…..

Non ho mai osato domandare chiarimenti a Giuliano Vangi circa il titolo di questa sua inquietante scultura. Il verbo coniugato al passato può forse rassicurare l’osservatore (a meno che non voglia risuonare provocatoriamente beffardo) anche di fronte alle atrocità che registriamo nel tempo presente. O forse è probabile che la “pietas” dell’artista abbia voluto risparmiarci angosciosi patemi d’animo o rischi di identificazioni con i protagonisti del fatto scultoreo.
Vangi si è fatto interamente carico del racconto, come se l’orrore della violenza narrata sia un fatto che appartenga unicamente al segreto del suo inconscio.
Per noi osservatori talvolta l’opera d’arte risuona terribilmente scomoda poiché ci pone di fronte a situazioni inattese che avremmo volentieri evitato, quasi che il male, la violenza e la bestialità narrate non fossero condizioni che ci accompagnano anche nella realtà di ogni giorno. Ma l’artista nel suo percorso creativo segue un proprio istinto che, in questo caso, ci riporta ad una verità atroce e conosciuta, ci spoglia della nostra pochezza e ci interroga senza pudori, senza perifrasi, senza attendere risposta.
Il tema della sopraffazione violenta dell’uomo sull’uomo ritorna nei temi trattati da Vangi, ma in questa scultura l’azione è bloccata immediatamente dopo l’evento, in una sorta di icona registrata oltre il fatto, dove la brutalità, l’energia e la forza necessarie all’azione sono annientate e sospese dentro un’immobilità irreale che narra del nulla subentrato alla furia del gesto.
Le figure sono fisse in un fermo-scena descritto senza possibili fraintendimenti. L’osservatore sconvolto è obbligato a muoversi per leggere la rappresentazione, per cogliere l’assurdità descritta o, forse, per ricercare impossibili attenuanti, spiegazioni o vie di fuga dal terrore di essere, magari anche solo per qualche istante, testimone reale. L’orrore della testa decapitata, gli occhi spalancati nel vuoto, la bocca aperta e la recisione del collo sono resi con puntiglioso realismo attraverso una rappresentazione cromatica fatta di tonalità smunte, proprie della morte, mentre le figure del boia e del suo complice, apparentemente vive, sono plumbee e monocrome dentro sagome incappucciate che si trasformano in avvallamenti astratti di un inquietante paesaggio mentale.
Il contrasto fra la testa sospesa a colori e le figure-paesaggio in grigio ribalta le ragioni delle nostre percezioni ed accresce l’ansia e gli interrogativi. Questo evento scultoreo di Giuliano Vangi si presenta come un’opera di grande intensità per il tema affrontato ma anche di grande valore plastico nell’invenzione del contrasto fra la composizione astratta delle figure-paesaggio che modellano la gola dello spazio centrale e la figura iperrealista della testa decapitata.
Ma la centralità di questa composizione scultorea rinvia costantemente l’osservatore alla denuncia dell’artista: impossibile una fruizione staccata dal tema che ritorna perentoria al di là dell’impianto scultoreo, della costruzione plastica, della stessa straordinaria perizia tecnica.
Vangi è penetrato nel profondo dell’animo umano, con questa rappresentazione che ci pone di fronte ad atrocità che avremmo preferito ignorare. Le nostre coscienze erano assopite; ora sappiamo che dobbiamo vegliare affinché la scena scolpita resti solo un’immagine atroce, lontana dalla nostra realtà….lontana soprattutto da una nostra complicità.

Mario Botta
Maggio 2009