Musica e arte, questa è la cifra di “Cambi di stagione” il Festival lungo un anno che ha nei giorni di cambio di stagione, i suoi quattro apici. Riunendo a Monforte d’Alba musicisti da mezzo mondo per suonare, ma soprattutto per vivere questa esperienza, insieme.

A proporre l’affascinante formula è Caterina Bottari Lattes che a Monforte d’Alba ha voluto dare vita ad una Fondazione, la Bottari Lattes appunto, dedicata alla promozione delle arti, chiamando Nicola Campogrande a dirigere le stagioni musicali e affidando ad un gruppo di intellettuali amici la scelta delle mostre.

Quello che Caterina Bottari Lattes ha voluto creare a Monforte d’Alba è un cenacolo culturale aperto al mondo, una proposta che ben si sposa con la bellezza dei luoghi, le Langhe piemontesi. Cenacolo che sta già diventando parte di una costellazione internazionale di realtà private consimili, tant’è che già da quest’anno il Festival di Monforte d’Alba è partner ufficiale di uno dei più sofisticati, forse il più sofisticato, Festival musicale estivo inglese, il Charleston Manor Festival. In un connubio che va al di là della sola musica, tanto che anche la mostra che la Bottari Lattes propone nella stagione primaverile, in estate sarà riallestita nel fantastico “deposito delle carrozze” della dimora del Sussex inglese.

La mostra di avvio del progetto sarà dedicata, e non poteva che essere così, a Mario Lattes, l’uomo che Ernesto Ferrero, che la cura, definisce come il “misterioso editore-scrittore-pittore” che fu “nemico del presenzialismo e, per scelta, pessimo promotore di se stesso, quando sgomitare e mettersi troppo avanti era ancora una grave caduta di stile”.
“Scrittura e gesto figurativo sono, scrive ancora Ferrero – strettamente connessi in Lattes, due facce dello stessa medaglia, e coinvolgono anche l’editore”.
“Lattes pittore non corre dietro a nessuno, ma sin dagli anni ’50 avvia sulla pagina e sulla tela un’autoanalisi destinata a non trovare requie…

In questo mondo fantasmatico, le uniche entità a possedere un’identità definita, uno status che le preserva e giustifica, sono le marionette. Che non sono le marionette di Kleist, agili e leggere come saltimbanchi o libellule, libere dalle schiavitù della gravità terrestre, ma degli impiccati di cui molte cose ci vengono raccontate, come la famosa Marionetta Malvagia del 1976, cattiva perché ferita, offesa (dice memorabilmente la Creatura del dottor Frankenstein: “Sono crudele perché sono infelice”). Hanno la rigidità delle funzioni narrative della fiaba, che restano immodificabili, ma anche livree lussuose, quasi sofisticate, sebbene appena logore. Sono manifestamente dei nobili decaduti, dei dignitari di corte che già avevano svolto importanti funzioni al servizio del loro signore, e ora accettano stoicamente la loro uscita di scena e insieme a quella la decadenza del loro padrone. In un mondo che si disfa e si agglutina e si perde in nebbie malate, le marionette rivendicano la dignità della loro solitudine lanciando la sfida della loro inattingibile alterità. Insieme a loro, chi si salva sono gli animali (il gatto sulla sedia, placidamente addormentato, sazio di colore) e i bambini, che si sottraggono agli enigmatici disfacimenti degli interni domestici correndo per giardini su cui imprimono l’allegria scomposta dei loro movimenti. I bambini hanno ancora un volto, anche quello di L’enfant et le sortilège che, muovendo verso l’età adulta, sta cominciando a perderlo.

Forse quello che Lattes pratica è una sorta di disseppellimento archeologico, in cui ogni strato rimanda a uno strato sottostante. Frugando in quei detriti, Lattes sembra provare un oscuro sollievo. Partito per attuare un’autoanalisi ininterrotta, si guarda bene dal darci notizie dirette di sé. Troppo facile. Tocca anche a noi misurarci con le rilevazioni della disgregazione della realtà che alla fine possono semplicemente testimoniare la disgregazione del soggetto che osserva. In L’amore è niente persino l’ombra abbandona il protagonista, e quella sparizione gli certifica la propria non-esistenza.

I quadri selezionati per questa mostra vogliono proprio dar conto dei vari momenti progressivi di questa lotta contro con l’ombra e dentro l’ombra, di questo periplo nella desolazione di un teatrino in cui le figure umane sono sinonimo di sofferenza e le assenze pesano più delle presenze, di questi drammi di un io alle prese con un impossibile noi. Drammi per interposta marionetta. Gli stessi autoritratti – e sono molti- non ci forniscono informazioni sull’effigiato, il cui volto ci viene negato. Di lui possiamo cogliere solo un occhio, spaventato e come interrogante attraverso bendaggi da mummia, in una tela del 1983. Solo nell’autoritratto con manichini del 1990 quel volto si svela per intero, ed è il volto di chi ha imparato a sopravvivere a ogni possibile spavento o disgusto. Chissà che, avvertendo imminente il congedo, Lattes abbia voluto comunicarci (ma in primo luogo dire a se stesso) quell’accettazione di sé che per tanto tempo aveva puntigliosamente negato, chiamando a testimoni le uniche entità di cui si poteva fidare: le marionette, con la loro solitudine favolosa e fraterna”.
“MARIO LATTES o la solitudine delle marionette”, Monforte d’Alba, Fondazione Bottari Lattes (via Marconi 16), dal 20 marzo al 30 giugno 2010.Mostra promossa dalla Fondazione Bottari Lattes, a cura di Ernesto Ferrero. Orario: lunedì – giovedì, dalle 14.30 alle 17.00 e venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18.0.

Info: Fondazione Bottari Lattes www.fondazionebottarilattes.it tel. 3338685149