Firenze – 13, 14, 15 giugno 2012

Carrère, Erpenbeck, Galgut, Stefànsson e Vila-Matas nella cinquina del Premio von Rezzori. Bruno Berni vince il Premio per la traduzione. Lectio di Michael Ondaatje – Virginia Woolf inedita. La noche española con Marisa Paredes, Fabrizio Gifuni e Enrique Vila-Matas all’Odeon

Ernesto Ferrero, presidente della giuria del Premio Gregor von Rezzori – Città di Firenze per la migliore opera di narrativa straniera tradotta in Italia – sesta edizione – annuncia gli autori selezionati: Emmanuel Carrère Vite che non sono la mia (Einaudi), Jenny Erpenbeck Di passaggio (Zandonai), Damon Galgut In una stanza sconosciuta (e/o) Jón Kalman Stefánsson Paradiso e inferno (Iperborea), Enrique Vila-Matas Esploratori dell’abisso (Feltrinelli).
Andrea Landolfi, presidente della giuria del premio per la miglior traduzione in italiano di un’opera di narrativa straniera annuncia il vincitore: Bruno Berni per I figli dei guardiani di elefanti di Peter Høeg. La cerimonia di premiazione, dove sarà annunciato il vincitore della narrativa, avrà luogo venerdì 15 giugno alle ore 18.00, nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze.

Il Premio è uno degli eventi del Festival degli scrittori: appuntamento dedicato agli autori internazionali, nel solco di una tradizione che ha sempre visto la città come luogo amato e ambito dagli intellettuali stranieri. Il Festival, che intende promuovere i talenti più originali della letteratura internazionale, si terrà a Firenze dal 13 al 15 giugno 2012. Nasce dall’esperienza, maturata negli anni, della Fondazione Santa Maddalena e del Premio von Rezzori-Città di Firenze, entrambi presieduti da Beatrice Monti della Corte, moglie dello scrittore mitteleuropeo Gregor von Rezzori che proprio a Santa Maddalena, sulle colline del Valdarno, ha vissuto e lavorato per più di trent’anni.

Nei giorni del Festival si terranno reading, incontri, lectures di attori e scrittori in vari luoghi della città. Si segnala a Palazzo Medici Riccardi la lectio magistralis di un grande scrittore internazionale: dopo John Banville, Carlos Fuentes, Michael Cunningham e Zadie Smith, quest’anno l’ospite del Festival sarà Michael Ondaatje, autore del celebre romanzo Il paziente inglese, vincitore del Booker Prize 1993. Inoltre sul palco dell’Odeon si terrà La noche española, dove la musa di Almodóvar, Marisa Paredes con Fabrizio Gifuni e lo scrittore Enrique Vila-Matas leggeranno l’Italia nei testi dei grandi autori spagnoli da Goya a Javier Marías, con la regia di Volker Schlöndorff. Ad una Virginia Woolf inedita, molto meno ideologica di quella che abbiamo imparato a conoscere, è dedicata un’altra tappa del Festival, a partire da un libro curato da Roberto Bertinetti, in uscita da Bur Rizzoli, che sarà presentato a Firenze in anteprima. Molti gli scrittori italiani che converseranno con gli autori stranieri, tra loro Andrea Bajani, Elena Stancanelli, Giorgio Van Straten, Stefania Scateni, Chiara Valerio, Gianluigi Ricuperati. In questo panorama i cinque scrittori selezionati dal Premio von Rezzori, insieme ad altri ospiti, tra cui i tre scrittori che compongono la giuria internazionale – Edmund White, Alberto Manguel e Bjorn Larsson – animeranno la vita culturale della città facendo incontri col pubblico, oltre che in luoghi istituzionali come Palazzo Medici Riccardi e Palazzo Vecchio, nei teatri e nei luoghi nuovi della città, dal Cinema Teatro Odeon all’ex-carcere delle Murate. Il Festival si avvale della consulenza artistica di Alba Donati e Javier Montes.

Il Festival è sostenuto dal Comune di Firenze, dalla Provincia di Firenze, dall’Ente Cassa di Risparmio e si avvale della collaborazione della Regione Toscana, della Fondazione Sistema Toscana e di Repubblica Firenze come media partner.

La giuria
Premio per la migliore opera di narrativa straniera Beatrice Monti della Corte (presidente del Premio), Ernesto Ferrero (presidente della giuria), Björn Larsson, Alberto Manguel, Edmund White.
Premio per la migliore opera di traduzione italiana Andrea Landolfi (presidente della giuria), Alberto Castelvecchi, Claudia Zonghetti.

Di seguito i link per vedere i due documentari sulla Fondazione e sul Premio raccontati da Isabella Rossellini con Ralph Fiennes, Michael Cunningham, Bernardo Bertolucci, Colm Tóibín, Zadie Smith, Gary Shteyngart e Beatrice Monti della Corte.

Part 1: http://www.youtube.com/watch?v=u3iSJpc9qE0
Part 2: http://www.youtube.com/watch?v=QQNdPMgaZUE&feature=related

AUTORI SELEZIONATI

Emmanuel Carrère è nato a Parigi nel 1957. Sono usciti presso Einaudi: La settimana bianca (1996 e 2004), L’avversario (2000), Facciamo un gioco (2004), La vita come un romanzo russo (2010). Vite che non sono la mia ha conquistato classifiche e vinto numerosi premi, tra cui il Globe de Cristal, prix Crésus e il Prix des lecteurs de l’ Express. Carrère è anche sceneggiatore e regista, e dalle vicende di questo libro ha realizzato un film, Ritorno a Kotel´ni.

Vite che non sono la mia (Einaudi, 2011) – Traduzione di Maurizia Balmelli
“A pochi mesi di distanza, sono stato testimone dei due eventi che più di ogni altro mi spaventano: la morte di un bambino per i suoi genitori, e quella di una giovane donna per i suoi figli e suo marito. Poi qualcuno mi ha detto: tu sei uno scrittore, perché non scrivi la nostra storia? Era come un ordine, un impegno, e io l’ho accettato. È così che mi sono ritrovato a raccontare l’amicizia tra un uomo e una donna, entrambi sopravvissuti a un cancro, entrambi zoppi ed entrambi magistrati che si occupano di cause di sovraindebitamento. È un libro sulla vita e sulla morte, sulla povertà e sulla giustizia, sulla malattia e soprattutto sull’amore. È un libro in cui tutto è vero”. (Emmanuel Carrère)
La storia è, come spesso lo sono le storie vere, semplice e terribile. Durante le feste di Natale del 2004, Carrère è in vacanza con la famiglia in Sri Lanka. Sono i giorni in cui lo tsunami devasta le coste del Pacifico: tra le migliaia di morti c’è anche Juliette, la figlia di quattro anni di una coppia di francesi a cui Carrère – accidentale testimone dello strazio di una famiglia – si lega. Qualche mese dopo, al ritorno in Francia, un altro lutto: la sorella della compagna dello scrittore – che casualmente si chiama anche lei Juliette – ha avuto una ricaduta del cancro che già da ragazza l’aveva colpita rendendola zoppa. Ha trentatré anni, un marito che adora, tre figlie, un lavoro come giudice schierato dalla parte dei più deboli, e sta morendo. Dall’incontro con Étienne, amico e collega di Juliette, anche lui passato attraverso l’esperienza della malattia, Carrère capisce che non può nascondersi per sempre: deve in qualche modo farsi carico di queste esistenze in un corpo a corpo con quell’informe che è la vita. Raccontare ciò che ci fa più paura. Ritrovare nelle vite degli altri, in ciò che ci lega, la propria. È quello che fa un testimone. Nascono così questo libro e i ritratti dei personaggi che lo abitano.

Jenny Erpenbeck è nata a Berlino Est nel 1967, è erede di una dinastia di scrittori della DDR e ha una formazione accademica musicale e teatrale. È stata allieva, tra gli altri, di Ruth Berghaus e Heiner Müller. Il suo libro d’esordio, Geschichte vom alten Kind (Racconto della bambina vecchia, 1999), ne ha rivelato il precoce e originale talento, mentre Di passaggio, tradotto in una dozzina di lingue e straordinario successo di critica e pubblico, l’ha consacrata come uno degli astri nascenti della letteratura tedesca.

Di passaggio (Zandonai, 2011) – Traduzione di Ada Vigliani
Una tenuta nelle campagne del Brandeburgo viene suddivisa tra le quattro figlie di un vecchio possidente terriero. La parte più modesta, un bosco su cui sorge una piccola casa con un grande giardino e l’accesso diretto al lago, è affidata all’ultimogenita, Klara, che proprio nelle acque di quel lago decide di togliersi la vita. Tra cessioni ed espropri, l’abitazione passa di mano in mano, testimone silenziosa di violenze e passioni, urla e sospiri dei suoi inquilini, tutti inesorabilmente alla ricerca dello Heim, di un luogo in cui sentirsi “a casa”. Undici le vite, undici i destini che si danno il cambio, incastrandosi come tessere di un raffinatissimo mosaico naturale, su cui però la storia lascia le sue indelebili impronte, dalla tragedia della guerra all’orrore dei campi di concentramento, dalla sofferenza dei vinti all’arroganza dei “liberatori”. A scandire il ritmo di questo racconto fuori dal tempo – ma dal tempo profondamente segnato – è la presenza costante della dodicesima tessera, il giardiniere, l’unico a credere soltanto nella natura e nell’alternarsi delle stagioni, il solo a prendersi cura della casa, con immutata devozione, fino alla fine.

Damon Galgut è nato a Pretoria, in Sudafrica, nel 1963. Uno dei suoi romanzi precedenti, The Good Doctor, è stato finalista al Man Booker Prize e al Commonwealth Writer’s Prize. Vive a Città a del Capo.

In una stanza sconosciuta (e/o, 2011)- Traduzione di Claudia Valeria Letizia
Un giovane viaggiatore solitario attraversa l’Africa occidentale, la Svizzera, la Grecia e l’India. Senza cognizione precisa di cosa stia cercando e riluttante all’idea di tornare a casa, segue i sentieri dei viaggiatori che incontra sul suo cammino. Trattato da amante, accompagnatore, guardiano, ogni nuovo incontro – con uno straniero enigmatico, un gruppo di indolenti vagabondi, una donna sul baratro – lo porta a confrontarsi sempre più a fondo con la sua identità. Attraversando lande pacifiche e frenetici incroci di confini, ogni nuova direzione è permeata di profondi lutti mentre il protagonista viene sospinto verso una tragica conclusione. In una stanza sconosciuta è un romanzo brillante e di grande stile, pieno di rabbia e compassione, di un desiderio nostalgico e combattuto, e di un’intensa e bellissima evocazione della vita on the road. Pubblicato inizialmente su The Paris Review in tre parti, una delle quali selezionata per i National Magazine Award e un’altra per l’O. Henry Prize, In una stanza sconosciuta è stato finalista al Man Booker Prize nel 2010.

Jón Kalman Stefánsson, nato a Reykjavík nel 1963, ex professore e bibliotecario, è passato alla narrativa dopo tre raccolte poetiche. I suoi romanzi sono stati nominati più volte al Premio del Consiglio Nordico e pubblicati dalle più importanti case editrici europee. Luce d’estate ed è subito notte, di prossima pubblicazione da Iperborea, ha ricevuto nel 2005 il Premio Islandese per la Letteratura. Paradiso e inferno è stato definito il miglior romanzo islandese degli ultimi anni.

Paradiso e inferno (Iperborea, 2011) – Traduzione di Silvia Cosimini
È l’Islanda, dove le forze primordiali della natura rendono i destini immutabili nel tempo, il luogo di questo racconto di gente di mare persa nell’asprezza dei giorni e delle notti, di un Ragazzo segnato dalla solitudine, e del suo grande amico Bárður, pescatore di merluzzo per necessità, ma in realtà poeta, sognatore, innamorato dei libri e delle parole, le uniche in grado di “consolarci e asciugare le nostre lacrime, sciogliere il ghiaccio che ci stringe il cuore”. Parole che possono anche essere fatali: come per Bárður, rapito da quel verso del Paradiso perduto di Milton che ha voluto rileggere prima di imbarcarsi, al punto da dimenticare a terra la cerata, correndo il rischio di trovare una morte invisibile e silenziosa come quella dei pesci. Storia di tragedia e di ritorno alla vita all’inseguimento di un destino diverso, Paradiso e inferno è un’avventura iniziatica, un viaggio metafisico, la ricerca di un senso e di uno scopo alto nella vita, ma soprattutto un inno al potere salvifico delle parole. Con una scrittura magnetica che decanta l’essenziale, Jón Kalman Stefánsson racconta con infinita tenerezza un’amicizia, la storia di due ragazzi che si innalza in una sfera magica sopra il frastuono del mondo, per ricordare che la vita umana è sempre una gara contro il buio dell’universo, in cui “non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, ne abbiamo bisogno per vivere”.

Enrique Vila-Matas è autore di una vasta, provocatoria e personalissima opera narrativa, insieme intimista e sperimentale, elegante e sfrontata, che include romanzi, racconti, articoli e saggi. Tradotto in ventinove lingue, ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra i quali, in Italia, il Premio Internazionale Ennio Flaiano (2005), il Premio Elsa Morante (2007), il Premio Mondello (2009) e il Premio Bottari Lattes Grinzane, sezione La Quercia (2011). Cavaliere della Legion d’Onore della Repubblica francese, appartiene anche all’ordine dei Cavalieri del Finnegans, sul cui scudo recita il lemma estratto dall’ultima frase del sesto capitolo dell’Ulisse di Joyce: “Grazie. Quante arie ci diamo stamattina!”.
Con Feltrinelli ha pubblicato Bartleby e compagnia (2002), Il mal di Montano (2005), Parigi non finisce mai (2006), Dottor Pasavento (2008), Storia abbreviata della letteratura portatile (2010), Dublinesque (2010), Un’aria da Dylan (2012).

Esploratori dell’abisso (Feltrinelli, 2011) – Traduzione di Pino Cacucci
Esploratori dell’abisso segna il ritorno di Enrique Vila-Matas al genere che ha maggiormente contribuito al suo successo: il racconto. In queste diciannove storie Vila-Matas esplora e analizza l’abisso sul quale si sporgono buffi personaggi, sempre ai limiti della condizione umana. Personaggi che si trovano in un momento della loro vita in cui sono costretti a esplorare ciò che c’è oltre, a buttare uno sguardo al di là dei limiti umani, morali, sociali o fisici. Limiti che possono essere ciò che fisicamente un uomo non può fare o raggiungere, come il protagonista della spassosa novella fantascientifica Ho amato Bo costretto a vagare per sempre nello spazio e nell’universo infinito, ma sono anche la sfida quotidiana del celebre equilibrista Maurice Forest-Meyer che compare in più racconti, o l’andare oltre alla frontiera che separa la realtà dalla finzione, come in Perché lei non lo ha chiesto, e scrivere un racconto commissionato da Sophie Calle. Con una scrittura senza troppi fronzoli ma capace di impennate liriche e frasi lapidarie, che si avvolge su sé stessa e trasforma i dialoghi in scambi serrati di pungenti aforismi, dove il nonsense si insinua tra le crepe di conversazioni apparentemente banali creando un effetto comico laddove sembrava esserci solo la disperazione, Vila-Matas esplora, con divertita sagacia, le insondabili profondità del meta-abisso.
“Voglio continuare a essere, come ha detto Kafka, un esploratore che avanza verso il vuoto, e continuare così a dare un senso alle mie parole.” (Enrique Vila-Matas)

PREMIO GREGOR VON REZZORI
PER LA MIGLIOR TRADUZIONE IN ITALIANO DI UN’OPERA DI NARRATIVA STRANIERA

Bruno Berni – per I figli dei guardiani di elefanti di Peter Høeg
Bruno Berni è nato a Roma nel 1959, ha studiato letterature nordiche e letteratura tedesca e ha iniziato a tradurre nel 1986, pubblicando numerosi titoli, fra romanzi, raccolte di racconti e di poesie, prevalentemente di autori danesi con rare escursioni nelle altre lingue scandinave e nel tedesco. Oltre a tradurre ha sempre scritto di letterature nordiche e per qualche anno si è dedicato anche alla didattica, insegnando letteratura danese all’Università di Urbino e lingua danese alla Luiss di Roma. Da quasi venti anni dirige la biblioteca dell’Istituto Italiano di Studi Germanici di Roma. Nel 2004 ha ricevuto a Odense il premio Hans Christian Andersen per la sua traduzione completa delle fiabe dello scrittore danese. Nel 2009 è stato insignito del Premio Danese per la Traduzione. È socio ordinario AITI.