Mentre progettavo queste case, pensavo soltanto alla mia Fiesole, ai contadini di quel luogo. Studiavo un modulo, una misura umana che nessuno prima aveva usato.” Così scriveva Pier Niccolò Berardi (1904 -1989), pittore e architetto, esponente del movimento del razionalismo italiano, autore del Museo della Richard Ginori a Doccia e con il ‘Gruppo Toscano’, della Stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a Firenze, che, nonostante la sua attività si sia estesa in Italia e all’estero, ai suoi luoghi natali è rimasto legato tutta la vita. E a trent’anni dalla sua scomparsa, Fiesole lo ricorda con una mostra, a cura dell’architetto Marco Romoli, suo allievo e collaboratore, voluta dalla figlia, Antonella Berardi, che si inaugura venerdì 31 maggio 2019 presso il Basolato di Fiesole (aperta fino al 14 luglio 2019), con il patrocinio della Regione Toscana, del Comune di Fiesole e della Fondazione Giovanni Michelucci.

 

UN POETA DELL’ARCHITETTURA. Pier Niccolò Berardi e Fiesole evoca alcuni momenti della storia artistica di Berardi, intrecciati con le vicende dell’architettura del secolo scorso, lungo un arco di tempo che dagli anni ’30 arriva alla fine degli anni ’80. La mostra analizza le molteplici sfaccettature che hanno caratterizzato la sua opera, attraverso dipinti, progetti e fotografie. “L’architettura è un’arte che si ricarica con la poesia” dichiarava Berardi e questa esposizione, oltre al suo legame mai interrotto con Fiesole, vuole porre l’accento proprio sul suo operare poetico, ispirato a una ricerca costante dell’armonia. Il suo laboratorio, a pochi passi dalla villa dove abitava, manteneva un piano terra dedicato al mestiere di architetto mentre al piano superiore c’era il suo atelier di pittura: progettare, dipingere e fotografare sono elementi che si compenetrano costantemente all’interno del suo lavoro.

Pier Niccolò Berardi ha trasformato e tradotto in modo del tutto personale le idee dell’architettura del Novecento, a partire dal mito della modernità, attraverso il razionalismo, sino ai valori dell’ambiente e alla costruzione sostenibile del paesaggio. Dopo aver frequentato lo studio dello scultore Carlo Rivalta, in età giovanile, prosegue la sua formazione presso la Scuola di Architettura di Roma, negli anni in cui la dittatura mussoliniana celebrava i suoi fasti con grandi opere architettoniche e urbanistiche, un’architettura che il regime definì “razionale”. Successivamente, si unì al ‘Gruppo Toscano’, diretto da Giovanni Michelucci, di cui facevano parte, tra gli altri, anche Nello Baroni e Italo Gamberini, e con il quale vinse il concorso per la Stazione ferroviaria di Santa Maria Novella.  Insieme a Tullio Rossi, dello Studio San Giorgio, ha realizzato il progetto di ricostruzione degli edifici intorno a Ponte Vecchio, distrutti dalla guerra.

A partire dagli anni Trenta, si dedicò in particolare allo studio della casa rurale e dell’architettura contadina. Con la sua Rolleiflex realizzò un’accurata documentazione fotografica delle case coloniche in Toscana, su incarico di Giuseppe Pagano, per la mostra milanese alla Triennale del 1936. Molti sono i complessi residenziali e le case private realizzate in Italia e all’estero, frutto di questa appassionata ricerca dialettica tra la dimora dell’uomo e il paesaggio circostante. Ricordiamo: a Maratea, un centro turistico con l’Hotel Santavenere, situato su una collina boscosa di fronte al mare del Golfo di Policastro; a Punta Ala, la costruzione del nuovo Hotel Alleluja, situato nel grande parco a breve distanza dal mare e a Fiesole, l’ampliamento dell’hotel Villa San Michele.

Molte le ville, veri e propri capolavori, realizzate per industriali, imprenditori e intellettuali, con i quali ha avuto anche un rapporto di amicizia personale, come Guido Settepassi, Claudio Pontello, Giovanni e Andrea Nasi, Raimondo Visconti di Modrone, Indro Montanelli, il grande musicista Riccardo Muti. Ha lavorato inoltre per le famiglie Marchi, Folonari, Silva Honorati, Zingone-Dini.

Degli inizi degli anni Sessanta è il museo delle porcellane della Richard Ginori a Doccia, che nasce dall’esperienza dell’architettura razionale, sintesi degli elementi presenti nella sua ricerca, affine allo spirito lieve e giocoso dell’opera dell’amico Giò Ponti e dei suoi oggetti qui esposti.

La mostra, oltre a documentare questo suo percorso, si sofferma sul Berardi pittore con una sezione dedicata ai suoi dipinti. La sua attività pittorica si sviluppa e si intensifica dagli anni Cinquanta, parallelamente a quella di progettazione e di realizzazione architettonica. A bordo di una curiosa Fiat 600 Multipla, adattata a camper, con tanto di pennelli, colori e cavalletto, vagava per la campagna toscana a dipingere en plein air. Paesaggi, marine, nature morte, sono questi i suoi temi che respirano di quel milieu culturale che si raccoglieva intorno a scrittori come Piero Bigongiari, Alessandro Bonsanti, Arturo Loria, Alessandro Parronchi, Mario Tobino, Giorgio Bassani (autore, tra l’altro, di uno saggio critico sulla pittura di Berardi) e a pittori come Ottone Rosai, Giovanni Colacicchi, Mario Romoli, Primo Conti, Guido Capocchini.

Composizione pittorica e creazione architettonica sono necessarie l’una all’altra nel rapporto con il paesaggio, una caratteristica costante del registro stilistico di Per Niccolò Berardi.

Nell’ambito dell’esposizione, lunedì 17 giugno, alle ore 17, presso la sala del Basolato si terrà un incontro sulla figura e l’opera di Pier Niccolò Berardi con Cecilie Hollberg, Direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze, e Giorgio Bonsanti, Presidente della Commissione interministeriale MIBAC – MIUR sull’insegnamento del restauro e Segretario generale dell’Accademia delle Arti del Disegno.

UN POETA DELL’ARCHITETTURA.

Pier Niccolò Berardi e Fiesole

Basolato di Fiesole, Piazza Mino 24, Fiesole

1 giugno – 14 luglio 2019

a cura di Marco Romoli

allestimento e progettazione: Lorenzo Mennonna e Daniela Murphy Corella

ingresso libero

orari: martedì – venerdì 11,00 -13,00 / 16.00 – 20.00 | sabato e domenica11,00 – 20,00, lunedì chiuso

info: 055 599651 | [email protected]

A Fiesole Berardi è nato e vissuto tutta la vita. Ha abitato, pur con alterne vicende connesse alla guerra, nella stessa casa e sulla piccola tenuta agricola a Montececeri, luogo che ha amato intensamente e curato con passione assieme alle figlie cui ha trasmesso il medesimo amore. A Fiesole ha operato a lungo e a varie riprese, anche negli ultimi anni, nella doppia e quasi inscindibile attività di architetto e di pittore. Costruzioni e immagini pittoriche si confondono nel loro ambiente tutto fiesolano, inesorabilmente. Il paesaggio rurale, o se vogliamo essere più precisi, il territorio agricolo, caro a tutta la generazione di mezzo, quella per intenderci che opera tra le due guerre, è sempre stato toscano, e talvolta anche più particolarmente fiesolano.

E’ questo legame il centro e la finalità della Mostra odierna. Ma intendiamoci, non vorrei ridurne o peggio banalizzare la figura del celebrato dentro un contesto provinciale. Il mondo di B. si diparte da Fiesole e poi si estende altrove in tutta Italia e fuori;  nell’Italia degli anni ’30 verso l’architettura detta “razionale”, principalmente con la stazione di Santa Maria Novella (di cui si è detto altrove), e poi nel dopoguerra nell’opera di ricostruzione, e il Museo di Doccia. E poi ancora e soprattutto nelle case “borghesi” realizzate da B. sul modello d’ispirazione della casa rurale toscana. Quelle case sono marcate dal contesto che l’architetto trae dalla sua lunga esperienza di osservatore e di testimone dell’architettura spontanea, osservata e fotografata della campagna toscana. Non c’è casa, costruita ex novo o restaurata, che non abbia quel ricordo; è quell’impronta vincolante che B. intende conferire ai suoi progetti, anche fuori della Toscana, per esempio in Piemonte, per esempio nel sud d’Italia. Ma poi il punto di riferimento e di ritorno fu sempre Fiesole e la sua campagna, origine di gran lunga principale.

Chi aveva B. come compagni di percorso e d’ispirazione, come amici e sodali in quest’esperienza di architettura e pittorica? Vorrei citare ora gli amici, i conoscenti, i committenti, i collaboratori che principalmente a Fiesole si incontrano, traggono le reciproche fonti d’idee e di dialogo. Non soltanto architetti e pittori, di cui si dirà tra poco. E se è vero che il mestiere di architetto e di pittore in qualche modo si avvicinano e talvolta si compenetrano, qui in B. trovano una delle fisionomie più riuscite. Lo vediamo, a partire dagli anni 50, a bordo di una curiosa Fiat 600 Multipla adattata a piccolo camper, dentro la quale si poteva montare un cavalletto e dipingere en plein air stando al coperto. Lo vediamo vagare per la campagna toscana assieme ad Alberto Caligiani, o a Guido Capocchini, o magari a Bruno Innocenti, alla ricerca di un punto d’ispirazione, di un’inquadratura che potesse “andar bene”. In quell’ aggirarsi B. porta con sé l’apprentissage culturale e soprattutto artistica, nata negli anni lontani della giovinezza quando ‘vagava’ ancora per la campagna con la sua Rolleiflex a caccia di case coloniche nelle quali cercava l’emersione visiva di quanto già aveva in mente. Quelle inquadrature sono poi diventate case, non più rurali ma dimore raffinate dotate sì di tutti i confort necessari, o indispensabili, a chi ci doveva abitare, ma che avevano il nesso costante e ineludibile alla sua fonte primaria: e che si può benissimo sintetizzare nella ricerca dell’armonia col paesaggio, con la natura, o meglio ancora col territorio. E’ raro vedere nella sua opera architettonica immobili o palazzi di città. Le sue case avevano  – sempre – la campagna come luogo necessario nel quale dovevano essere inserite e quasi compenetrarsi.

Ebbene, chi meglio di un pittore poteva intrepretare e poi essere spettatore di quel rapporto? Ed ecco i nomi di Giovanni Colacicchi, di Mario Romoli, di Ottone Rosai, artisti che col paesaggio toscano ebbero un legame inevitabile. Ma non è solo a questi pittori che fanno della figurazione il loro campo d’esplorazione che bisogna fermarsi. Pensiamo ad esempio alla narrativa, agli amici vicini a B. Pensiamo alle pagine di Alessandro Bonsanti, o di Giorgio Bassani, o di Arturo Loria, o di Piero Bigongiari, o di Mario Tobino. Vi troviamo l’ambiente e la descrizione dell’ambiente fatalmente toscani. Ci sono in molte di quelle pagine la case coloniche, il pagliaio, la stalla, il carro coi buoi che abbiamo visto di scorcio nelle sue fotografie ingiallite degli anni ’30. A quei nomi e a quelle personalità che hanno fatto gran parte della storia letteraria italiana B. è stato vicino ed ai quali ha tratto consapevolezze di vita artistica. Perché alla fine tutta la letteratura toscana ma poi italiana tra la fine dell’Ottocento, e in seguito tra le due guerre, è impregnata – per così dire – di campagna toscana. Si pensi a Pratolini, a Palazzeschi, a Bilenchi. E poi anche alla lirica: che dice quella di Luzi, di Betocchi, e che dicono le Occasioni di Montale? E’ inutile fare altri esempi.