A Recoaro Terme, nella provincia di Vicenza, si ripropone nell´ultima domenica di febbraio (solo negli anni pari) la ‘Chiamata di Marzo’: una grande, originale e festosa manifestazione che vede sfilare per le vie della cittadina termale centinaia e centinaia di figuranti in costume, che in gruppi, a piedi o sui carri allestiti con ogni genere di scenografie, mettono in mostra una straordinaria serie di oggetti, attrezzi e testimonianze della civiltà e della tradizione “cimbra”. Le storie, i mestieri, i prodotti ed il folclore del passato recoarese rivivono in una fantasmagorica girandola di scorci e di dettagli recuperati dai secoli. Un gioioso momento di riscoperta del passato, unico nel suo genere per originalità e suggestione.

E´ la circostanza più rinomata, dopo le acque minerali e il termalismo, che identifica la Conca Recoarese, detta di Smeraldo, anche per il suo fortissimo legame con la tradizione custodita e mantenuta viva da ciascuna delle oltre cento contrade che circondano Recoaro Terme. La consuetudine riserva a questa manifestazione l´ultima domenica di febbraio, com´è sempre avvenuto, anche in tempi che si perdono nel passato. La ‘Chiamata di Marzo’ è una delle più antiche e caratteristiche manifestazioni della tradizione e del folclore di Recoaro Terme, la cui origine si perde nella notte dei tempi. Da varie attestazioni si sa che la festa era ancora celebrata con grande entusiasmo e partecipazione nell’Ottocento e fino agli anni ´20 del secolo scorso, per poi via via declinare a partire dal periodo fra le due guerre mondiali. A partire dal 1979 l´Amministrazione Comunale e un apposito Comitato, coadiuvati dall´Azienda Autonoma di Cura e Soggiorno, dalla Cooperativa Culturale e dalla Biblioteca Comunale, promossero il rilancio della manifestazione allo scopo di far conoscere e rivivere la sua natura folcloristica e il suo significato storico-culturale, organizzando la partecipazione di gruppi in costume e carri allegorici allestiti nel rispetto dell´antica tradizione locale.

Una trentina di carri e gruppi, centinaia di persone in sfilata in una cornice di pubblico numerosissimo e festante: questo lo straordinario successo della prima edizione rievocativa. La manifestazione si è poi ripetuta con ancora maggiore risonanza e ulteriori adesioni (oltre 50 carri e più di 900 persone in sfilata) a scadenza biennale negli anni successivi. La ‘Chiamata di Marzo’ insomma è tornata a vivere nell´antico e colorito sfondo di festa che tanti anni fa la caratterizzava. Allora essa era la manifestazione spontanea della gioia che invadeva gli animi della gente di montagna, costretta a restare chiusa nella case e nelle stalle per quattro o cinque mesi, quando il primo tepore primaverile scioglieva il ghiaccio che d´inverno interrompeva i rapporti e le normali comunicazioni sia fra le contrade che con il centro del paese. Verso l´imbrunire, dopo essersi radunati a frotte nelle loro contrade, centinaia di pastori, mandriani, contadini, e le loro famiglie scendevano in paese, abbigliati con fogge e costumi stravaganti, in corteo compatto tra un frastuono indiavolato. Ornamenti fatti di rami e fronde, abiti vecchi dai colori vari e vivaci, stelle alpine sul cappello alla montanara costituivano l´abbigliamento maschile, mentre le contadinelle e le montanare indossavano gli abiti migliori, adorne di trine, merletti e dei primi fiori.

E in mezzo al grande, allegro corteo non potevano mancare gli animali: somarelli riccamente adornati e infiorati, buoi, capre e perfino conigli e galline, che insieme agli uomini avevano condiviso i lunghi giorni dell´isolamento invernale. Tutti si ritrovavano nella piazza con i propri attrezzi di lavoro, i propri armenti e con ogni possibile arnese trasportabile. Alla testa della folla sfilavano per primi i cacciatori, armati di vecchi archibugi con i quali più tardi, mentre si intrecciavano le danze, salutavano a salve l´arrivo di marzo. Il corno, il “rècubele” e le “snatare” completavano il gaio frastuono, mentre i bambini agitavano campanelli (le “ciochète”) e le campane suonavano a festa. I gruppi intonavano le “cante” e qualcuno si esibiva in giochi di abilità e acrobazia. Dopo il tramonto veniva acceso il falò sul quale bruciava “l´inverno”, rappresentato da una sagoma di paglia.

Le probabili origini della festa sono assai remote. Fin dagli antichi Greci sappiamo che si celebrava con feste e con canti la nascita di Venere, che cadeva appunto nel mese di marzo: come dire il sorgere dell´amore, il risveglio dell´uomo e della natura dalle cupe ombre in cui li aveva avvolti l´inverno. Per i Romani le Calendie Marzie segnavano addirittura l´inizio dell´anno e appunto in marzo erano tenute le grandi assemblee generali. Il fatto che questa tradizione sia passata di generazione in generazione, di popolo in popolo, riuscendo in qualche modo a sopravvivere fino ai nostri giorni, è testimonianza di quanto radicata, spontanea ed intimamente sentita sia l´usanza di “Chiamare Marzo” nella storia della gente recoarese.

Nelle varie edizioni che si sono succedute (la sedicesima nel 2008), oltre ai contributi di enti pubblici, la manifestazione è stata sostenuta anche da privati. Uomini e donne, attrezzi e costumi, bambini e animali, tutto ciò, insomma, che va a formare il quadro antico e vivo della montagna recoarese e dei suoi abitatori di un tempo. www.chiamatadimarzo.com