di Alexander Màscàl

Il Carnevale è una festa legata al rito primaverile. Tipica usanza delle aree alpine funge da esorcismo contro gli spiriti maligni per propiziarsi un buon raccolto. Non a caso località lontane tra di loro hanno come riferimento gli stessi personaggi e gli stessi simboli: l’uomo selvaggio, l’orso, e altre figure simboliche.
Le maschere alludono a significati allegorici pagani, per questo furono più volte condannate dalla Chiesa, come risulta dagli atti del XV secolo.

Sacro e profano si mescolano alla tradizionale festa di carnevale, alla storia e alla leggenda. Unendo la tradizione allegorica contadina legata al risveglio delle stagioni a quella altrettanto allegorica della storia, danno origine agli sgargianti costumi carnevaleschi e alle diverse tradizioni sparse in ogni località della nostra penisola.

Tra i Carnevali insoliti, indubbiamente quello del Grand Combin in Valle d’Aosta segna un itinerario storico-folcloristico di grande effetto. Siamo nella Coumba Frèide, la stretta e profonda valle che collega la città d’Aosta al Colle del Gran San Bernardo, valico per chi transita verso la Francia. Parallela, sul fondo della valle, un’altra vallata, la Valpelline segna l’unione di queste due vallate della “Comunità Montana del Grand Combin”.

Le origini di questo Carnevale sono legate al passaggio delle truppe francesi di Napoleone, che alla testa di 50 mila uomini, il 20 maggio 1800, vi transitò diretto a Marengo e le caratteristiche maschere, dette “Landzette”, ricche e fantasiose sono una versione grottesca delle uniformi napoleoniche.

Gli sgargianti costumi multicolori sono ricamati e cuciti rigorosamente a mano ad uno ad uno. Il rosso simboleggia la forza e ha il potere di esorcizzare i malefici e le disgrazie, mentre i numerosi specchietti cuciti sopra servono a scacciare gli spiriti maligni. Pizzi, spalline, nastri, fiori, cinture di tintinnanti campanellini, sonagli e campanacci, perline e galloni, fanno di questi costumi un rifiorire della primavera.
Il volto è coperto da maschere chiamate “vesadjie”. Anticamente erano in legno, oggi sono di cartone.

In gruppi mascherati, detti “patoille” e le “Landzette”, maschere, girano di casa in casa nel capoluogo, negli altri comuni e nelle vicine frazioni a fare visita alle famiglie e tutti aprono loro le porte. Entrano nelle case dove mangiano e bevono quanto viene loro offerto, ballano nelle strade, nelle piazze e lungo il tragitto coinvolgono anche il pubblico offrendo loro merende e vino per festeggiare allegramente, tutti assieme, il Carnevale.

Il corteo sfila scambiando lazzi e scherzi con la folla, danza con loro e con in mano le lunghe code di cavallo o di mucca ornate di nastri, agitandole “spolverano”, rincorrono e solleticano gli spettatori, per allontanare da loro le negatività, in segno di augurio.
Il Carnevale inizia il giorno dopo l’Epifania e si conclude il martedì grasso. Tutto avviene secondo un rituale preparatorio affidato ad un apposito comitato che si occupa anche del rinnovo dei costumi, della preparazione delle merende e del ballo serale. L’ordine della sfilata e rigidamente stabilito.

IL CORTEO

La Guida, o Portabandiera, precede il corteo portando la bandiera del Carnevale e con il corno o la trombetta, chiama a raccolta le maschere dando inizio alla festa. Gli occhiali scuri, i baffi e la bombetta in testa sono il simbolo della sua autorità.

Lo seguono alcuni musici che suonano allegramente, precedendo il Diavolo con il corto mantello rosso e in mano la forca che usa per far inciampare le persone.

Dietro vengono le coppie di Damigelle e gli Arlecchini, maschere amabili e gentili. Solo recentemente è consentita la partecipazione anche alle donne, che si travestono da Signorina e da Arlecchino, ma spesso, gagliardamente si vedono gentili donzelle… con tanto di barba e baffi e in tasca il congedo militare…

Seguono le maschere distinte per il colore della loro giubba: i Neri, a simboleggiare le lunghe notti invernali, i Bianchi ad annunciare l’arrivo del sole primaverile e l’allungarsi delle giornate e tutti gli altri colori: i Verdi, i Marroni, i Blu, i Rosa, i Viola, che rappresentano il colore dei prati e dei fiori alpini.

I due vecchi montanari sempliciotti, il Toc e la Tocca, ovvero il Matto e la Matta, seguono il corteo trascinandosi faticosamente ed esibendosi goffamente per divertire il pubblico. Indossano abiti stracciati. Il Toc fa cadere il cappello agli uomini, con il bastone accarezza la schiena ai bambini e solletica le gambe alle donne, ingelosendo la Tocca che gli si scaglia contro malmenandolo.

In questo Carnevale si trovano contemporaneamente presenti due figure mitologiche, che solitamente sono rappresentati separatamente l’Uomo Arboreo che è rappresentato dagli elementi floreali dei ricami, dei disegni e dei cappelli, e l’Uomo Fauno rappresentato dall’orso.

L’Orso, che simboleggiano anche la fecondità, tenuto alla catena dal Domatore, insegue le donne e i bambini e getta nella neve gli adulti. L’Orso è anche una figura simbolica che rappresenta il trascorrere delle stagioni e la cui uscita dal letargo indica l’inizio della primavera.

Per tutto il periodo di Carnevale ad Etroubles, Sait-Rhèmy-en-Bosses, Valpelline, Roisan, Ollomont, Bionaz, Sait-Oyen, Gignod, Allein, Doues, è un tripudio di colori e festeggiamenti.

Informazioni sul turismo e manifestazioni:
Info A.I.A.T, Azienda d’Informazione e Accoglienza Turistica del Gran San Bernardo: Etroubles – Strada Nazionale del Gran San Bernardo, 13. Tel. 016578559, fax 016578568 – e-mail: [email protected]

Ufficio Turistico della Valpelline: Valpelline, loc. Capoluogo, 1 Tel.0165713502 – fax 0165713600

Comunità Montana Grand-Combin: Gignod – Chez Roncoz, 23/A
Tel. 0165256611 – fax 0165256636

Antiche tradizioni carnevalesche in Valle d’Aosta.

A Champorcher il giorno dell’Epifania si faceva benedire dell’acqua e la si dava da bere agli animali domestici per proteggerli dalle malattie, il 7 iniziava il Carnevale valdostano.
La notte di martedì grasso si accendeva un falò sulla collina, per salutare il Carnevale e si bruciava un manichino di paglia, che lo simboleggiava, incendiandolo in piazza, mentre i giovani ballavano in cerchio tenendosi per mano.

A Chatillon, il giorno delle Ceneri, si facevano benedire le ceneri del camino di casa che poi venivano portate agli ammalati che non potevano partecipare alla funzione.

A Nus, per ricordare i doni che i Re Magi avevano portato a Gesù, nei villaggi della parrocchia si faceva la questua di castagne e noci che poi venivano vendute all’asta e il ricavato dato alla chiesa.

A Verres si rievocano le gesta di Caterina di Challant, nobile feudataria che con il marito Pierre d’Introd lottò, nel XV secolo, per difendere le sue terre dagli attacchi degli Challant di Fénis e dei Savoia. Il 31 maggio 1449, l’intrepida contessa, dimenticando il cerimoniale nobiliare, scese in piazza con il marito per ballare con i suoi sudditi e ingraziarsene i favori. Questo fatto storico viene rievocato ogni anno. Il sabato di Carnevale il Sindaco consegna la chiave d’oro del Castello alla giovane che impersona la contessa di Challant, che così si riafferma come Castellana di Verres.
Oltre 300 personaggi con costumi sfarzosi in velluto, broccato, damasco, bordati di pelliccia e passamanerie, trascorrono tre giorni di festa fra danze e rievocazioni storiche per le vie del paese e all’interno del maniero, costruito da Ibleto nel 1390, mentre paggi e armigeri ostentano gli stemmi della casata facendo riecheggiare sotto le alte volte del castello le parole dell’antico motto dei Challant: “Tout est et n’est rien”.

In alcune località, nel periodo carnevalesco si possono incontrare personaggi camuffati con pelli di cervo, tintinnanti di campanacci, oppure acconciati con il tipico bonnet rouge, il copricapo rosso che ha origine dai berretti frigi dei giacobini francesi e importati in Valle dai soldati napoleonici.