In passato, l’acquisto del caffè proveniente dall’Arabia o dal Sud America aveva un costo molto alto per le famiglie del ceto medio; ma non volendo rinunciare ad una bevanda calda e corroborante, dal sapore simile a quello del caffè “vero”, si ricorreva ai vegetali disponibili nei campi e nei boschi.

Comparso nel XVII secolo, il caffè di cicoria si otteneva dalle radici della pianta erbacea delle Composite: le radici venivano dapprima essiccate, quindi tostate (la tostatura trasforma in caramello, dal tipico colore bruno e dal sapore amarognolo, una parte degli zuccheri naturali contenuti nelle radici) e poi macinate. In questo modo si poteva preparare il “caffè” con la classica “macchinetta” napoletana, con l’accortezza di riempire il filtro solo per metà.

In coincidenza del blocco imposto dal 1806 al 1813 contro la Francia dagli Alleati, al popolo vennero a mancare prodotti di prima necessita’ tra cui anche il caffe’. Napoleone suggeri’ ai Francesi di accontentarsi del surrogato a base di cicoria e vieto’ l’uso del caffè, contribuendo così alla sua breve diffusione.
La coltivazione della cicoria da parte degli olandesi in seguito a questo fatto ebbe grande impulso: da qui il nome di “caffè olandese” al caffè di cicoria.

Non sono pochi i nostri nonni che durante le due guerre mondiali bevvero il caffè di cicoria (o caffè olandese), scarseggiando il caffè vero.

Ed è oggi il “caffè” di cicoria è disciplinato anche dalla direttiva 1999/4/CE relativa agli estratti di caffè e cicoria.