Il Picolit è un vitigno autoctono a bacca bianca molto raro quanto noto, viene coltivato sulle colline eoceniche del Cividalese, nelle zone del Collio Goriziano e dei Colli Orientali Udinesi.

La produzione è molto scarsa e incostante a causa di difficoltà di fecondazione tipiche del vitigno il quale è infatti soggetto ad acinellatura dolce, una anomalia nello sviluppo degli acini che, a causa di un parziale aborto floreale, comporta la formazione di acini che, portata a termine la maturazione, risultano molto più piccoli e più dolci del normale. Inoltre è particolarmente soggetto a infezioni da crittogame.
Il grappolo è medio e alato, l’acino è piccolo, trasparente e di colore verde dorato, la buccia è pruinosa, la polpa succosa e dal sapore dolce.

La vendemmia viene effettuata a mano e in modo scalare a seconda del grado di maturazione degli acini. Alla raccolta seguono l’ appassimento e una vinificazione condotta in bianco con pressatura soffice, decantazione statica a freddo e fermentazione a temperatura controllata. L’ affinamento solitamente è condotto in bottiglia per un periodo non inferiore all’anno, qualora la fermentazione alcolica fosse condotta in barriques, l’affinamento prosegue in questo contenitore fino anche a 24 mesi. Può invecchiare in bottiglia anche per 6 anni o più. Il colore è giallo paglierino carico tendente all’ambrato, dal profumo etereo all’olfatto con note che ricordano fiori di campo, mandorla, acacia, pesca e castagna. Il sapore è raffinato con sentori di miele, frutta appassita e vaniglia. Solitamente è molto dolce e molto alcolico (fino a 16 % vol.) ma in rari casi lo si può trovare vinificato secco.

Il suo abbinamento ai cibi non è sempre facile e infatti viene considerato vino da meditazione ma lo si può provare con ostriche, fois gras, formaggi erborinati o piccanti oppure con pasticceria secca o il presneitz friulano, dolce tipico locale. Si serve non freddissimo ma comunque fresco, a una temperatura di 10-12°C.

Il vitigno è antichissimo e probabilmente già coltivato in epoca imperiale romana. Conosciuto e apprezzato sulle tavole nobiliari di tutta l’Europa fin dalla metà del XVIII secolo, ebbe l’onore di deliziare palati di papi, principi e re. Venne esaltato da Carlo Goldoni e citato dall’ampelografo Gallesio nella sua opera “Pomona italiana”. Ma il produttore che fece la fortuna di tale vino, fu il conte Asquini di Fagagna. Uomo colto e raffinato, per ironia della sorte astemio, ebbe il merito di iniziare nel 1762 il commercio del Picolit altrimenti noto ad una ristretta cerchia di amatori locali. Faceva fodere e soffiare appositamente le bottiglie a Murano, in vetro verde chiaro e dalla capacità di circa un quarto di litro per esportarle in Inghilterra, Francia, Olanda, Austria, Russia.

Nell’ Ottocento le malattie crittogamiche e la fillossera si abbatterono inevitabilmente anche sul Friuli, cominciarono a scadere la qualità e la fama di tutti i vini friulani e quindi anche del Picolit. La sua sopravvivenza è segno che non solo la qualità delle uve conta per un vitigno.

La sua antica fama sta oggi rivivendo un momento particolarmente fortunato grazie al successo internazionale riscontrato negli ultimi anni. L’elevato prezzo è giustificato dalla produzione estremamente limitata (circa 500 ettolitri all’anno) ma non sempre dalla sua qualità. Può fregiarsi delle denominazioni di origine “Colli orientali del Friuli – Picolit”, “Colli orientali del Friuli – Cialla – Picolit”, “Colli orientali del Friuli – Rosazzo – Picolit”, in ogni caso i vitigni ammessi sono Picolit per un minimo dell’85% e un massimo del 15% di vitigni a bacca bianca raccomandati o autorizzati per la provincia di Udine, escluso il “Colli orientali del Friuli – Cialla – Picolit” per il quale il vitigno Picolit è vinificato in purezza.