Il Cile è il più antico paese vinicolo dell’emisfero meridionale, la storia della sua industria enologica e viticola è non poco travagliata e si intreccia spesso con la storia politica e la lotta per l’indipendenza del popolo cileno.
Nel 1557 i nativi cileni, caddero sotto il dominio degli Spagnoli che furono i primi a impiantare vigneti con varietà importate dalla Spagna: essi avevano intuito la disponibilità e l’affinità dei terreni cileni con la coltivazione della vite. Quando i cileni riconquistarono la libertà dal dominio spagnolo nel 1818, iniziarono a viaggiare visitando i vigneti europei per apprendere e applicare poi in patria gli elementi indispensabili per la fortuna della viticoltura. Il governo si affiancò all’iniziativa privata e furono invitati molti enologi dalla Francia, fu importato materiale e la rinascita dell’agricoltura e lo sviluppo del commercio proseguirono abbastanza bene nonostante le inquiete manovre politiche che portavano di continuo alla ribalta, attraverso le rivoluzioni, nuovi capi di stato sempre più conservatori.
Nella metà del XX secolo si ebbe un periodo di crisi dell’industria enologica, con una flessione consistente nella produzione annua, causata da una campagna governativa contro l’alcolismo dato che purtroppo in Cile, il vino provocò in passato una grave tara etilica nella popolazione. Ma a partire dal 1982 si ebbe la ripresa: si iniziarono a coltivare varietà di uve internazionali puntando sui mercati esteri e, nel giro di cinque anni, l’economia vitivinicola del paese si rimise in moto. Una prova di questo successo arriva nel 1985 con l’entrata in vigore di una nuova legislazione vinicola.
Attualmente la zona vinicola più prestigiosa è la valle del Maipo, ma la vite viene coltivata anche più a sud nella valle del Rapel, nei pressi delle città di Rancagua, San Fernando, Santa Cruz, Curicò , nell’area costiera di Casablanca e a Maule . Il clima è molto simile a quello mediterraneo anche se con forti oscillazioni di temperatura. Le zone vicine al Pacifico sono più fresche con abbondanti precipitazioni, altrove le piogge scarseggiano tanto da rendersi necessarie irrigazioni artificiali. Un particolare interessante della viticoltura cilena è che le viti non sono innestate su portainnesti americani ma franche di piede perché la fillossera non è mai arrivata e non ha devastato le colture del Cile come invece è successo per i confinanti paesi dell’Argentina e del Perù.
Oggi i vitigni internazionali hanno preso il sopravvento su quelli tradizionali anche se i vini destinati all’esportazione hanno caratteristiche diverse da quelli prodotti per il consumo interno. I prodotti migliori riguardano Cabernet Sauvignon, Merlot, Sauvignon blanc e Chardonnay sui quali il clima mediterraneo influisce positivamente conferendo loro una spiccata nota fruttata e speziata. Esistono ancora problemi di sovrapproduzione ma nel complesso i vini cileni continuano a migliorare e le competenze enologiche a crescere. Le due bottiglie attualmente considerate come le più prestigiose sono Almaviva e Seña, due assemblaggi prodotti da due diverse aziende tra le più importanti nel panorama cileno. Il Carmenère , un vitigno di tipo bordolese fino a poco tempo fa considerato estinto, in Cile si è affermato come varietà di qualità. Le versioni di Carmenère in purezza non sono superlative, risultati migliori si hanno con assemblaggi come Merlot e Cabernet Sauvignon.
In etichetta i vini cileni indicano annata, zona d’origine e vitigno: l’uva citata costituisce almeno il 75% della composizione del vino stesso, mentre il restante 25% può essere costituito da uve diverse provenienti anche da altri territori. C’è un vino però che, pur essendo molto coltivato e diffuso in Cile, non è presente, secondo la legislazione, negli elenchi di varietà di uve abilitate alla produzione di vini definiti “di qualità”: è il Paìs. Si tratta di un vitigno spagnolo che si è bene acclimatato in Cile e che si ritrova copioso nelle taverne dove il popolo cileno trascorre le calde giornate al riparo delle fresche mura.