Raccontare la storia del vino in California significa raccontare la storia delle rivoluzioni sociali che guidarono il paese dall’epoca di Cortès alla struttura politica e sociale che sopravvive tutt’oggi, vuol dire percorrere le piste dei pionieri seguendo il ritmo della corsa all’oro, delle lotte con i Pellerossa, vuol dire risalire alle origini dello schiavismo e poi del proibizionismo incontrando una schiera di personaggi folkloristici e suggestivi che sono appartenuti alla Old America. Perché il vino californiano ha accompagnato i più importanti eventi storici della sua terra.
La storia del vino in California si intreccia con le conquiste degli Spagnoli nel Cinquecento: le cronache del tempo affermano che Cortès ordinò a ogni proprietario terriero di coltivare 1.000 piante di vite per ogni cento indiani che abitavano in quelle terre.
La storia del vino in California si intreccia, come spesso accade, con la religione. Nel 1600 iniziarono a essere fondate le prime missioni di gesuiti, domenicani e francescani. L’esigenza di avere il vino per il rito eucaristico, spinse anche qui i monaci a coltivare la vite negli orti intorno ai conventi. L’uva prodotta nei monasteri era la Mission, una varietà di Vitis vinifera di qualità piuttosto modesta, presumibilmente arrivata dalla Spagna secoli prima. Nel 1769 padre Junìpero Serra fondò a San Diego la prima comunità francescana della lunga catena di missioni con la quale tracciò una lunga strada di comunicazione, oltre che spirituale, commerciale, chiamata “El camino real” o “King’s Higway” passante per San Diego, Los Angeles, Santa Barbara, Monterey e San Francisco. Le zone “elette” da padre Serra sembravano proprio scelte con il proposito dominante della viticoltura.
La fortuna delle missioni terminò nel 1830 quando i monasteri caddero in rovina e anche sui vigneti ad essi annessi si alzarono le erbe cattive e il silenzio della dimenticanza.
Raccontare la storia del vino in California equivale a tracciare un parallelo con l’avventura dei pionieri e dei cercatori d’oro lungo le strade delle diligenze scavate nella roccia e bagnate dal sangue delle imboscate e dei conflitti civili. La scoperta di ricchi giacimenti auriferi sui monti della Sierra Nevada, provocò l’aumento vertiginoso dell’immigrazione. I pionieri arrivavano con i carri coperti, portando con sé le famiglie e sfuggendo ai Pellerossa a caccia di scalpi. Unica consolazione a un’esistenza così precaria e aspra era bere una bottiglia di vino che risvegliasse in loro il ricordo della visione dei paesaggi di origine della Francia, della Germania o dell’Italia.
Nella zona di Los Angeles nascevano così le prime aziende vinicole e i primi arrivati intuirono subito che avrebbero potuto fare molto denaro costruendo distillerie. I saloon si moltiplicavano e dove oggi si innalzano i teatri di posa di Hollywood e dove le strade di Los Angeles disegnano il loro labirinto, in quell’epoca si stendevano migliaia di ettari coltivati a vite. Oltre alla viticoltura dei pionieri e dei missionari è esistito un interesse statale e laico per il vino. Nel 1783 il governatore Pedro Fayes piantò alcuni vigneti vicino a Monterey, pian piano nacquero un po’ ovunque case vinicole dove il colono fondatore diventava una specie di patriarca biblico, centro politico e gerarchico di una comunità familiare e agricola, personaggio salutato e onorato dai coloni, elevato al titolo di “don”, leader della vita politica nella società, direttore di banche, attraversava i suoi possedimenti in calesse e alla sera guardava il tramonto dietro ai vigneti sorseggiandone il frutto di vino.
Tra i nomi dei fondatori dell’industria enologica californiana ricordiamo il francese Jean Louis Vignes che per primo riuscì a esportare il vino da lui prodotto, Kohler e Frohling, due musicisti tedeschi fondatori della compagnia omonima che divenne il fiore all’occhiello della produzione vinicola californiana con rappresentanti in Europa e anche in Asia, ma il nome più famoso è sicuramente quello del colonnello Agoston Haraszthy considerato il padre della moderna viticoltura californiana. Molti furono i suoi viaggi in Europa per apprendere le tecniche della viticoltura e per importare nuovi vitigni da impiantare nei suoi possedimenti. La sua eccezionale collezione non ebbe futuro nella realtà agricola californiana soprattutto per cause politiche che coinvolgevano le autorità nel suo progetto e che non vedevano Haraszthy di buon occhio soprattutto nel contesto della guerra civile che in quell’epoca si stava consumando.
La figura di Haraszthy è avvolta in una nube di leggenda che contribuisce a esaltare oltremodo la sua importanza e la sua unicità. Non fu infatti l’unico a importare vitigni di origine europea e a dare un contributo significativo alla viticoltura californiana: Cabernet, Pinot noir, Sémillon, Malbec, furono impiantati da francesi molti anni prima dei viaggi di Haraszthy in Europa.
La viticoltura aveva ormai raggiunto una certa espansione in California quando, nel 1876, la fillossera distrusse tutte le coltivazioni. Una volta trovata la soluzione al problema e i vigneti erano stati da poco reimpiantati, il governo americano introdusse il proibizionismo che durò dal 1919 al 1933. Una volta abrogato, il mercato vinicolo era praticamente scomparso.
Solo alla fine degli anni ’60 ebbe inizio il rilancio della viticoltura californiana grazie alle iniziative di produttori entusiasti affiancati da enologi europei che introdussero le più moderne tecniche di vinificazione.
Oggi la regione più rinomata dal punto di vista enologico è sicuramente la Napa Valley disseminata ormai di cantine che si succedono allineate lungo le due grandi strade che attraversano la valle.
I vitigni più coltivati sono Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Merlot e in misura minore Gewürztraminer, Riesling e Sauvignon.
Anche se la Napa Valley costituisce il cuore e l’anima della viticoltura californiana, non è la sola regione vinicola di questo stato. Nella contea di Sonoma infatti la viticoltura ha una storia più antica e oggi si suddivide in varie sottozone che producono vini molto diversi fra loro. Tra i tanti ricordiamo sicuramente lo Zinfandel, vitigno che presumibilmente doveva far parte della collezione di barbatelle che il colonnello Haraszthy importò dopo i suoi viaggi in Europa.
La recente istituzione delle aree di denominazione (AVA) è un dato di estrema importanza anche se è ancora prematuro utilizzarle come indicazioni guida ai vari tipi di vino. I vini che si fregiano in etichetta di una denominazione regionale devono essere originari per almeno il 95% di quella zona. Attualmente la superficie vitata in California conta 224.000 ettari e produce 17 milioni di ettolitri. Il consumo annuo pro-capite è tuttavia basso, anche se proporzionato, in una certa misura, alla produzione: è infatti di 7,6 litri all’anno. Per fare un confronto, basti pensare che in Italia il consumo annuo pro-capite è di 62 litri all’anno e la quantità di vino prodotta è pari a 60 milioni di ettolitri. Ciò significa che produciamo molto più del triplo di quanto produce la California ma beviamo otto volte di più rispetto ai californiani.