Gustosa ed abbondante è la definizione che fa da denominatore comune alla cucina delle Dolomiti ovvero un variegato insieme di sapori italiani, mitteleuropei e tradizioni alpine. La cucina delle valli dolomitiche si differenzia a seconda della vicinanza con la tradizione culinaria tedesca oppure trentina e veneta, forse più povera, ma ugualmente saporita. Poi ogni valle ha le proprie varianti che a loro volta si modificano a seconda delle stagioni e quindi degli ingredienti a disposizione. Questo tipo di cucina, lontana dalle elaborazioni eccessive è rimasta soprattutto una gastronomia schietta, basata su piatti come si usava un tempo composti da pochi ingredienti, semplici ma accostati con gusto, riscoprendo i dettami delle vecchie ricette tradizionali. Infatti il cibo tra queste montagne ha lo stesso rituale delle altre attività umane, richiede tempo per la preparazione, sagacia nella scelta degli ingredienti.

Il simbolo di questa filosofia fa da cornice al ricettario di Sergio Rossi, chef e gestore del rinomato Rifugio Fuchiade ubicato nell’omonima conca, poco oltre il Passo San Pellegrino, “La Ola e la Segosta” -Vivalda Editore. Il libro è dedicato al grande paiolo e alla catena che scendendo dal camino lo sosteneva e che si usava per cuocere sia la polenta che le zuppe di verdura accompagnate da qualche pezzetto di carne a seconda della disponibilità.

Ma la cucina ladina, quella tradizionale, è soprattutto una cucina di profumi. Inconfondibile per esempio quello della padella dove si stufano i crauti, che si abbinano con la salsiccia, le costine, le braciole oppure il profumatissimo carré affumicato. I crauti, cavoli cappucci, sono una pietanza antica, una volta raccolti e tagliati con un apposito attrezzo venivano messi a macerare in salamoia nei barili dove una volta scolato il liquido in eccesso erano pronti per essere utilizzati. Infatti gli abitanti delle valli dolomitiche sono sempre vissuti isolati, nutrendosi di quel po’ che i campi e la natura offrivano. Quindi cereali ovvero segale e avena ingredienti base per la preparazione del pane, cavoli , patate, rape, cipolle, funghi, frutti di bosco e naturalmente tutti i derivati del latte.

La carne soprattutto di maiale si mangiava solo in occasione di alcune festività oppure si contava sulla selvaggina di cui sono sempre stati ricchi i boschi. Basilare, invece, il pane anche quello avanzato, che ammorbidito nel latte costituisce da sempre l’ingrediente base dei “Knödel” o canederli, i famosi gnocchi di pane preparati in molte varietà dagli spinaci, al fegato, al formaggio, che vengono serviti come primo asciutti o in brodo, come contorno per accompagnare crauti e carni e nella versione dolce anche come dessert. Ingrediente insostituibile dei tradizionali canederli allo speck è appunto il caratteristico salume ottenuto dalla coscia del maiale sapientemente aromatizzata e affumicata. I “cajoncìe”, la pronuncia varia di valle in valle, sono uno dei simboli della cucina ladina. Erano un tempo il mangiare dei giorni di festa ovvero ravioli ripieni di patate e di altri ingredienti come ricotta, spinaci, frutta essiccata per esempio le pere selvatiche. Ogni vengono conditi con burro e ricotta stagionata. Un altro primo che proviene dall’originaria civiltà montanara è la zuppa d’orzo, “orc” in ladino, che era uno degli unici cereali che cresceva sino ai 1700 m. I secondi piatti sono sempre robusti, sia che si tratti di selvaggina che di carne di maiale. Molto gustoso ed apprezzato lo stinco. Immancabile il capriolo, lo spezzatino di capriolo accompagnato dalla polentina, non manca nemmeno mai lo spezzatino tradizionale di manzo, variante più delicata del gulasch.

Ma se un pranzo tradizionale che si rispetti si apre sempre con un tagliere di profumati affettati che vanno dallo speck ai saporiti salamini di cacciagione, altrettanto si dica per il finale che è dedicato a seconda dei gusti ai formaggi o ai dolci. Qui brillano due stelle della produzione casearia locale ovvero il “Puzzone di Moena” a pasta morbida e fondente, dall’odore profumato e dal sapore forte oppure il suo concorrente diretto il “Nostrano Val di Fassa” a pasta semidura, dal sapore delicato, gradevole e tendente al dolce. Tra i dolci le “fortaes” sono i deliziosi dolci fritti dalla caratteristica forma a chiocciola che accompagnano tutte le feste tradizionali. E non si può certo dimenticare lo strudel di mele che si usa ordinare in tranci per accompagnare in modo più dolce il ritorno a casa.

Parlando di cucina ladina va ricordato che ormai da alcuni anni quattro ristoranti di Moena (Foresta, Tyrol, Malga Panna, Rifugio Fuchiade) hanno dato vita alla fortunata rassegna eno-gastronomica “A Cena con Re Laurino” (25 – 30 marzo 2008). Immancabile l’abbinamento dei migliori piatti della tradizione locale con i vini più rappresentativi della produzione trentina: il teroldego ed il marzemino tra i rossi , il delicato nosiola tra i bianchi ed infine gli spumanti. Altra perla della produzione vitivinicola è sicuramente la grappa che non manca mai a conclusione di un convivio alpino che si rispetti, le più apprezzate e con ottime caratteristiche digestive quelle alle erbe aromatiche alpine come la genziana, l’asperula, il mugo e la ruta che nelle produzioni più artigianali vengono lasciate macerare al sole.

 Titolo La ola e la segosta. Magnères da zacan. Ricette tradizionali ladine
Autore Capaldi M. Teresa; Rossi Sergio
Anno 1998, 112 p., ill.
Editore CDA & VIVALDA (collana Minoranze in cucina)