È stato uno dei pittori più enigmatici che l’Austria abbia mai prodotto: Gustav Klimt, nato a Baumgarten vicino a Vienna nel 1862, iniziò la sua carriera con la pittura di soggetti storici, per sviluppare sempre più il suo inconfondibile stile. Nel 1897 diventò cofondatore della Secessione di Vienna, dichiarandosi contrario alla pittura accademica. Se è passato alla storio il suo stile di vita – i pasti sontuosi, le numerose amanti vere o presunte –  per altri versi amava la semplicità.  Come dimostra la vicenda del suo ultimo atelier viennese, rappresentato nel quadro “Il giardino delle rose” del 1912.

Ora di proprietà privata, il dipinto mostra il giardino-rifugio dell’artista.  Quando Klimt si trasferì all’indirizzo di Feldmühlgasse nel 13° distretto di Vienna, c’era solo una piccola casetta che si affacciava su un vasto giardino fiorito, frequentato da molti gatti, animali che Klimt adorava. L’artista rimase affascinato da quel giardino e anno dopo anno lo fece sistemare e ripulire. Ai visitatori usava mostrare prima il giardino, e solo in seguito la casetta-studio e i quadri.

Era un piacere venirci in mezzo a fiori e vecchi alberi“, così Egon Schiele descriveva il luogo prediletto dell’amico. Fu in questo luogo che Gustav Klimt creò alcune delle sue opere più importanti dal 1911 fino alla sua morte nel 1918. Qui ha lavorato a più di 50 dipinti, fra cui “Adele Bloch-Bauer II”, “Friederike Beer”, “La sposa” e “Adamo ed Eva”.

Se possiamo vedere oggi lo studio e il giardino, lo dobbiamo in parte a Egon Schiele perché fu lui che nel 1918, subito dopo la morte improvvisa di Klimt, chiese che la “casa insieme al giardino e all’arredamento” fosse acquistata e conservata così com’erano. E così fu, anche quando i nuovi proprietari fecero costruire una villa, inserendo però l’atelier nella nuova costruzione.

Tutto cambiò con l’arrivo dei nazisti. I proprietari della villa dovettero fuggire all’estero, la villa fu sequestrata, poi restituita dopo la guerra, infine venduta allo stato austriaco che per lungo tempo se ne disinteressò. La villa rischiava di cadere in rovina, l’amato roseto, o quello che ne era rimasto, era abbandonato.

Finalmente, salvato da un’iniziativa popolare, lo Stato si dedicò al restauro dell’edificio. Anche il giardino è stato ripiantato fedele all’originale, e le rose damascene, le cosiddette “rose Klimt”, riprodotte da un esperto, con i germogli di due piante madri innestate su rose selvatiche.