La Storia del Mercato delle Gaite

Nata negli anni ’80 come “Festa della Porchetta”, la manifestazione grazie all’intuito dei primi volontari bevanati si è connotata sin da subito per la grande attenzione ai particolare e alla ricerca storica.

Dal longobardo watha, ovvero “guardia”, deriva la denominazione di “guaita o gaita“, termine con cui vengono indicati i quattro quartieri nei quali Bevagna ed il territorio circostante erano suddivisi. La divisione è attestata dagli Statuti comunali giunti fino ad oggi nella redazione del XVI secolo. Sulla base di tale testo si ricreano, durante la Festa, i momenti più rappresentativi e suggestivi rappresentanti le antiche magistrature cittadine, la vita sociale e le attività economiche dell’antica Mevania. La magistratura cittadina ha come suo vertice il Podestà. Proveniente da città lontane almeno sedici miglia dal piccolo borgo, egli resta in carica due mesi. Giunge in città tre giorni prima della nomina ed entra da Porta San Vincenzo, recando con sé due cavalli, un pavese ed una ballistam de osso; è accompagnato da due notai, ad maleficia e ad extraordinaria, da un giudice, da otto armigeri e dai familiares.

Davanti alla chiesa di San Vincenzo dona un palio di velluto di seta rosso; giunto nella piazza maggiore assiste alla lettura dello Statuto al quale giura fedeltà. Il Podestà amministra la città insieme ai quattro consoli eletti, di cui si hanno notizia a partire dal 1187, i quali restano in carica due mesi. Consigli ristretti sono: La Cernita – formata da otto uomini – i cui componenti sono addetti alla conservazione del bussolo delle votazioni. Tra gli ufficiali ricordiamo il Camerario, addetto alla tenuta dei libri contabili e il Cancelliere, notaio incaricato della stesura dei verbali dei consigli. Ricordiamo infine che il Podestà nomina otto baiuli addetti alla esecuzione dei pignoramenti, citazioni, ambasciate, i quali non possono andare singolarmente ma devono indossare un caputeum del valore di otto soldi e portare le insegne del Comune.

Sempre dagli statuti si ricavano preziose notizie circa l’economia cittadina, le modalità e le tecniche di produzione dei principali prodotti locali, il funzionamento dei forni, dei mulini, l’organizzazione di alcune botteghe, le modalità di vendita di determinate merci. Dettagliate indicazioni regolano infine i pesi e le misure adottati nel territorio. Privilegiati punti di vendita sono le trasanne poste nella piazza maggiore, nelle quali si potevano vendere pane, frutta, spezie, sale e pesce, seguendo precise norme igieniche. Il vino era venduto in vasi sigillati dal Camerario; secondo la capacità essi si chiamavano pitictum, mezzeto e foglietta.

La macellazione degli animali avveniva in appositi casalini: gli animali venivano scuoiati fino alla testa e appesi; le pelli potevano essere tenute ad asciugare per la strada solo di martedì, giorno del mercato. Il banco di vendita della macelleria non aveva parametri; la bilancia, regolata e sigillata dal Comune, doveva essere posta un palmo al di sopra del banco così da essere bene in vista. Le carni di scrofa, pecore, becchi, capre, castrati, montoni dovevano essere vendute in luoghi distanti dal macello e quelle di animali morti per cause naturali fuori dalle porte cittadine.

I mulini del Comune si trovavano nei pressi della porta molendinorum; la loro organizzazione interna, il lavoro del conduttore, i compiti dei garzoni erano minuziosamente regolamentati dallo Statuto. Nei mulini erano conservate le misure del coppulo, che doveva essere legato alla catena del mulino, dei mezzenghi di legno, ferrati ed aggiustati secondo le misure del comune e sigillati con lo stemma di Bevagna e del quartengo. Lo statuto termina con un elenco dettagliato di merci vendute a Bevagna, tra le quali si riconoscono prodotti locali e d’importazione.

La manifestazione, che si articola nell’ultima decade di giugno, vive il suo momento più significativo nei giorni del Mercato, che si sviluppa all’interno dei quattro quartieri. Pur nel rispetto sostanziale dei dati offerti dalle conoscenze storiche, ogni Gaita ha saputo dare al proprio Mercato una fisionomia autonoma e, per certi versi, caratterizzante. Così si va da allestimenti apparentemente poveri, nei quali si offrono esclusivamente prodotti locali, a soluzioni più articolate, nelle quali si dà spazio anche all’intervento di artigiani esterni. Le vie si popolano di banchi e si animano del rumore delle botteghe nelle quali il visitatore può trovare stoffe, oggetti in cuoio, vimini, cordami, carta, ferro battuto, rame candele lavorate a mano ed ancora formaggio, pesce, pane appena sfornato e focacce.

A completamento del Mercato è stata concepita la realizzazione di alcuni mestieri medievali, secondo le antiche tecniche di lavorazione e di produzione. Nella scelta degli stessi, le Gaite si caratterizzano per interpretazioni autonome, ispirate sia ad una rigorosa fedeltà alla realtà economica della Bevagna medievale (forno, tele, lavorazione del ferro), sia ad una lettura più libera ma altrettanto fedele nella riproduzione delle tecniche e degli strumenti di produzione. Tali botteghe rimangono aperte per l’intera settimana, contribuendo a creare quel clima di fervore che culminerà nei giorni del Mercato.

Altri appuntamenti fondamentali scandiscono le giornate della Festa a partire dalla cerimonia di apertura del Mercato delle Gaite, nella quale l’intero paese si ritrova in piazza Silvestri in una cornice festosa e originale; la Gara di Tiro con l’Arco, che si svolge sempre in piazza, le taverne dove, in un atmosfera resa fortemente aggregante da accurate coreografie, si ha la possibilità di gustare cibi tratti da antichi ricettari e godere di sapori insoliti e per lo più dimenticati. Si moltiplicano, inoltre, le iniziative che fanno da corredo a questa Festa con l’organizzazione di incontri-studio su temi inerenti, non solo la cultura e la religiosità medievale, ma anche la musica, la danza e il teatro. Inoltre, la necessità sempre più sentita di non relegare la Festa ad una sola decade, ma di riviverne lo spirito durante tutto l’anno, ha fatto sì che varie iniziative – già realizzate o ancora in cantiere – impegnino le Gaite in molti appuntamenti.

Quattro Gaite, il motore della Manifestazione

San Giorgio, San Giovanni, Santa Maria e San Pietro, quattro Gaite, quattro quartieri, il popolo di volontari dietro al Mercato delle Gaite.

Gaita San Giorgio

La Gaita S.Giorgio si estende tra la piazza maggiore e la Porta San Vincenzo, a destra della via Flaminia, attuale Corso Matteotti. Molto vasta, ma poco popolosa, era occupata da tre grandi conventi: quello dei domenicani con l’annessa chiesa, fatta costruire dal beato Giacomo Bianconi, il monastero Santa Margherita e quello detto “del Monte”. Notevoli anche le presenze archeologiche, tra le quali indichiamo i resti di una domus romana e di un edificio forse termale. Il nome San Giorgio deriva da un oratorio donato dal Comune nel 1291 al beato Giacomo, che vi costruì la bella chiesa di San Domenico.

La Gaita vanta al suo interno un gruppo di giovani, i “Novus Ignis”, che hanno voluto indirizzare la loro passione per la musica nell’approfondimento di musiche del XIII e XIV secolo. Oltre a questi, la Gaita ha da poco dato vita ad un coro, grazie all’aiuto del Monastero di Santa Margherita e ad un gruppo di danzatrici medievali. Tra i vari mestieri realizzati ricordiamo la lavorazione del ferro, la zecca e la liuteria. La lavorazione del ferro necessita di pochi strumenti: l’incudine, il martello e una fucina alimentata da un mantice azionato dal ragazzo di bottega. Insostituibile è invece la mano del fabbro che, con gesti sicuri ed esperti, forgia il ferro incandescente per creare oggetti di pregio o semplici utensili. Il martello che batte sull’incudine ritma la vita della bottega e si avverte lontano nelle strade, diventando perfino strumento musicale nelle molteplici animazioni sceniche organizzate dalla Gaita per allietare il Mercato.

Gaita San Giovanni

Procedendo dalla piazza verso l’antica porta San Vincenzo, a sinistra della flaminia – decumano della Mevania Romana – si incontra la Gaita S.Giovanni, la più vasta e popolosa della città e ricca di insigni monumenti di età romana. La denominazione deriva dall’oratorio di San Giovanni Battista ceduto nel 1275 ai frati Minori di San Francesco, che vi costruirono l’omonima chiesa. L’orientamento della Gaita San Giovanni nei diversi allestimenti è di privilegiare momenti di grande spettacolarità, connotati da una componente tecnica piuttosto sofisticata, com’è possibile vedere nelle attività artigianali proposte. Fase centrale della lavorazione della carta è la riduzione in poltiglia degli stracci, già sminuzzati e messi a macerare nella calce, mediante la “pila idraulica a magli multipli”; tale poltiglia viene quindi colata compatta in fogli che vengono torchiati, asciugati ed infine trattati con un collante di origine animale. Il prodotto, finito e selezionato, veniva commercializzato in risme presso un’utenza qualificata.

La complessità del ciclo di lavorazione ha richiesto grande impegno nella ricostruzione dei macchinari di lavoro. Altrettanto impegnativa è stata la riproduzione della lavorazione del vetro. La materia prima, sabbia bianca fine, o ciottoli di fiume, viene combinata con un fondente derivato dalla combustione di arbusti marini; la pasta vetrosa, così ottenuta, viene fusa in appositi crogioli. La lavorazione prosegue con il raffreddamento della materia fusa, che viene prelevata con l’estremità di una canna bucata e roteata in aria, affinchè la pasta vi si attacchi intorno, a questo punto, soffiando nella canna, si modella nella forma desiderata l’oggetto, che viene messo a temperare in un’altra camera del forno fusorio.

Gaita Santa Maria

Davanti alla Gaita San Pietro si apre la Santa Maria, uno dei quartieri più popolosi della città. Essa prende il nome della chiesa di Santa Maria filiorum comitis, fatta costruire dal conte Rainaldo d’Antignano e documentata fin dal 1198. La Gaita è caratterizata da un’edilizia curata e abbastanza ben conservata, con case del ‘300 e del ‘400 e belle residenze private. Priva di monumenti di particolare importanza, mantiene l’impianto della cinta romana in blocchetti di travertino del I secolo A.C. Bello anche il torrione quattrocentesco di Porta Molini, così denominato dai mulini a grano e a olio esistenti fin dal Medioevo, attivati dalle acque del fiume Clitunno. Nelle scelte relative all’organizazione della Festa, la Gaita Santa Maria ha preferito attenersi con rigorosa fedeltà ai dati storici ed economici locali: così nella realizzazione dei Mestieri è partita dalla lavorazione della canapa per giungere alla produzione di tele e di resistenti cordami.

La coltivazione della canapa, diffusa in tutta la pianura, costituiva infatti una delle voci più importanti dell’economia locale; essa veniva venduta nel cosiddetto forum canape, posto «a porta intule supra, usque ad portam Sanctii Vincentii». Pregiate erano le tele che qui si producevano per essere poi imbiancate nelle acque del torrente Attone. Gli steli di canapa vengono messi a macerare così da permettere la separazione delle fibre dalla parte legnosa, segue la battitura e, infine, la pettinatura delle fibre, che sono quindi pronte per essere lavorate da esperte filatrici. Dai grandi telai escono quindi le tele pregiate che, in un ambiente estremamente suggestivo, vengono tinte da giovani donne. A completamento del Mestiere è stata poi realizzata la lavorazione della lana, anch’essa seguita in tutte le sue fasi, dalla tosatura e scardazzatura fino alla filatura.

Gaita San Pietro

La Gaita San Pietro si trova, procedendo dalla piazza maggiore verso la Porta Sant’Agostino, a destra della via Flaminia, attuale Corso Amendola. Si tratta del quartiere meno esteso della città, tanto che nel XVI secolo, per ovviare alle difficoltà che si incontravano nel reperire il numero di rappresentanti da inviare al Consiglio Generale, si decise di estenderla fino a Porta Guelfa, ingoblando un settore della Gaita San Giovanni. Prende il nome dalla chiesa di San Pietro di cui non si ha più alcuna traccia, ma che sorgeva nei pressi del convento di Sant’Agostino. Interessanti sono le chiese di Sant’Agostino, fondata nel 1316 con l’annesso convento, e quella di San Filippo, fatta costruire nel 1720 dalla Congregazione dei Filippini. Le indicazioni che vengono dalla toponomastica hanno aiutato ad individuare nel fornaio il mestiere principale del quartiere: la zona detta “delle fornare” conserva infatti, oltre che al nome, anche nella sua successione di porte ad arco, il ricordo degli antichi forni che vi si affacciavano.

La Gaita è partita da questo dato per realizzare il primo dei propri Mestieri, che ha permesso ai bevanati di ritrovare quelle fragranze e quelle atmosfere che, in realtà, erano vive fino a pochi decenni fa. Sulla piazza principale della Gaita si affaccia anche la bottega dello speziale, che ripropone un bell’interno medievale, corredata dai laboratori della distilleria e dell’erboristeria. Interessante anche il laboratorio per la lavorazione della cera, dove vengono prodotte candele realizzate secondo le norme dettate dagli statuti comunali: si parte dalla preparazione dello stoppino di canapa per arrivare alla realizzazione della candela. Questa è ottenuta attraverso successive colate di cera fusa, candele per uso religioso oppure per successive immersioni nel sego e candele per l’uso quotidiano. Le candele così ottenute venivano arrotondate e lisciate tramite immersione in acqua tiepida e successiva pressione tra due tavolette di legno.