…ma percorrendo la strada che collega l’aeroporto di Mombasa verso la zona turistica di Shanzu, ci siamo subito resi conto delle contraddizioni tipiche di questo continente. Infatti ci hanno colpito immediatamente le centinaia e centinaia di persone ammassate ai lati delle strade, frenetiche nei loro affari, presso delle bancarelle precarie o ancora, oziosi come ad aspettare un autobus che li porta lontano, chissà dove….

Abituati come siamo alla tecnologia, alle modernità, e comunque alle case e palazzi di cemento, vedere queste baracche, in lamiera e fango, oppure sterco e legno, povere postazioni di lavoro con meccanici, saldatori, falegnami ricurvi a terra e piegati nell’immondizia… insomma ci ha creato un non poco senso di soffocamento iniziale, e ci ha persuaso, come se fossimo inglobati, risucchiati subito in questo lontano diverso mondo. Quando siamo usciti dalla città di Mombasa, il numero di persone, le case e la confusione sono diminuite, riportandoci all’aria vacanziera e di deja vù, ed a una finta leggerezza che la fa da padrona.

I primi giorni di permanenza, forse a causa del mal tempo mattutino, abbiamo potuto collaudare l’ottima struttura dell’Asa (African safari club) ns. tour operator svizzero, purtroppo non supportata dalla competenza e dalla professionalità delle assistenti in loco. Sistemazione camera n. 1709, al terzo piano, siamo all’Hotel Paradise.

Già per il fatto che ci hanno assegnato, senza richiederla, una suite, composta da ampio soggiorno, camera matrimoniale con doppio lettone e mega bagnone, più una bellissima terrazza che da sulla piscina, beh, la cosa ci aggrada assai, ci sorprende e non disdiciamo di certo la location, però però…
però avvertiamo subito nell’aria molta umidità, data dal fatto che le settimane precedenti sono state parecchio piovose, per cui negli ambienti chiusi si respira odore di “risotto ai funghi”, o meglio “muschio”, è da ridere a dirlo, ma è proprio così!

Fortunatamente l’aromaterapia durerà solo per 3 mattine, al contrario invece della compagnia dei nostri amici geghi, dei gatti e delle scimmiette dalle palline azzurre, che tutti i pomeriggi vengono a prendersi la meritata banana sul bordo balconata.
Iniziamo ad ispezionare anche l’esterno del resort, conosciamo subito i beach boys, lungo la spiaggia, dei deliziosi ragazzotti del posto, tutti operanti nel settore turismo, che allacciano frequentemente rapporti con i villeggianti, e propongono diverse escursioni e gite varie.

Contrariamente a quello che dicono le ragazze dell’agenzia (non date confidenza, sono pericolosi, sono inaffidabili, noi non garantiamo nulla…) prenotiamo con loro tutte le fantastiche escursioni a metà prezzo (verissimo, le consigliamo e garantiamo noi per loro).

E così con Moses e Kasimu il bel rastamen accanito fumatore di mira, blocchiamo il safari di 2 giorni al parco nazionale dello Tsavo Est, l’escursione a Mombasa per l’indomani e l’escursione in barca. La mattina successiva, puntualissimi come i nostri compagni svizzeri, partiamo con Selim, di nuovo alla volta della caotica Mombasa, ex capitale ed ora seconda città solo a Nairobi come popolosità.

L’autista ci porta per primo al suo tempio indu, dove le donne avvolte nel sari preparano sul pavimento del riso tostato, poi nell’accattivante Old Town, alla foresta dei baobab, al Fort Jesus con tanti studenti ancora in divisa e all’esposizione dei cannoni.
Poi ancora alla fabbrica del legno, dove assistiamo alle varie fasi di costruzione delle famose statue d’ebano. La lavorazione è complessa, si parte dal tronco intero, che una volta smussato e levigato viene tagliato in grandi pezzi che sono poi smistate nelle varie capanne (circa 200) e modellati dai ragazzini in nuovi animali, maschere, divinità locali e nei mitici “dombolo”, che immediatamente catturano la nostra attenzione.

Il giro prosegue anche per la città nuova, che conserva anch’essa un’essenza orientale, parcheggiamo davanti al Moi Avenue, l’ingresso della via principale dei negozi, contraddistinta dal enormi zanne di elefanti ricostruite e diventate simbolo della città anche per la lotta contro i bracconieri.

In queste tappe impedibili siamo sempre sostenuti da improvvisati ciceroni locali, che si avvicinano sorridendo dispensando informazioni e notizie simpatiche per qualche moneta e soprattutto per caramelle e biro. Prima di ritornare all’hotel visita al primo museo della città , fondato dai tedeschi nel 1930 e capatina al mercato delle spezie, dove ci viene offerto di tutto, dal safran alle droghe.

Al rientro socializziamo con alcuni ragazzi, che si rileveranno anche deliziosi compagni di viaggio nel prosieguo della vacanza, sono Silvia ,Carlo, Bill e Michele, e contrattiamo con loro e i beach boys un’altra gita a “Copacabana” o meglio villaggio locale di Mpata, un’escursione in barca con tanto di grigliata di aragoste e polipi.
La mattina seguente in 12 “navigatori bianchi” e due splendidi captains partiamo verso una bella spiaggia, lontano circa un’oretta di navigazione, e riusciamo a trascorrere, con il gruppo italiano una giornata originale, anche senza aver fatto il bagno per colpa della bassa marea, sotto un sole scottante, con tanto pesce e salsa piccante, compagnia divertente e improvvisata partita a calcio con i ragazzini del posto.

Al rientro piccolo problemino, perché a causa dell’alta marea, questa volta, non è possibile rientrare via mare con i dhow, per cui Moby dick e Aly i nostri referenti, inventano il rientro in hotel via terra.

Camminiamo un pochino oltre il villaggio, c’è la possibilità di addentrarci nella splendida realtà incontaminata dal turismo, scoprire le prime manyatta, case di terra riparate dalle palme, i recinti e gli orticelli, i frutteti e i bananeti, mi sembra di essere tornata indietro nel tempo.

In più vedere questo piccolo villaggio di solo 200 persone ci cui ben 120 bambini, beh è stupefacente, perché ad un certo punto siamo letteralmente “circondati” dai ragazzini, tutti scalzi, sporchi, sorridenti con grandi occhioni profondi, con le loro faccine morbide, che ci prendono per mano con naturalezza e spontaneità, insomma, lungo questo percorso fino alla strada principale davvero devo dire che le emozioni non hanno avuto voce.
Anche loro sono stupiti, i bimbi non hanno mai visto cosi tanti MZUNGU, (bianchi) tutti insieme mi dice Agnes, e sono contenti della novità.

Ci fermiamo ad una bancarella, e con il mitico Carlo capogruppo compriamo un sacchettone di mentine, le distribuiamo ai bimbi che ordinatamente si mettono tutti in fila indiana, come se fosse un rito già vissuto, nei loro occhi c’è luce serena e tanta allegria, per me ed Ivo questo è stato il dono più inaspettato e il più bello di tutta la giornata. Quando giungiamo finalmente e purtroppo alla strada asfaltata, troviamo il nostro matatu, cioè un bus non certo dell’ultima generazione, unico mezzo di rientro per l’hotel.

Dovrebbe trasportare 10 al massimo 12 persone, noi ci montiamo su e ne contiamo 19, escluso l’autista e il ragazzino appeso fuori, che schiamazza con chiunque incrocia sulla via.
Torniamo al resort, spaventati, frastornati, tutti sani e salvi, e da lontano vediamo la sbarra d’ingresso che si alza, “jambo jambo, habari, nzuri sana”, ce l’abbiamo fatta e ci siamo proprio divertiti.
L’indomani siamo di nuovo in spiaggia, il panorama è meraviglioso per i nostri piccoli occhi, l’oceano offre una tonalità di azzurro infinito, esaltato ancor di più dall’effetto della bassa marea.

Qui sulla battigia, ritroviamo come sempre le decine di venditori che ogni volta cercano il contatto, un pò per marketing ma soprattutto per riempire le loro solite giornate di sole. Sono incuriositi dal turista, dai nostri stili di vita, affascinati da quello che indossiamo, da cosa facciamo, e nell’approccio, che inizia sempre con la contrattazione di qualche monile, il dialogo è parte fondamentale, non solo per la vendita ma anche per il confronto e lo scambio di idee.

E’ inutile dire che si siamo affezionati davvero ad alcuni di loro, come Ali, Phillip, Dorcus, Kasimu, perché sono apparse subito persone genuine, vere, autentiche. Ci raccontano prima dei loro affari, delle bancarelle, dei gusti , poi delle ambizioni che hanno, della famiglia, delle usanze.

Dorcus, la ragazza famosa per le sue conchiglie nei capelli, dice che ha studiato molto per diventare assistente turistica, vorrebbe trasferirsi in Europa, migliorare l’italiano e il francese, conoscere nuovi posti e soprattutto evadere dalla mentalità Masai, che lei considera troppo maschilista e molto limitata.

Ci fa conoscere altre persone, scherza e ride in continuazione, tenta di parlare il dialetto milanese, e ci parla di Moses, un pittore locale e della sua bella bottega di quadri. Non possiamo far altro che andare a trovarlo, è simpatico, alla buona anche lui, e compriamo una sua bella tela variopinta, rappresentante la tribù masai, una fierezza per lui sono i nostri complimenti che lo intimidiscono quasi, dal tanto è modesto. Insomma sono persone splendide, forti e moderne, che si fanno rispettare nel villaggio, e che vogliono sempre e non solo migliorarsi, ma anche motivare le loro tradizioni . Alla fine della vacanza per me sarà difficile lasciare Dorcus, congedarmi da lei, la figura che più mi è piaciuta in questo viaggio, che più mi è stata a cuore, per il suo essere tosta.

Ancora adesso la ricordo con molto affetto, e anche se la sento via internet, non è certo come essere la con lei, o come trascorrere i lunghi pomeriggi nel villaggio, con le nostre chiacchierate in inglese ed italiano maccheronico, e scambiarci occhiate e commenti reciproci, insomma , tutto passa e tutto si ricorda. Una cosa è certa, questo viaggio a Shanzu mi ha fatto apprezzare molto la natura, le spiagge, ma anche la volontà e la determinazione, e l’energia di tanta brava gente come Dorcus.

Saby e Ivo

Foto e testo di Brambilla Sabina. Grazie 🙂