Il malecon di L'Avana
La vallata di Vinales
Il pizzaiolo
Una via di Trinidad
Playa Ancon
Per le strade di Cuba
Fermata
Baracoa (sotto il diluvio)
Tramonto a Varadero
Ventaglio di corallo a Maria La Gorda

Cuba è un piccolo mondo di realtà sociali, storiche, politiche, umane, culturali straordinariamente complesse e per molti versi uniche, che ispira emozioni tanto forti quanto non omogenee in chi la visita. Cuba offre tanti motivi per andarci e in tanti ci vanno per motivi completamente differenti e quando in due ci si va per lo stesso motivo, in due spesso si ritorna con due sensazioni del tutto diverse. Cuba è come è e sarebbe bene che noi riuscissimo a vederla appunto per come è, ma siccome Cuba è Cuba, tante volte la vediamo solo come noi vorremmo che fosse, nel bene o nel male. Noi ci siamo andati nel novembre del 1999, mia moglie ed io, con l’intenzione di viaggiarcela da un capo all’altro. E’ quanto abbiamo fatto, quanto è possibile fare in meno di tre settimane. Questo è il nostro (sintetico) diario di viaggio, per chi volesse ripercorrere un simile itinerario o semplicemente leggersi qualcosa a proposito dell’ Isla Grande. E per prima cosa vi consigliamo di non andarci a novembre, perchè noi abbiamo trovato quasi sempre brutto tempo (anche se la temperatura era di media sui 28-30 gradi).

Da Bologna via Parigi arriviamo in aereo a L’Avana che è già sera. Abbiamo prenotato via internet una stanza in un albergo di Habana Vieja e ci facciamo portare da un taxi statale che ci costa 17 dollari. L’albergo è il Lido, era il più economico (35 dollari una doppia) che abbiamo trovato ed è molto malandato. Proprio davanti c’è una scuola materna priva di vetri alle finestre e l’indomani di buon’ora veniamo svegliati dagli strilli e dal giocare dei bambini. Il cielo sembra una lamiera zincata e l’afa ti appiccica addosso la maglietta come fosse una seconda pelle. Per prima cosa andiamo alla cerca di un automobile da noleggiare e scopriamo subito che non sarà facile. I Rent-a-car di L’Avana si contano sulle dita di una mano e nessuno ha auto disponibili. Otteniamo una vaga promessa per il giorno dopo e dobbiamo accontentarci di quella : se volete affittare un’auto, il consiglio è quello di noleggiarla per tempo dall’Italia prima di partire, tanto sul posto di sconti non ve ne faranno (50 dollari al giorno). Visitiamo il centro di L’Avana, cioè Habana Vieja. La piazza della Cattedrale è stata completamente restaurata e così le adiacenze turistiche, ma tutti gli altri edifici del centro storico versano in uno stato di degrado assoluto. Prendiamo due tramezzini e due mojitos al bar della piazza e li paghiamo come in un caffè di Piazza San Marco a Venezia.

Andiamo al Campidoglio e saliamo sulla terrazza dell’Hotel Angleterra : dall’alto la fatiscenza in cui versa la città vecchia la si può cogliere in tutta la sua estensione. Eppure è tutto un brulicare di vita, di colori, di gente che non pare affatto farsene un gran problema : i loro occhi non sono i nostri e questo è il loro mondo. Il nostro mondo irrompe però nel loro tramite il “Dio Dollaro”, unica moneta con la quale possono accedere al libero acquisto di quasi ogni cosa. Come ci dirà in seguito Carlos : “a Cuba non c’è quasi niente da comprare e c’è quasi tutto da comprare : dipende se hai pesos o dollari.” La sera ceniamo in un paladar, ovvero un ristorantino privato, dove ci ha condotto un giovane “procacciatore” che di mestiere fa l’infermiere e il vero stipendio se lo guadagna in dollari di commissione dai paladar e dalle case particular (affittacamere privati) a cui porta clienti. I paladar sono in genere più cari di molti ristoranti statali, ma ci si mangia meglio e più abbondante, per prezzi che vanno da 8 a 10 dollari a testa. Il pomeriggio seguente abbiamo finalmente la nostra auto giapponese quasi nuova fiammante e partiamo verso l’ovest, con prima tappa a Soroa.

Rintracciare l’accesso all’autopista per Pinar del Rio non è cosa facile, perchè a L’ Avana non esistono cartelli stradali indicatori di nessun tipo, ma chiedendo ci si arrangia e questa sarà una costante di tutto il nostro viaggiare per Cuba. Altra costante saranno le frotte di “autostoppisti” che troveremo lungo tutte le strade : gente che deve andare da una città all’altra, per lavoro, per studio, per tanti motivi, e siccome non può contare su un regolare servizio di trasporti pubblici e per chi può pagare solo in pesos non c’è nemmeno benzina da comprare, anche qui ci si arrangia : ci si mette sulla strada e prima o poi si parte e si arriva. Per il resto, su questa che sarebbe un’autostrada circola un po’ di tutto, mandrie di vacche con cow-boy a cavallo comprese. Soroa (80 km ad ovest di L’Avana) è un piccolo incanto di quiete e di rigogliosa natura tropicale, specialmente dopo due giorni trascorsi nella confusione e nell’affollamento della capitale. Qui alloggiamo in una cabana (bungalow) dell’Hotel Villa Soroa (38 dollari con la colazione) al cui ristorante mangiamo anche bene, per 15 dollari in due.

Il mattino seguente andiamo presto alla cascata Salto de Soroa e poi al giardino botanico e all’orchidario, dopodichè riprendiamo l’autopista e arriviamo a Vinales, circa 130 km di strada. Il panorama sulla vallata e sui mogotes (colline calcaree dalla caratteristica forma “a panettone”, isolate l’una dall’altra in mezzo ad una verdeggiante vallata coltivata quasi esclusivamente a tabacco e in genere contenenti più o meno ampie grotte e caverne, chiamate Cuevas) che si gode dalla terrazza adiacente all’Hotel Jazmine è eccezionale, ma questo albergo è al completo e così per 40 dollari troviamo una cabana libera al Rancho San Vicente, che ospita anche un piccolo centro termale presso il quale prima di cena ci facciamo fare un bel massaggio ristoratore. Il posto non è affatto male, ma anche qui come ovunque regna un diffuso odore di muffa che ci accompagnerà per tutto il nostro viaggio : forse è colpa di questa stagione tanto umida ed afosa, ma certo non sarà un ricordo cubano piacevole da riportarci a casa. Abbiamo tempo per un’ escursione nella Cueva del Indio, in parte a piedi e in parte su un piccolo battello a motore che percorre il fiume sotterraneo che scorre in questa grande grotta e poi per andarci a prendere l’aperitivo nella Cueva de Vinales, percorrendo la quale si attraversa per intero un mogote e si sbuca a visitare la ricostruzione di un villaggio di Cimarrones, come venivano chiamati gli schiavi africani che riuscivano a scappare dalle piantagioni coloniali e qui formavano piccole comunità di fuggiaschi. Andiamo anche al Murales della Preistoria, ma secondo noi non ne valeva proprio la pena.

Il mattino dopo facciamo qualche piccolo acquisto a Vinales, un piccolo paese di case di legno stese lungo una strada principale che fa tanto “old west” da film americano, e poi proseguiamo per Pinar del Rio, la capitale del sigaro cubano e del brandy di guayaba (un liquore dolcissimo). Anche presso lo spaccio della fabbrica, i sigari Cohiba costano una mezza follia (anche se pare comunque meno della metà di quanto costano da noi), ma per le strade della città veniamo spesso abbordati da personaggi che ce li propongono invece a prezzo stracciato : autentici o no che pure siano, comunque non ci interessano. Per il resto, Pinar del Rio avrebbe certo molte caratteristiche per risultare una cittadina dall’architettura coloniale anche carina, solo che pure qui gli edifici versano generalmente in rovina, anche se meno di quelli di Habana Vieja. Così che decidiamo di non passarvi più di un paio di ore e di provare il salto fino a Maria La Gorda, 150 km di strade cubane attraverso villaggi e paesi, senza più l’ausilio della scorrevole autopista est-ovest. Maria La Gorda è una baia sull’estrema punta occidentale di Cuba che alcuni dicono avere i più bei fondali corallini dell’isola. E a parte mare e spiaggette, non c’è niente altro che un malandato residence di cabanas presso il quale possono trovare ospitalità turisti e amanti delle immersioni subacquee. Malandato, ma carissimo : due notti, due colazioni, due cene ed un pranzo ci vengono a costare 100 dollari a testa. Ma d’altra parte non c’è alternativa alla pensione completa, visto che il villaggio più vicino dista oltre 30 km.

Ci consola il fatto che il mattino seguente e per la prima volta da che siamo arrivati a Cuba splende un sole radioso e così ce ne andiamo immediatamente a rosolarci e a fare un bagno di mare dietro l’altro. Ma se i fondali al largo sono un paradiso dei subacquei, questi sottoriva per noi che facciamo soltanto snorkeling sono un po’ deludenti rispetto alle nostre aspettative. Ed all’ora del tramonto, proprio mentre tutti i turisti se ne stanno sulle verande delle loro cabanas a gustarsi il sole che cala sul mare, ecco che arriva il micidiale attacco degli hé-hé, infernali micromoscerini succhiasangue che quando te li vedi addosso è già troppo tardi per sfuggire alla loro puntura. Risultato : l’indomani a colazione tutti ad esibire su braccia e gambe i propri “ponfi” rossi e pruriginosi. Eppure la sera precedente non era accaduto nulla del genere, ma valli a capire tu gli hé-hé ! Preleviamo a bordo della nostra auto una coppia di svizzeri che viaggiano in autostop e con loro decidiamo di tornarcene ad oriente e di provare ad arrivare fino a Cienguegos : un tappone di 530 km ! Fino a L’Avana va tutto a meraviglia, ma quando si tratta di attraversare la periferia meridionale della capitale per connettersi con la successiva autopista scopriamo che un conto è la strada segnata sulla cartina e un altro quella reale e la differenza è tutta a nostro svantaggio. In più, quando finalmente sembriamo essere sulla strada buona, quella si immerge in una sorta di palude creata da chissà quale alluvione e così altro girare per stradine di periferia dove trovare qualcuno che chiedendo ad ogni incrocio sappia davvero indicarci la direzione giusta sembra ogni volta una scommessa. Ma ce la facciamo e arriviamo a Cienfuegos che si è ormai fatta sera. Ci lasciamo abbordare da un paio di procacciatori e quelli ci conducono a vedere diverse case particular, fino a quando non troviamo un paio di stanze dignitose al prezzo di 15 dollari per notte. Sempre facendoci condurre da loro, ceniamo poi in un paladar con aragosta e gamberoni per soli 8 dollari a testa.

Dopo cena, andiamo a passeggio sul Prado e Cienfuegos ci appare subito come un’altra Cuba rispetto a L’Avana e Pinar del Rio : completamente ristrutturata, ben curata, piena di gente e di vita notturna (nel senso di passeggio, di chiacchiere, di localini dove a bere, ballare ed ascoltare musica si vedono quasi esclusivamente giovani cubani e pochissimi turisti). Ma poco dopo le dieci di sera si scatena il diluvio universale e allora fine della nostra noche cubana! Il mattino seguente, nonostante ancora ogni tanto pioviggini, ce ne torniamo a spasso per la città e tutte le belle impressioni che ne abbiamo ricavato la sera prima ci vengono confermate. In Piazza Martì assistiamo ad un pubblico saggio di danze da parte di tantissimi gruppi di bambini di ogni età ed etnia (dai bianchi e biondi ai meticci ai neri come il carbone) appartenenti alle scuole “elementari” della città : sono bellissimi ed incredibilmente radiosi. Poi ce ne andiamo a visitare il Palacio Del Valle, l’eccentrica dimora in stile moresco-andaluso eretta all’inizio del secolo da un originale riccone spagnolo in onore della sua amatissima sposa. Lui morì che l’aveva appena terminata e lei se ne andò subito dopo perchè nè la casa nè Cuba le piacevano proprio. Dopo la rivoluzione venne espropriata dallo Stato e adesso è un ristorante ed un’attrazione turistica. Qui salutiamo i nostri due amici svizzeri e proseguiamo per Trinidad, sostando al Pasacaballo (lo stretto imbocco della baia sui cui si affaccia Cienfuegos) e al giardino botanico (dove ci rapinano 2 dollari per un caffè). Ci fermiamo alla Finca Maria Dolores, una specie di agriturismo alla porte di Trinidad. Sarebbe molto carino e anche economico (27 dollari) per quello che promette di offrire, se non fosse che l’interno della cabana che ci assegnano (ed è l’unica che hanno libera) è assolutamente fatiscente. Così l’indomani ce ne andiamo e per 15 dollari troviamo una stanza nella casa particular di Carlos, a due passi dal centro città di Trinidad.

Nei due giorni che restiamo lì, Carlos si rivelerà una piacevolissima fonte di informazioni e di chiacchiere su come vanno le cose a Cuba, mentre scopriremo in sua moglie una cuoca straordinaria. Trinidad è diventata un po’ il salottino turistico di Cuba e qui non c’è turista che non ci arrivi o non ci venga portato in pullman deluxe da Varadero o L’Avana o persino Cayo Largo. Così che di giorno brulica di gente e somiglia molto ad una San Marino dei Caraibi, mentre la notte restano solo quelli che alloggiano qui e che si sparpagliano nei vari locali all’aperto dove si suona, si beve e si balla (e si consolidano le più varie amicizie con i cosiddetti jineteros, ragazzi e ragazze cubani molto pronti a fare amicizia con i dollarosi stranieri che vogliono divertirsi nella calda noche cubana). Nei due giorni che restiamo qui, visitiamo il caratteristico centro cittadino di epoca coloniale, andiamo al mare alla spiaggia di Playa Ancon (e ci piace di più di quello di Maria La Gorda), ci rechiamo nella Valle de los Ingenios e assistiamo ad un po’ di spettacoli di musiche e danze tipiche cubane. Da Trinidad prendiamo la carretera central che ci condurrà fino a Santiago de Cuba. L’intenzione sarebbe di sostare a Sancti Spiritus, ma piove e il centro cittadino è tutto un caos e decidiamo di tirare dritto. Sotto un cielo plumbeo, attraversiamo Ciego de Avila, Camaguey e Las Tunas, in un monotono paesaggio di sterminate piantagioni di canna da zucchero che si stendono a perdita d’occhio per centinaia di chilometri. La strada vuole i suoi tempi di percorrenza e in sette ore e mezza facciamo circa 500 km e decidiamo di pernottare a Bayamo. L’Hotel Villa Bayamo è proprio sulla strada e così risolviamo di fermarci lì senza stare ad entrare in città. E’ pieno di cubani, non riusciamo a capire se benestanti locali o di “oltremare”, e una stanza costerebbe solo 18 dollari, ma hanno libero solo una specie di miniappartamento, per 32 dollari, che prendiamo ugualmente, e dal quale la vista arriva fino ai contrafforti della Sierra Maestra, luogo mitico della rivoluzione cubana. Il giorno dopo impieghiamo tutta la mattinata per fare i 130 km che ci separano da Santiago, perchè la strada attraversa tanti piccoli paesi ed è stracolma di autocarri lentissimi che gettano fumi di scarico nerissimi, animali, gente a piedi e in bicicletta, carri agricoli e insomma di tutto un po’. E l’impatto con Santiago de Cuba è del tutto brutalizzante : un centro città dal traffico caotico e dall’aria inquinatissima resa ancor più insopportabile dall’afa e dal cielo plumbeo. Per i soliti 15 dollari troviamo alloggio in una casa particular e poi andiamo alla Casa Museo di Velasquez e a passeggio per la città. Santiago non ha l’aria decadente di Habana Vieja, ma non è certo il posto che possa piacerci. Oltretutto, il pressing della jieneteria è ancora più marcato e tutti i locali anche storicamente più genuini della noche santaguena sono ormai affollati solo di turisti con i loro accompagnatori cubani. Pranziamo e ceniamo al Fontana di Trevi (!!), un posto dove servono solo pizza e pollo fritto che non sono affatto male e che è l’unico che troveremo in tutto il nostro viaggio dove ci fanno pagare il conto in veri pesos cubani (così che mangiamo e beviamo con poco più di un dollaro a testa !), poi il mattino dopo rimontiamo in auto per raggiungere Baracoa : la prima capitale coloniale di Cuba, il luogo dove sbarcò Cristoforo Colombo, l’estrema punta orientale dell’isola, 1.400 km ad est di Maria La Gorda.

Per arrivarci attraversiamo Guantanamo e poi una riviera desertica popolata solo di cactus che dopo tanta canna da zucchero hanno davvero un loro fascino e quindi ci inerpichiamo sulla Farola, la strada che taglia da sud a nord l’aspra e selvaggia cordigliera montuosa che isola la piana di Baracoa dal resto di Cuba e che venne voluta ed inaugurata da Che Guevara. Per questo suo isolamento, Baracoa è così rimasta un paesone dall’aspetto tipicamente caribeno, steso fra palme da cocco e da banane, che la decadenza ammanta di un suo fascino post-romantico. Troviamo alloggio in una casa particular dove pernottare ci costa 13 dollari, la colazione (un vero pasto, comprensivo di una buonissima cioccolata in tazza) 4 e la cena (buonissima e sovrabbondante) 5. In più, anche qui la proprietaria è una simpatica chiacchierona da cui attingere tantissime notizie. Siccome la stagione non è male, andiamo alla foce del Rio Yamunì e alla spiaggia nera che è lì nei pressi e poi sino alla sommità panoramica del picco dello Yamunì. Alla sera, oggi che è sabato, troviamo una miriade di giovani ad affollare strade e piazzette e locali improvvisati all’aperto dove si suona e si balla, ma anche si beve tantissimo rum e in vari punti notiamo piccole squadre di poliziotti pronti a menare di manganello chi dovesse ubriacarsi più del dovuto : cosa che ci toglie la voglia di mescolarci più di tanto con l’allegria generale. Il giorno dopo veniamo flagellati da un furioso temporale che ci dicono essere la coda di un ciclone che ha investito la Giamaica e che durerà fino a sera, riducendo le strade delle città in veri e propri ribollenti fiumiciattoli di acqua e di fango. E quello seguente è ora di ripartire. Per il ritorno, vogliamo tentare ugualmente la strada verso Moa, ovvero lungo la costa settentrionale, anche se ci dicono essere piuttosto malandata. Hanno ragione e in più ci troviamo ad attraversare campagne allagate dal temporale e fiumi in piena le cui acque lambiscono i ponti. Poco prima di Moa incrociamo le dita perchè il motore non si spenga mentre guadiamo in auto il torrente che ha inondato la strada. Poi da Sagua de Tanamo non si può proprio passare perchè il fiume è straripato di brutto, ma lì c’è già una seconda strada che girando per una montagna ci permette di aggirare la zona non percorribile. E così piuttosto sfiniti riusciamo ad arrivare ad Holguin poco prima di sera. Holguin è una città curatissima e dall’aspetto piacevole, lontana dalle spiagge e senza nessuna particolare rinomanza turistica, piena zeppa di case particular e paladar e frequentatissima dagli stranieri, fra cui tantissimi italiani. Quasi esclusivamente solo uomini. Che ci vengono a fare ? Purtroppo, quella del “turismo sessuale” a Cuba non è solo una diceria e l’impressione è che ad Holguin sia diventato un floridissimo affare un po’ per tutti. Da Holguin riusciamo poi a fare tutta una tirata fino a Varadero. Nonostante siano 730 km, la strada si percorre però senza molti intoppi e piuttosto velocemente. E proprio oggi in cielo splende il sole più sfavillante che si possa desiderare ! A Varadero verifichiamo alcune case particular, ma sono tutte malandate, “non ufficiali” e per di più carissime. Così troviamo una stanza all’Hotel Villa La Mar, il più economico di questa località balneare che secondo gli stessi cubani “non è Cuba”, ma che di cubano mostra tuttavia tantissimi sintomi nelle sue soluzioni turistiche più economiche. Per il resto, Varadero è proprio il classico posto da turisti in vacanza senza pensieri ai Caraibi e anche se non rappresenta il nostro ideale, è pur vero che passarci tranquillamente una giornata è assai gradevole e rilassante. Da lì, ritorniamo a L’Avana. Le case particular di Habana Vieja in cui ci facciamo portare da un procacciatore sono una più fatiscente dell’altra, il che ci conferma come gli interni degli edifici rispecchino fedelmente il loro aspetto esterno. Così ce ne andiamo all’Hotel Caribbean, appena restaurato e dove una stanza tutta nuova e decorosissima ci costa 52 dollari. Restituiamo la nostra automobile, alla quale siamo riusciti a non fare nemmeno un graffio, e ci resta ancora un giorno e mezzo per vedere e capire qualcosa di più di questa città e della sua gente. Buffo : adesso il centro pullula tutto di cartelli stradali e indicatori turistici nuovi fiammanti. Ah, nel frattempo c’è stata la conferenza dei capi di stato dell’america ispanico-latina e la sera alla televisione c’è la partita (a baseball) che sancisce la nuova amicizia Cuba-Venezuela, con Castro e Chavez che si abbracciano in diretta.