Bonito il Rio Baia Bonito
Bonito, passeggiata dell'Estancia
Fernando de Noronha, sopra il mare
Fernando de Noronha, sotto il mare
Fernando de Noronha, delfino
La kaatinga
Kariri Pai Mateus
Kariri Pai Mateus
misteriori geroglifici preistorici di Inga
misteriori geroglifici preistorici di Inga
misteriori geroglifici preistorici di Inga

La prima tappa è Bonito, nuova meta del turismo ecologico internazionale, nel Mato Grosso do Sul. Arrivarci non è rapidissimo. Da Bologna a Campogrande via Madrid e San Paolo ci si impiegano 24 ore più o meno tonde. Poi da lì si prende un’auto a noleggio e ci sono ancora circa 5 ore di viaggio. Ma già la strada vale il piacere di essere fatta. Davanti a noi, terra rossa che quasi si incendia. Tutto intorno, valli e colline, macchie di bosco tropicale e pascoli verdissimi con mandrie di vacche ed emù (piccoli struzzi) selvatici. Sopra, un cielo blu spruzzato di nuvolette bianche che sembrano ciuffi di bambagia.

Bonito è una piccola cittadina schierata su tre strade parallele, dalle case basse e dall’aspetto sonnecchiante, dove ormai tutti o quasi vivono di turismo. Le due cittadine più vicine si trovano a circa cento km: qui è il regno delle grandi “estancias“, latifondi privati di migliaia di ettari. E qualche anno fa, alcuni di questi allevatori hanno scoperto di essere proprietari di splendidi ambienti naturali ancora incontaminati, si sono consociati per proporli ai turisti ed è stato il boom. Così che oggi a Bonito e dintorni l’attenzione ecologica e la preservazione dell’ambiente vengono curati come un bambino appena nato nel quale tutta la famiglia riponga ogni speranza. Ci credete che a Bonito da nessuna parte è vietato fumare, ma semplicemente da nessuna parte trovate da comprare delle sigarette?

Appena arrivati, andiamo al Balneario Municipal. Un piccolo parco di pubblico ritrovo con una sorta di grande piscina naturale che è l’ansa di un fiume dalle acque trasparenti nelle quali poter nuotare con maschera e pinne insieme a grandi pesci dalla coda gialla esplorando tronchi sommersi e radici di mangrovie. Mentre per alloggiare ci fermiamo all’Hotel Caramanchao, un posto carino dove una doppia con prima colazione per due ci costa 18 euro a notte. Il giorno seguente andiamo al Parco Baia Bonito, dove al mattino formiamo con altri quattro brasiliani una piccola squadra con la quale discendere a nuoto circa un km di fiume. Ci forniscono muta, maschera, boccaglio, sandali e giubbetto salvagente, perchè in realtà nel fiume è proibito nuotare agitando i piedi per non creare turbolenze che danneggino il fondo e la vegetazione acquatica e andiamo accompagnati da una guida. L’acqua è a dir poco cristallina e galleggiamo fra i pesci lasciandoci portare dalla debole corrente del fiume. Sembra davvero di nuotare in un sogno. Il ritorno alla base è a piedi, per uno stretto sentiero attraverso un rigoglioso bosco tropicale.

Dopo il pranzo al ristorante del parco, nel pomeriggio facciamo il “sentiero degli animali“, che però è un po’ meno naturale, perchè gli animali che vedremo sono in regime di semi-cattività, all’interno cioè di aree recintate. Ci dicono che si tratta di animali tutti tipici del Mato Grosso, ma che sono nati negli zoo del Brasile e non potrebbero più sopravvivere in regime di vera libertà, per cui lì almeno possono stare nel loro ambiente naturale. E vediamo un grosso tapiro, un paio di “lobos” (cani della prateria), alcuni cervi ed emù, diversi jacarè (alligatori di piccola taglia) apparentemente sonnecchianti nella loro laguna e un anaconda (che qui si chiama sukurì), il tutto lungo un percorso ambientale di circa tre chilometri che comunque vale il piacere di fare di per sè stesso. Ma l’incontro più emozionante è stato all’inizio della nostra passeggiata, quando proprio a lato del nostro sentiero ci siamo imbattuti in un cobra-casquavel dall’aspetto appisolato, che certamente non avrebbe dovuto starsene lì a rischiare di mordere un qualche turista e la cui presenza non ha perciò mancato di contrariare la nostra guida.

Se la sera prima avevamo cenato con carne di manzo arrostita allo spiedo da far venire le lacrime di commozione per quanto era buona, stasera proviamo un misto di pesci di fiume cucinati in varie maniere: ma non ce ne piace proprio nessuno! In compenso scopriamo che un locale di Bonito, il Tapoa, ha brevettato una sua versione di caipirinha miscelandovi miele, cannella e altre spezie che rendono così assai particolare questa autentica bevanda alcolica nazionale brasiliana.

Il giorno dopo andiamo alla Gruta Azul, una semigrotta con una discesa di 300 metri nel cuore della montagna, fra stalattiti e stalagmiti calcaree ed al cui fondo ristagna un piccolo laghetto dalle acque cristalline di colore blu cobalto. Anche qui con visita guidata, perchè a Bonito non si va da nessuna parte senza una guida che ti accompagni e anche controlli il tuo rispetto ecologico. E nota bene: tutte le visite e le escursioni vanno prenotate e pagate presso il vostro albergo o una delle apposite agenzie di Bonito, altrimenti voi vi presentate e loro vi rispediscono indietro. Poi nel pomeriggio ci facciamo il sentiero delle cascate della Estancia Mimosa, in compagnia di un’altra coppia di San Paolo. Cinque ore di escursione da incanto, percorrendo sentieri nella boscaglia, su è giù per piccole collinette, sempre a ridosso di torrenti e di cascate e cascatelle, spesso tuffandoci in acqua per andare a fare la doccia sotto una cascata e scoprirne le grotte celate alle spalle. Anche percorrendo un breve tratto di fiume su una barca a remi, immersi nella vegetazione tropicale più rigogliosa e ammutoliti nel più completo silenzio rotto soltanto dal canto degli uccelli e dal leggero sciabordio dell’acqua.

Bene, nei dintorni di Bonito ci sarebbero talmente tante opportunità di escursioni come quelle appena descritte, da poterci sicuramente stare una settimana. Mentre noi che non avevamo capito bene di cosa si trattasse realmente, abbiamo preventivato solo tre giorni e domani abbiamo l’aereo per Florianopolis e ci tocca proprio andare. A Floripa ci siamo già stati l’anno scorso, ma questa volta non ci veniamo per turismo, bensì per un Incontro Interamericano degli Insegnanti di Biodanza al quale siamo stati invitati.
Per sapere cos’è Biodanza potete vedere al sito: centrostudibiodanza.supereva.it

Restiamo quattro giorni insieme a tanti amici da tutto il Sudamerica e poi proseguiamo per Natal: un volo di qualche migliaio di chilometri, dalla costa sud a quella nord-est di questo sterminato paese. All’aeroporto di Natal troviamo posto sul volo già del mattino successivo per l’isola di Fernando de Noronha, un altro piccolo paradiso ecologico da poco uscito alla ribalta come meta turistica. Si tratta di una piccola isola di origine vulcanica, di 7 km x 2 km dispersa in mezzo all’Atlantico a 350 km dal continente, per due terzi Parco Naturale e per l’altro terzo soggetta a vincolo di protezione ambientale. Vi si trovano un paio di piccoli alberghi e poi solo piccole pousadas a conduzione familiare, per non più di 400 posti letto in tutto. E per accedervi occorre pagare una tassa di soggiorno di circa 8 euro al giorno per persona.

Ci informano che a Fernando è già quasi alta stagione turistica e non ci sarà facile trovare una camera libera e quando ci arriviamo scopriamo che in effetti è così. Scopriamo anche che qui i prezzi sono tutti decisamente più alti che “in Brasile” e che per una cameretta in una pousada semplice semplice occorre pagare almeno una ventina di euro a testa. Però per noi della “area dell’euro” si tratta pur sempre di un “caro” relativo e Fernando de Noronha è davvero un incanto. Ci restiamo cinque giorni interi, noleggiando un dune-bugy per potercela vedere tutta e meglio in completa libertà e anche comodità. Ma in realtà il modo migliore di scoprire le favolose scenografie naturali offerte dalle sue coste è poi di farsi a piedi i vari sentieri litoranei. Che dirne? Baia Sueste è la più frequentata, vi si arriva con l’unica strada asfaltata dell’isola. Ma è anche l’unica dalle acque basse e tranquille dove poter fare liberamente snorkeling ed è comunque bellissima. Ci sarebbe anche la possibilità di vedere le tartarughe di mare, ma non è facile, anche perchè il tratto di baia da loro più abitualmente frequentato è interdetto alla balneazione, così che i turisti non le importunino.

Spettacolare il volo delle fregate che volteggiano sopra le nostre teste per tuffarsi a capofitto nel mare fra i bagnanti non appena adocchiano un pesce-preda. Ed altri grandi uccelli di mare che vedremo popolare in abbondanza quest’isola sono le sterne e le sule, oltre a diverse altre varietà di uccelli più piccoli. Dalla Sueste si va, in piccole carovane guidate di massimo 25 persone in non più di quattro turni giornalieri e ad orari prestabiliti, alla Praia de Atalaya, un piccolo gioiello protetto dai guardaparco la cui prerogativa e attrazione è che durante la bassa marea si forma incastonata fra le rocce una specie di grande piscina naturale dalle acque basse e cristalline dove poter nuotare e fare snorkeling in assoluta beatitudine e sicurezza. Solo che per esigenze di preservazione ambientale, la nuotata di ogni turno di turisti è limitata a venti minuti. Anche la baia di Atalaya vista dal sentiero che vi scende dall’alto è un vero e proprio incanto e il fatto è che tutta quest’isola e le sue spiagge sono così e ce ne sono persino di ancora più suggestive ! E che dire poi del roccioso e scosceso tratto di costa antistante i due grandi scogli gemelli giustamente chiamati “dois hermaos” ? Qui un mare che assume tutte le tonalità del verde e del blu si riversa e si arrampica sulla scogliera con forti ondate dalla schiuma bianchissima e che poco più in là si sciolgono sulla spiaggie (stupende !) di Boldrò e di Bode miscelando al verde, al bianco e al blu anche il rosso della sabbia. Credo che nessun pittore potrebbe mai immaginare una simile scintillante orgia di colori e potete metterci anche il nero delle rocce laviche, le varie sfumature di giallo-verde della vegetazione e dei cactus sulla scogliera, l’azzurro del cielo e il panna traslucido delle nuvolette. Ah, sì, magari anche il colore un po’ paonazzo della vostra pelle se non vi siete abbastanza protetti dal sole, che qui è praticamente equatoriale e picchia forte senza che uno se ne accorga per via di una costante e rinfrescante brezza atlantica. E queste che ho detto non sono nemmeno tutte le baie e le spiagge di Fernando de Noronha e nessuna vale meno dell’altra.

A parte c’è invece il discorso della Baia dei Delfini, una baia cioè chiusa sia ai turisti che alle imbarcazioni perchè qui ogni mattina ci vengono a giocare centinaia di delfini “rotatori”, quelli cioè che più si divertono a prodursi in spettacolari piroette fuori dall’acqua. La vista è possibile solo dal molto in alto della scogliera e tutti ti dicono che occorre andarci poco dopo l’alba, quando i delfini vengono dal mare aperto. E noi ci siamo andati per le cinque del mattino ed è vero che a quell’ora i delfini arrivano, ma poi restano fino a mezzogiorno e non è che cambi niente andarci anche a metà mattinata ! Però la cosa migliore da fare per vedere davvero da vicinissimo i delfini è fare un’escursione turistica in barca lungo le coste dell’isola, perchè a quel punto te li trovi a nuotare e saltare e giocare tutt’intorno a te ! E nell’escursione ci metti anche lo snorkeling al largo di Baia do Sancho, con l’avvertenza però che proprio lo snorkeling è l’aspetto meno suggestivo di Fernando de Noronha, i cui fondali dicono essere strepitosi, ma necessitano di vere e proprie immersioni subacquee per offrire il meglio di sè.

Bene, torniamo a Natal e lì noleggiamo un’auto per recarci subito nel Sertao, ovvero l’immensa desertica regione del nord-est brasiliano che si apre già da un centinaio di chilometri dalla costa verso l’interno. Ma la nostra meta è molto più in là, nello stato del Paraiba, a 400 km da Natal. Si chiama Souza e nei paraggi si trovano le orme di alcuni dinosauri che hanno calcato questa terra più di 70 milioni di anni fa. La conservazione di tali impronte è un fatto rarissimo, per cui se ne conoscono pochi siti nel mondo, e detto in due parole è dovuta al fatto che il terreno argilloso sul quale camminarono quei dinosauri trovò poi le condizioni per solidificarsi rapidamente fino a diventare autentica roccia. Per arrivarci impieghiamo quasi tutta la giornata e il paesaggio attorno non potrebbe essere più brullo, selvatico e in certa misura anche deprimente. Ovunque attorno la cosiddetta “foresta bianca”, la kaatinga, fatta di piccoli e rachitici arbusti del tutto privi di foglie e di colore grigio chiaro. Sembra tutto secco e morto, ma in realtà è solo in letargo, perchè in quel breve periodo dell’anno in cui anche qui cade la pioggia, allora tutto improvvisamente diventa verde. Ma adesso persino i grandi cactus che sono la seconda forma di vita vegetale del Sertao appaiono grigiastri. E terra fine e giallo-grigia che sembra sabbia bruciata dal sole.

Ogni tanto una piccola polverosa cittadina di cui ti chiedi come sopravvivano gli abitanti e poi di nuovo il nulla. E Souza è una di queste. Giusto all’ingresso del paese hanno da poco costruito un hotel di quelli per gruppi turistici organizzati e lì decidiamo di pernottare. Ci sembra di capire che ne siamo gli unici clienti e la stanza ci costa davvero quattro soldi. Il giorno dopo alle otto del mattino siamo già al Parco dei Dinosauri e sì, le impronte ci sono e sono molto interessanti, ma ci chiediamo: valevano davvero la sfacchinata di arrivare fin qui per vederle ? Chissà, forse sì: forse un vero viaggiatore non dovrebbe nemmeno mai porsi di queste domande. Ma noi siamo pur sempre anche un po’ “semplici turisti” senza nessuna ambizione di rivaleggiare con Bruce Chatwin. Ripartiamo da Souza per un secondo lungo viaggio in auto nel Sertao, ma non per tornare sulla costa, bensì più a sud-est, nella regione del Kariri. E lungo il tragitto impariamo a “fare l’occhio” e ad apprezzare maggiormente il desertico panorama circostante: sembra strano, ma anche lui ha un suo fascino. E quando la sabbia polverosa e biancastra lascia il posto alla terra rossa del Kariri, già l’effetto è ancora migliore.

La nostra meta è la Fazenda Pai Mateus, una specie di agriturismo ecologico in mezzo ad un “niente” fatto solo di kaatinga, ammassi di granito, capre e qualche vacca destinata a mangiare assai più fichi d’india invece di erba. Siamo di nuovo nel regno degli sterminati latifondi (la Fazenda Pai Mateus è una proprietà di 12.500 ettari !), ma dove per uomini ed animali la vita è ben più grama che nel Mato Grosso. Così un bel giorno di tre anni fa il proprietario di questa fazenda scoprì che le bizzarre conformazioni date dalla natura ai grandi giacimenti di granito che si trovavano sui suoi terreni e nelle immediate adiacenze potevano attirare quella nuova strana razza di turisti cosiddetti ecologici ed amanti della natura che aveva preso a sciamare per il mondo e decise di riconvertire la propria tenuta ad hotel agrituristico. Con tanto e tale successo che dopo soli tre anni di attività il complesso è già in fase di notevole ampliamento. Perchè davvero qui ci troviamo di fronte ad un altro mondo di incredibile magia. Per certi aspetti l’esatto opposto della magia offerta da Fernando de Noronha e anche da Bonito, ma in fondo sempre la stessa magica e suggestiva bellezza che la terra e la natura riescono ad offrirci ogni volta che sappiamo amarle e rispettarle e anche un po’ temerle.

Così andiamo al Lajedo del Pai Mateus, un’emergenza di granito in cima alla quale la natura ha scolpito un vero e proprio “mare di grandi palle” di pietra più altre forme fra le più incredibili e suggestive. Qui nell’ottocento visse per cinquant’anni un eremita, appunto il “Pai” Mateus, del cui ricovero restano ancora le tracce, e davvero quando te ne stai quassù in contemplazione al tramonto credo che veramente puoi entrare in connessione mistica estatica con lo spirito dell’intero universo. E poi c’è il Saca de Là, una perfetta muraglia di lastroni di granito che pare in tutto e per tutto un frammento di mura ciclopiche e che invece vento, sole, pioggia e sabbia hanno non solo provveduto a costruire così interamente senza l’aiuto degli esseri umani, ma pure hanno dotato di una solitaria rotonda palla di granito proprio in cima, a mo’ di ciliegina sulla torta ! E poco distante il Lajedo Miguel Souza, per certi versi simile al Pai Mateus e dove qui sono state scoperte e resistono ancora alcune pitture rupestri di età preistorica. Poi c’è la straordinaria luminosità del giorno, la cui aria priva di anche minima umidità riesce ad essere di una trasparenza assoluta.

E la notte di un buio così nero da scoprire quanto ci siamo abituati a non sapere più cosa veramente sia il buio della notte. E le stelle che brillano quasi da far male agli occhi e scoprire che starsene al calore e alla luce di un ciocco che arde seduti all’aperto intorno ad un falò, semplicemente ascoltando il silenzio ed il crepitio delle fiamme, riempie il cuore più di tutte le trasmissioni televisive satellitari di questo mondo. Lungo la strada di ritorno alla costa del Rio Grande do Nord ci fermiamo ad ammirare i misteriori geroglifici preistorici incisi a bassorilievo su una roccia nei dintorni di Inga. Nessuno è ancora riuscito a decifrarli, nè a sapere chi li abbia incisi nè a quanto tempo fa esattamente risalgano: sono il rebus archeologico del Brasile. Il ritorno alla confusione, al traffico ed alla quantità di gente della regione costiera è leggermente traumatico e ci fa probabilmente malgiudicare Praia da Pipa, un posto che ci era stato invece vivamente raccomandato. Ma ci sembra di essere entrati in uno stretto, soffocante e rumoroso budello di pensioncine e di negozietti, di turisti e di automobili, e la vista degli ombrelloni che fitti fitti ricoprono tutta la piccola e affollata spiaggia è la botta definitiva che ci fa scappare immediatamente da lì, nonostante la grande stanchezza per il lungo trasferimento in auto. Un’altra ora di macchina e siamo dunque a Ponta Negra, la località balneare alle porte di Natal. Qui prendiamo una stanza al Free Willy, una simpatica ed economica pousada in prima linea sulla spiaggia, e trascorriamo piacevolmente i nostri ultimi due giorni di vacanza, senza trascurare la visita della costa a sud di Natal, caratterizzata da dune di sabbia alte come colline e da un mare dai colori sempre meravigliosi. La nostra ultima tappa è San Paolo, una mezza giornata dettata da esigenze di coincidenza con l’aereo che ci riporterà a Madrid. Qui facciamo due passi per la centrale Praça da Sè, le sue bancarelle ed i suoi negozi, sotto un cielo plumbeo ed in un’aria inquinata dal traffico che già ci aiuta a riambientarci a quanto troveremo ad attenderci a Bologna.