Se vi è successo di acquistare un vino direttamente nella cantina di origine, vi sarà sicuramente capitato di farvi raccontare da chi l’ha prodotto come ha operato nelle diverse fasi della vinificazione. In quel caso avrete sicuramente sentito la parola “malolattica”. Ultimamente se ne sente molto parlare, quasi fosse di moda (come il caso “barriques”), ma che cos’è di preciso?

La fermentazione malolattica avviene nel 70% dei vini rossi e nel 30% dei vini bianchi del mondo (dati riferibili anche all’Italia). E’ un processo di disacidificazione biologica, ma per capire questa definizione vediamo prima cosa succede in un vino quando questo la subisce. Esistono dei batteri lattici, normalmente presenti sulle uve e nelle cantine, che sono in grado di trasformare un acido presente nel vino, l’acido malico, in un altro acido molto meno aggressivo e cioè l’acido lattico, con formazione anche di prodotti accessori.

E’ per questo motivo che tale fermentazione si può definire “disacidificazione” ed è una disacidificazione biologica poiché ad operarla sono dei batteri quindi dei microrganismi viventi. Esistono anche metodi chimici per disacidificare un vino, il risultato finale sarà uguale per quanto riguarda i tenori in acidità totale ma sarà molto diverso dal punto di vista organolettico. Se si disacidifica un vino per via chimica, infatti, si andrà ad interessare l’acido tartarico facendolo precipitare. Voi capirete che questo semplice allontanamento dell’acido non comporta la formazione di prodotti accessori né tanto meno la trasformazione di un acido del vino in un acido più gradevole dal punto di vista sensoriale. Tuttavia non si può affermare in termini assoluti che la fermentazione malolattica sia un processo sempre positivo o sempre utile. In alcuni vini, infatti, non giova, anzi può risultare anche negativo.

Ogni vino è diverso e ha caratteristiche particolari, sarà quindi compito del cantiniere o dell’enologo decidere se il vino che sta vinificando dovrà subirla o meno. La moderna tecnologia enologica, infatti, è in grado sia di indurla che di inibirla qualora avvenga spontaneamente. Solitamente però si può dire che la fermentazione malolattica apporta benefici, e quindi è ricercata, nei vini rossi delle zone temperato-fredde; in questi vini è anche più facile che avvenga perché il vino rosso è un ambiente favorevole allo sviluppo e all’attività dei batteri lattici, mentre i vini bianchi non sono un substrato molto gradito agli stessi batteri, quindi è più difficile che in essa avvenga e fortunatamente è anche poco ricercata in questi vini poiché non gioverebbe. Queste affermazioni rimangono comunque di carattere generico perché per la fermentazione malolattica, come per tutte le fasi della vinificazione, è necessario da parte dell’enologo “capire” il vino che ha di fronte, e per questo è fondamentale prima di tutto conoscerlo.

Come si riconosce se la malolattica è avvenuta?

Tecnicamente, qualora la fermentazione malolattica sia avvenuta, si dice che è svolta al 90%; il 100% infatti, starebbe a significare che tutto l’acido malico è stato trasformato in acido lattico, cosa che non è possibile nella pratica perché i batteri non sono in grado di attaccarlo completamente e quindi anche nei vini che hanno finito di svolgere la fermentazione malolattica, si ritrovano sempre tracce di acido malico in quantità variabili e comunque sempre inferiori a 1g/L.

Quanto al riconoscimento di un vino a fermentazione malolattica avvenuta o meno, il mezzo più sicuro è una analisi di laboratorio. Con un’analisi del quadro acido eseguita per HPLC (strumento che effettua l’analisi per via cromatografia) si ottengono anche le quantità in g/L dei vari acidi, ma una semplice cromatografia su carta sarà sufficiente a dire a che punto è la malolattica almeno in percentuale.

Qualora non si voglia ricorrere alla consulenza esterna di un laboratorio, è comunque possibile, da alcuni accorgimenti, capire se il vino sta effettuando la fermentazione malolattica. Tanto per incominciare in inverno non è possibile che tale fermentazione avvenga, almeno spontaneamente, a causa delle temperature troppo basse che non permettono ai batteri di svilupparsi. Il vino in fermentazione si presenta lievemente torbido e anche il colore si modifica risultando meno vivo. Alla degustazione si riscontra una perdita di acidità con l’acquisizione contemporanea di una debole effervescenza, mentre a fermentazione ultimata l’aroma si trasforma, differenziandosi da quello dell’uva ed arricchendosi in sfumature e vinosità.

Per quanto riguarda i tempi da tale fermentazione bisogna dire che sono strettamente legati alla temperatura del luogo in cui avviene la fermentazione malolattica e quindi la cantina. Ma la temperatura, pur essendo quello più facilmente controllabile, non è il solo fattore limitante il processo. Essendo i batteri che lo compiono degli organismi viventi, hanno delle soglie di sopportazione e al di fuori di certi limiti nutritivi, ma soprattutto fisici e chimici del mezzo (il vino) non sopravvivono. Tali limiti sono:

TEMPERATURA minimo 10°C – massimo 35°C, ma il range ottimale è compreso tra 18 e 24°C;
ACIDITÀ non gradiscono l’acidità ma la sopportano a livelli di pH compresi tra 2,9 e 3,4 anche se l’ottimo sarebbe 4,2 – 4,8 (valori non riscontrabili nei vini);
ALCOL fino a 12% vol. lo tollerano ma se il vino è molto alcolico (e magari molto acido contemporaneamente) la malolattica è sfavorita;
ANIDRIDE SOLFOROSA sono molto sensibili all’azione di questo composto che li inibisce se si attesta a livelli di 10 mg/L di libera;
OSSIGENO si sviluppano bene in sua totale assenza ma anche qualora fosse presente non costituisce un fattore limitante.

Si comprenderà ora la quantità e la variabilità dei fattori che condizionano tale fermentazione. Solitamente, se si provoca la fermentazione malolattica con l’impiego di batteri selezionati (la tecnica oggi più diffusa) o con un taglio di un altro vino già in malolattica, effettuando l’operazione in autunno una volta finita la fermentazione alcolica, la malolattica procede rapida e si completa in pochi giorni. Se la si fa innescare quando le temperature sono già piuttosto basse, ma comunque sopra i 10°C, i batteri si sviluppano ugualmente e la fermentazione parte anche se poi la temperatura si abbassa, ma in questo caso la fermentazione procede lentamente, può durare diverse settimane o anche interrompersi per riprendere in seguito e dilungarsi così per vari mesi. Questa situazione è bene non avvenga, in quanto per avere un vino stabile bisogna favorire tutti quei processi che portano alla degradazione degli zuccheri e dell’acido malico in modo da ritenersi il vino biologicamente stabile e quindi imbottigliabile senza correre il rischio di riprese fermentative indesiderate.

Oltre alla temperatura un’altra possibile causa di interruzione della fermentazione malolattica è l’anidride solforosa che se usata in quantità troppo elevate nelle varie operazioni di vinificazione, può inibire l’attività batterica. Attualmente però si cerca di limitare sempre di più il suo utilizzo, usandola in modo complementare ad altri prodotti.

L’acido malico

L’acido malico si origina già nell’acino d’uva e la sua sintesi è legata alle condizioni meteorologiche dell’estate, al complesso suolo-microclima oltre che essere caratteristica del vitigno. La sua concentrazione nell’acino diminuisce in modo regolare e rapidamente dal momento dell’invaiatura e più lentamente in seguito. Nel vino poi mantiene questa concentrazione se il vino non subisce fermentazione malolattica, mentre diminuisce drasticamente qualora questa fermentazione dovesse avvenire.

La concentrazione in acido malico prima della fermentazione malolattica può variare molto in base a quanto detto più sopra e comunque attestarsi genericamente su valori intorno ai 3 g/L, per arrivare dopo la fermentazione malolattica a ritrovarsi nel vino solo in tracce e comunque con valori sempre e di molto inferiori a 1 g/L.