L’ultimo oggetto che fa da cornice al vino prima che esso venga consumato è il bicchiere. I primi bicchieri di cui si abbia notizia dalla storia sono adattamenti di oggetti presenti in natura, così ad esempio i Greci lo mescevano in grandi conchiglie durante le feste solenni o le cerimonie sacrificali. Egizi, Persiani e Italici utilizzavano il corno di bovino scavato, che, a suo modo, era già un manufatto evoluto.

Il vetro appare solo con i Fenici i quali, sicuramente ebbero il merito di diffonderlo e commercializzarlo, forse ne furono anche gli inventori ma non è certo. Con la conquista del Medio Oriente, i Romani conobbero l’arte vetraia della Siria e si resero conto che il vino bevuto in contenitori di vetro offriva delle sensazioni organolettiche migliori. Da allora ogni legione aggregò nei suoi ranghi un vetrarius cioè un mastro vetraio di scuola siriana che provvedeva alla fabbricazione dei bicchieri. A Roma in età pompeiana la produzione dei bicchieri raggiunse l’apogeo della tecnica e il fondo, fino ad allora piatto, diventò convesso. I bicchieri allora prodotti erano oggetti preziosi spesso tempestati di gemme rare e romperli equivaleva a una sciagura o a provocare un’offesa. Risale a quell’epoca un’usanza tramandata fino ai giorni nostri seppure con scopi diversi: il brindisi. All’epoca infatti si usava far tintinnare i bicchieri uno contro l’altro quando il bicchiere stesso era vuoto e il commensale desiderava riempirlo con altro vino: tale gesto richiamava l’attenzione del coppiere addetto alla mescita ma era anche segno di apprezzamento del vino. Oggi si brinda per altri motivi e la parola “brindisi” deriva dal tedesco bring dir’s cioè “offro a te” motto diffuso dai mercenari lanzichenecchi. La tradizione impone, per ragioni scaramantiche legate al tipico offertorio pagano, che si alzino i calici al cielo tre volte o comunque in numero dispari: il primo alla salute, il secondo al piacere, il terzo al sonno.

Molto più macabri erano i contenitori utilizzati dalle popolazioni barbariche che da alcune testimonianze e ritrovamenti archeologici pare utilizzassero fra gli altri anche la calotta cranica di scheletri umani perché sede del cervello e quindi della conoscenza.

Durante il Medioevo il tipo di bicchiere divide le classi sociali: sulle tavole di re, vescovi e monaci appare il bicchiere di vetro con stelo alto e coppa a tulipano mentre i borghesi e tutte le altre classi sociali utilizzavano un tipo di bicchiere di forma cilindrica e senza stelo la maggior parte delle volte non di vetro ma di ceramica o di legno. In ogni caso il bicchiere era ancora poco utilizzato: sulle tavole veniva condiviso da due persone e nei banchetti gli invitati lo dividevano volentieri con i propri vicini. In questo periodo poi il calice assume le caratteristiche di simbolo magico. Il più famoso è il Santo Graal che avrebbe contenuto il sangue di Cristo, rosso come il vino che secondo la classica analogia è ancor’oggi presente in tutti i culti misterici e religiosi.

Profana invece è l’origine del bicchiere, che la leggenda vuole forgiato dalla fata Morgana, che aveva la virtù di rivelare menzogne e smascherare i bugiardi. Le donne che lo utilizzavano, se avevano tradito il marito non riuscivano a bere e il vino contenuto si spargeva loro sul petto. Fu grazie ai poteri di questo bicchiere che Re Artù smascherò la tresca tra Ginevra e Lancillotto.

Fino al 1400 il bicchiere si evolve gradualmente finché i vetrai veneziani si distinsero come grandi maestri in quest’arte ed esportarono i propri prodotti in tutta Europa. I bicchieri qui prodotti erano simili a quelli attuali come forme, ma erano sempre riccamente lavorati. Venivano preferite le paste colorate poiché all’epoca la qualità del vino non era paragonabile a quella attuale e i vini serviti spesso erano torbidi. Per lo stesso motivo venivano utilizzati bicchieri di oro, argento o altri metalli: essi non sono adatti alla degustazione del vino perché i sali disciolti nel vino stesso creano delle microcorrenti tra il recipiente e la saliva di chi beve che alterano il sapore del vino. Successivamente si diffuse anche la lavorazione chiamata “façon de Venise” ovvero dei ricami a filigrana, in alcuni casi il piede del bicchiere era decorato con teste di animali, decorazioni floreali, etc…

Il predominio di Venezia sui mercati mondiali entrò però in crisi nel Settecento quando cominciò a essere prodotto e commercializzato il cristallo.

Il cristallo è un particolare tipo di vetro apprezzato per le sue caratteristiche di lucentezza, trasparenza e rifrangenza che permettono di meglio apprezzare le caratteristiche del colore dei vini. Il vetro ordinario è composto di sabbia, calce e talvolta magnesite, come fondente, nel corso della sua lavorazione, viene utilizzata la soda. Per il cristallo invece, in luogo della soda, viene utilizzato il piombo, o il potassio. Il vetro, anche quando è bianco, presenta sempre una leggera tinta verdognola che si rende sensibile quando lo spessore è accentuato, mentre nel cristallo si ha sempre una perfetta assenza di colorazione.

Negli anni della decadenza dell’arte vetraia veneziana, si affermò in Francia la famosa cristalleria Baccarat. È proprio risalente agli anni dell’assolutismo francese, la nascita della mitica coppa di champagne che la leggenda vuole modellata sulle forme del seno della marchesa di Pompadour o, secondo un’altra versione, su quello della regina Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI.

Oggi il bicchiere ha lo scopo principale di essere un adeguato contenitore per la degustazione del vino, in modo da permettere al consumatore di apprezzarne limpidezza e tonalità del colore, percepirne i profumi e infine assaporarne il contenuto. Deve essere un contorno il più discreto possibile, neutro, trasparente, incolore, senza sfaccettature o sporgenze, privo di motivi ornamentali.

Per quanto riguarda la materia prima indubbiamente i migliori sono i bicchieri di cristallo (contenente quantità di piombo variabili tra il 24 e il 36%) ma è accettabile anche il cosiddetto “mezzo cristallo” (qui la quantità di piombo è inferiore e solitamente pari al 9%). Il vetro è sconsigliabile per lo meno per quanto riguarda i vini di qualità.

La produzione, che un tempo consisteva nella soffiatura a mano, oggi viene effettuata con appositi stampi eseguendo la soffiatura in modo automatico.

Le forme sono svariate e rispondono alle esigenze di degustazione a seconda del vino che si va a servire. Esiste comunque un bicchiere normalizzato con forma e dimensioni definite, noto come bicchiere da degustazione tipo ISO: viene utilizzato nelle degustazioni professionali per qualsiasi tipo di vino poiché consente di apprezzarne pregi e difetti in ogni caso, ma qualora si degusti a scopo edonistico, va scelto il bicchiere più adatto di vino in vino.

Il calice è sicuramente la forma più razionale per il bicchiere da vino e di esso ne esistono infinite varianti: permette di non toccare con la mano la superficie direttamente a contatto con il vino cosa che trasmetterebbe più o meno involontariamente un certo riscaldamento al vino stesso e inoltre dà la possibilità di effettuare un movimento di rotazione del bicchiere su se stesso per ossigenare il vino.

Esistono alcune regole generali circa la scelta del bicchiere: l’impugnatura del gambo deve essere lunga nel caso di vini bianchi proprio per evitare che il calore della mano influenzi la temperatura del vino, per vini rossi e corposi invece il gambo può essere più corto poiché in certi casi il tepore delle dita può influire positivamente sulla liberazione degli aromi. Il vino con alto tenore di acidità invece va bevuto in calici a forma di mela, larghi alla base e stretti alla sommità.

Il tulipano non lascia disperdere aromi e profumi, trattenendoli il tempo necessario per farli apprezzare a chi degusta, è indicato per vini bianchi da aperitivo, da antipasto o da pesce.

La flûte va utilizzata per i vini spumanti secchi. Tale bicchiere consente di apprezzare schiuma e perlage; per questi vini non è necessaria la rotazione del bicchiere per apprezzarne il bouquet. Per gli spumanti dolci o aromatici si utilizza invece la coppa.

Il calice alto e slanciato va utilizzato per i vini bianchi sapidi, i novelli e i vini rossi giovani mentre per i vini rosati si utilizzano calici leggermente svasati e per i rossi corposi e importanti il ballon, calice molto grande e panciuto.

Per i vini particolari quali Sherry e Porto si utilizza la tradizionale copita, bicchiere a tulipano di piccolo formato con l’imboccatura ristretta. Questo tipo di bicchiere può essere utilizzato anche per altri vini come ad esempio i passiti.

La grappa si beve nel classico piccolo calice rotondo alla base e cilindrico all’imboccatura, mentre altri distillati quali il cognac vanno bevuti nel napoléon, largo e panciuto con stelo corto tale da poter essere trattenuto fra le dita. Il bicchiere va sempre riempito al massimo fino ai due terzi della sua capacità per mantenere a lungo racchiuso il profumo, il quale si sprigiona poi gradatamente.

A tavola i bicchieri vanno posti alla destra del commensale in ordine di altezza decrescente da sinistra verso destra. Si possono utilizzare tutti i bicchieri previsti dagli abbinamenti del menu o si può ridurre il loro numero a due: uno per l’acqua a tumbler (senza stelo) e uno a calice per il vino che va cambiato ogni volta che si cambia tipo di vino.

I bicchieri vanno poi lavati accuratamente con detersivi neutri e sciacquati abbondantemente con acqua calda. Vanno poi asciugati con strofinacci che non lascino pelurie sul bicchiere (i migliori sono quelli in misto lino-cotone). Vanno poi conservati in mobili o scaffali ben puliti e inodori, prima dell’utilizzo è poi bene avvinarli.

La pulizia del bicchiere è molto importante, qualora non fosse condotta in modo adeguato il bicchiere potrebbe trasmettere al vino odori o sapori sgradevoli. L’odore di petrolio potrebbe derivare da bicchieri lavati con detergenti sbagliati o qualora fossero stati mal risciacquati. L’odore acre può essere dato dalla biancheria da cucina, mentre l’odore di cera o carta asciutta può derivare dal luogo in cui i bicchieri sono sistemati e a seguito di lunga inutilizzazione si può anche ingenerare odore di legno o di polvere.

Con la collaborazione di Maurizio Mazzoglio di Arte & Vino