Nell’immaginario collettivo il vino che proviene dalla botte di legno è, per motivi essenzialmente legati alla storia, migliore rispetto agli altri. Un tempo, la varietà di materiali che oggi abbiamo a disposizione, si riduceva alla creta e al legno appunto. Le botti di legno venivano utilizzate per trasportare il vino dalle cantine ai luoghi di consumo, nell’età dei comuni esistevano le corporazioni che riunivano i mastri bottai (Firenze, 1280)… ma anche se la botte di legno rievoca queste immagini che danno al vino quel tocco pittoresco tanto amato, non è detto che dalla botte escano solo e sempre grandi vini, poiché questi possono nascere solo in vigneto e in un secondo momento con un buon lavoro di cantina.

Su alcuni vini poi il contenitore di legno può determinare un’evoluzione organolettica positiva con risultati eccellenti e altrimenti impensabili ma sull’utilizzo di questo “strumento enologico” non bisogna generalizzare. Per capire meglio le problematiche relative all’uso e all’abuso delle botti di legno, analizziamo la storia e la diffusione di questo contenitore e andiamo a scoprire l’arte del bottaio.

STORIA

Se pensiamo alla botte di legno e vogliamo abbinarla ad un’immagine legata ai tempi antichi, ci verrà subito in mente la figura di Diogene (413 – 323 a.C.), filosofo sostenitore dell’abolizione del superfluo, che viveva proprio in una botte di legno. Ma la botte ha origini più antiche: un dipinto risalente al 2700 a.C., rinvenuto in una tomba egizia, raffigurava già il mestiere del bottaio. Se la nascita della botte si ebbe presso le civiltà mediterranee, la sua diffusione fu piuttosto vasta e quasi sicuramente favorita dagli scambi commerciali con i popoli barbari.

Le prime botti erano ottenute semplicemente scavando internamente pezzi di tronco, successivamente apparvero le doghe che per costituire il recipiente venivano tenute insieme da cerchi di legno. Le prime botti così costruite avevano forma tronco-conica e quindi non erano agevoli per i trasporti, nacque allora l’idea di realizzarle nella forma “panciuta” che siamo abituati a vedere ancora oggi.

L’impiego dei metalli per la cerchiatura arrivò solo in un secondo momento per motivi di costi elevati e perché i cerchi di legno erano molto resistenti e competitivi anche dal punto di vista tecnico nei confronti di altri materiali.

Nei secoli il legno assume quindi un ruolo primario e diventa un simbolo indissolubilmente legato al vino. Nel corso del XX secolo questo suo predominio vacilla incalzato dall’introduzione di nuovi materiali in cantina: prima di tutti arriva il cemento, economico e semplice da realizzare, seguono il ferro smaltato, il vetroresina e l’acciaio inossidabile asettico, razionale e pulito. Intorno agli anni ’70 troviamo da una parte alcuni produttori che tentano di innescare una tendenza che punta al ritorno alle tradizioni, e dall’altra parte studi scientifici che impongono per il vino contenitori in materiali inerti.

Fu proprio in questa fase che la maggior parte dei bottai scomparve e da allora ne sono rimasti pochissimi che però oggi sono molto richiesti e in frenetica attività, grazie alla rivalutazione del legno in campo enologico avvenuta negli anni ’90, anche se, come sempre avviene nei fenomeni di riflusso, qualche esagerazione in questo campo non si può negare.

L’ARTE DEL BOTTAIO

Il lavoro del bottaio inizia nei boschi dove il suo occhio esperto ricerca il materiale e l’essenza più adatti per la produzione tenendo conto delle esigenze della clientela e avendo la cura di scegliere le partite di legname più adatte, prive di difetti fisici e di malattie.

Un tempo, per motivi di economia e facile reperibilità, le botti venivano costruite utilizzando il legname disponibile in loco, per cui è pensabile che siano state sperimentate le essenze più varie e quindi che quelle ancor oggi utilizzate siano quelle risultate migliori. Oggi infatti si parla quasi esclusivamente di rovere. Vi sono due specie utilizzate per la produzione delle botti: la Quercus sessilis e la Quercus robur, entrambe diffuse in tutta l’Europa centro settentrionale e simili tra loro. Oltre all’essenza, anche la provenienza è importante e la Slavonia per il rovere è la più nota e blasonata. Nei paesi cosiddetti della “nuova viticoltura”, dove forse la sperimentazione è più praticata perché non si hanno “vincoli storici”, occasionalmente vengono utilizzate anche altre essenze come l’abete di Douglas, utilizzato negli Stati Uniti per la costruzione di tini, la sequoia, utilizzata in California per recipienti di grande capacità e l’eucalipto, utilizzato in Australia.

Nella “bottega” del bottaio la tecnica costruttiva si è affinata nel tempo ma, a parte alcuni utensili che sono stati sostituiti da macchine per facilitare e velocizzare il lavoro, concettualmente questo non differisce molto dal passato e assume ancora oggi dimensioni di industria artigianale.
Il taglio delle doghe è la prima operazione effettuata per la creazione di una botte e viene effettuata in modo diverso a seconda del tipo di contenitore che si vuole ottenere, infatti i contenitori di legno possono essere di diverso tipo a seconda del loro principale utilizzo e delle loro dimensioni. Distinguiamo come tipologia botti e tini ma essendo quest’ultima tipologia di contenitore sempre meno diffusa e utilizzata, ci soffermeremo solo sulle botti. Quelle a fondo rotondo sono le più comuni perché semplici da costruire e agevoli negli spostamenti, ma abbiamo anche botti a fondo ellittico, più costose per la più difficile realizzazione, queste, accanto a un certo fascino estetico a volte preferito, hanno sì vantaggi sul risultato complessivo della limpidezza del vino, ma anche svantaggi che riguardano per lo più la sfera “tecnica” della manutenzione.

La differenza nel tipo di botte che influenza il taglio delle doghe è la capacità della botte stessa. Per botti grandi (7-10 hl) si utilizzano doghe segate, per le botti più piccole o barriques (225-350 l) si utilizzano doghe a spacco, più costose poiché il metodo per ottenerle è molto oneroso ma migliori perché meno porose, o doghe segate di quarto, più economiche ma con porosità più elevata.
Le doghe così ottenute vanno incontro a un periodo di stagionatura che va dai 18 mesi, per le doghe più sottili, a 4 – 5 anni per quelle più spesse. Questa fase ha lo scopo di depurare il legno da sostanze che potrebbero essere dannose sul contenuto nel futuro.
Prima di passare all’assemblaggio, le doghe vengono selezionate, scartando il materiale difettoso o tagliato in modo non preciso perché la perfetta aderenza tra doga e doga è determinante ed è l’unico elemento su cui può contare la tenuta della botte.

Le doghe adatte vengono sottoposte a curvatura che può essere effettuata con trattamento a vapore, a fuoco o spesso con le due tecniche abbinate. Il metodo che utilizza il fuoco è tuttavia il più antico e prevede che le doghe vengano fissate in alto con alcuni cerchi provvisori e alla base interna si inserisce un braciere. All’estremità senza cerchi si applica una fune d’acciaio che, mentre il fuoco plasma il legno, viene stretta lentamente fino a far combaciare le doghe.

La tostatura è la fase successiva e consiste in 5 – 15 minuti aggiuntivi ai normali tempi di piegatura delle doghe grazie ai quali pare si abbia un maggior rilascio iniziale di sostanze estrattive.
Si arriva così all’assemblaggio della botte: i cerchi provvisori vengono sostituiti con quelli definitivi, fissati battendo con martello o mazza e punzone; i fondi vengono piallati, rifiniti e inseriti al fondo delle doghe. Le botti così assemblate vengono lisciate e levigate esternamente, mentre all’interno, le botti piccole non vengono ritoccate per salvaguardare la tostatura, quelle grandi invece vengono levigate per facilitare le future pulizie interne.

Su richiesta, eventualmente, si può procedere a verniciatura della zona periferica del fondo. Tradizionalmente si usano il rosso per i vini rossi, il verde per i bianche e il blu per i passiti e i vini liquorosi. Infine vengono applicati accessori quali portelle, valvole, etc…
Prima che le botti vengano immesse sul mercato, viene fatto un collaudo riempiendo la botte d’acqua per verificarne la tenuta e la capacità.

CONSERVAZIONE DEL VINO IN LEGNO

L’importanza della conservazione del vino nel legno è legata alla cessione di numerosi costituenti da parte del legno al vino e alla lenta e graduale microssigenazione dei costituenti del vino possibile grazie alla porosità naturale del legno. Tra contenitore e contenuto quindi si instaurano svariate interazioni che determinano cambiamenti sostanziali su entrambi, cambiamenti che sono piuttosto intensi e occasionalmente anche negativi. La molteplicità dei fattori tra loro interagenti infatti, rendono difficile prevedere l’effetto che un determinato tipo di legno possa produrre su un determinato vino. L’utilizzo delle botti o delle barriques è razionale quando viene compiuto da tecnici competenti che individuano i parametri più opportuni (rapporto superficie/volume, tempi di affinamento) prendendo in considerazione ogni singolo vino in ogni singola annata, e individuando le soluzioni migliori in modo obiettivo basandosi su esperienza, ricerca e sperimentazione.

In genere è razionale pensare di effettuare dei tagli con vini provenienti da botti di età diversa per uniformare il prodotto e, per quanto riguarda i tempi di affinamento, si parlerà di mesi nel caso di piccoli contenitori e di qualche anno per i vini rossi importanti invecchiati in grandi botti di rovere (come d’altronde previsto nei disciplinari).

PRINCIPALI IMPIEGHI DELLE BOTTI DI LEGNO

La botte di legno è, tra i vari tipi di contenitori impiegati in cantina, il più costoso ed è per questo che viene destinata a impieghi specifici. In Francia e in Germania soprattutto (ma la pratica si sta diffondendo anche in Italia) vengono utilizzate le barriques per la fermentazione dei vini bianchi allo scopo di ottenere un fine gusto boisè equilibrato perché non tannico.

Sempre la barriques viene utilizzata per il classico passaggio, della durata di qualche mese, che vini sia bianche che rossi non da invecchiamento subiscono per ambire ai massimi livelli qualitativi.
Le botti di grande capacità vengono invece normalmente utilizzate per l’invecchiamento dei grandi vini rossi. È infatti con i lenti fenomeni di microssigenazione che i tannini di questi vini possono evolversi smorzando la giovanile spigolosità per raggiungere caratteristiche finali di ricchezza aromatica e armonia altrimenti impensabili. Anche i vini liquorosi e i passiti vengono conservati in botti di legno per beneficiare dell’importante funzione di cessione controllata di ossigeno. Qui le botti ideali sono quelle che cedono poco colore.

Oltre al vino, un’ampia gamma di bevande viene invecchiata in botti di legno, ricordiamo i distillati (grappa, cognac, whisky, etc…) dove gli apporti del legno sono indispensabili sia per il colore che per i sapori conferiti e sono indice diretto della qualità, e gli aceti, sia comuni che balsamici, questi ultimi soprattutto poiché i disciplinari prevedono l’invecchiamento in botte per 12 anni. In questi casi le essenze utilizzate non si limitano al rovere ma spaziano dal castagno, al ciliegio o al mandorlo per i distillati e dal gelso al ginepro per gli aceti, per fare alcuni esempi.

Il tema dell’utilizzo delle botti di legno in enologia è molto ampio e complesso. Le sostanze che il legno cede al vino, infatti, responsabili della caratteristica nota boisè o legnosa, talvolta danno vini eccellenti, talvolta sgradevoli, che magari riescono a mascherare (forse) dei difetti, ma che spesso coprono profumi, livellando così la qualità verso un gusto di legno, anche gradevole, ma non di certo tipico.
Si spera qui di aver dato alcune delle più importanti informazioni a riguardo e di aver sfatato alcuni luoghi comuni, nella speranza che il consumatore arrivi ad apprezzare il vino per le sue caratteristiche intrinseche e non perché “è stato passato nel legno”.