L’ampelografia è una scienza, branca della viticoltura, che studia le caratteristiche delle varietà di viti coltivate allo scopo di identificarle e classificarle. Il nome deriva da “ampelos” (= le viti) e “grapho” (= (de)scrivo) cioè descrizione delle viti, e come scienza si impose solo a partire dal XIX secolo anche se ha origini ben più antiche.
Già nel I secolo d.C. autori quali Columella, Plinio e Virgilio, nei loro scritti davano nozioni ampelografiche legate per lo più al giudizio di produttività e qualità del vino, con citazioni a proposito di alcuni caratteri morfologici delle piante quali soprattutto il colore delle bacche o le attitudini colturali delle stesse in terreni di tipo diverso. Ancora non si conosceva la genetica e quindi non si aveva conferma del fatto che i caratteri varietali si ripetono nella discendenza di uno stesso vitigno propagato agamicamente, punto fondamentale per lo sviluppo degli studi ampelografici successivi. Questi infatti presuppongono la stabilità della cultivar a mantenere inalterate nella discendenza attitudini agronomiche e tecnologiche, comportamento fenologico e aspetto morfologico nella misura in cui l’ambiente lo consente. Ciò è appunto possibile per questioni genetiche di fissità dei caratteri, all’epoca sconosciute.
Risalenti al periodo intercorrente tra il Basso Medioevo e il Rinascimento sono gli scritti di Piero De Crescenzi che presenta un esame sommario dei principali vitigni coltivati in Italia indicando alcune caratteristiche morfologiche che facilitano l’identificazione delle differenti varietà. Nei secoli successivi vanno moltiplicandosi anche le notizie sui vitigni coltivati nei paesi europei pur non assumendo, l’ampelografia, le caratteristiche di una disciplina con metodiche proprie. Risalgono al Cinquecento le informazioni sui vini d’Italia fornite dai testi di Andrea Bacci e sono del Seicento i dipinti di Bartolomeo Bimbi, pittore della corte medicea, raffiguranti, con elevata cura dei particolari, le uve provenienti da diversi vitigni.
Nel XVIII secolo con l’Illuminismo e le prime classificazioni botaniche della scuola linneana, inizia il lento cammino dell’ampelografia verso il riconoscimento della sua dignità di scienza che arriva all’inizio dell’800 accompagnato dagli studi genetici sulla teoria della fissità dei caratteri.
Nel 1872 viene istituita la Prima Commissione Ampelografia Internazionale con lo scopo di coordinare i lavori dei vari Paesi nella preparazione di un catalogo ampelografico generale. In questo periodo determinanti furono gli studi prima di Acerbi e poi di Ravaz.
Con la ricostruzione post-fillosserica cresce l’interesse nel conoscere attitudini agronomiche e produttive delle diverse cultivar sia per operare scelte appropriate finalizzate al conseguimento dei risultati agronomici auspicati, sia per verificare da parte di viticoltori quanto acquistato presso i vivaisti sulla base della conoscenza dei caratteri distintivi delle varietà.
Oggi la descrizione di un vitigno viene fatta attraverso le schede ampelografiche approvate dall’O.I.V. (Office International de la Vigne et du Vin) che evidenziano per ogni varietà nome ed eventuali sinonimi, caratteristiche morfologiche e vegetative, attitudini colturali, terreni idonei alla coltura.
Attualmente stiamo assistendo in Italia ad una nuova tendenza che si discosta dal concetto di globalizzazione (cioè poche varietà largamente diffuse a livello internazionale capaci per meriti agronomici di garantire reddito elevato e costante), concetto che induce ad un appiattimento del gusto del prodotto vino su poche caratteristiche ritenute di pregio. I rischi di questo potenziale impoverimento anche culturale, vengono fronteggiati dal concetto di biodiversità e dalla riscoperta del patrimonio varietale territoriale. L’ampelografia in questo senso svolge un ruolo fondamentale perché ha il compito di salvaguardare e recuperare vitigni minori che possono contribuire a integrare e migliorare le caratteristiche organolettiche dei nostri vini.