Forse non tutti sanno che l’opera di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1571-1610), che oggi conosce una fama e un successo quasi impensabili rispetto ad altri artisti, conobbe lo sfavore della critica classicista del suo tempo e poi il silenzio fino al 1951 quando, in occasione di una mostra sul pittore e i suoi seguaci, l’attenzione di pubblico e critica si rivolsero nuovamente verso di lui. Venne così riaperto il capitolo sull’artista analizzandone in termini nuovi il catalogo e le vicende biografiche, individuando e raggruppando una serie di opere fino ad allora sconosciute.

Intrecciando all’analisi dell’artista quella dell’uomo, la critica ha contribuito a dar vita all’immagine di Caravaggio come un pittore ribelle, il prototipo dell’ artista maledetto; la tormentata odissea della sue esistenza fa da sfondo al carattere rivoluzionario della sua arte, polemica rispetto alla tradizione stilistica precedente. La sue opere hanno segnato una delle poche, radicali rivoluzioni nella storia dell’arte; le sue figure classiche mostrano un evidente carattere naturista nella scelta degli oggetti e il particolare luminismo, ottenuto da giochi di luce che movimentano il soggetto, sintetizza tutta l’umanità e il realismo della sua arte, alla quale si ispirarono i più grandi esponenti della pittura europea successiva.

L’uva e il vino hanno uno spazio molto cospicuo nell’attività di Caravaggio soprattutto nelle opere giovanili, d’altronde sappiamo che l’artista conosceva bene la realtà delle taverne e delle locande che in più di un’occasione fecero da sfondo alle sue intemperanze.

Allora ventenne, e maggiormente sensibile all’aspetto e alla tattilità delle cose del mondo, coglieva inaspettati dettagli che sfavillavano poi nelle sue opere: la densità di fiori e frutti, tanto più squisitamente veri per essere acerbi piuttosto che appassiti, il loro colore, il gioco della luce sul vino, la trasparenza di bicchieri e caraffe. Il senso indiscriminato del reale era rivoluzionario così come il soggetto; fu Caravaggio infatti ad inventare la natura morta, sconosciuta fino ad allora in Italia e che ben presto divenne un esempio trascinante e un genere pittorico indipendente. L’uva assume qui una autonoma dignità come soggetto dell’arte ed è l’indiscussa protagonista delle tavole imbandite nelle tele destinate al collezionismo privato.

Tra le opere giovanili di Caravaggio ritroviamo anche due raffigurazioni del dio del vino. Cronologicamente la prima delle due a essere stata realizzata è il Bacchino malato eseguito intorno al 1593. Questo titolo è stato attribuito all’opera in epoca relativamente recente, nelle fonti più antiche infatti era indicato solo come generica figura di ragazzo, poi come Satiro con grappolo d’uva. Mostra, dietro una tavola verde opaca, un giovane seminudo accovacciato. Il taglio compositivo dell’opera sottolinea la torsione della testa del soggetto verso lo spettatore; rendendo ancora più intenso lo sguardo di Bacco che non fissa chi lo guarda, ma è perso nel vuoto e scivola verso il basso in una disperata stanchezza. Nella composizione non è presente il vino ma la veste che cade dalla spalla legata in vita con la fascia bruna, le foglie d’edera tra i capelli e il grappolo d’uva in mano, inviano un chiaro messaggio di classicità.

La sfumatura bluastra delle labbra e delle occhiaie e i riflessi pallidi dell’incarnato non mantengono la promessa bacchica di abbandono ma suggeriscono accenni di fame, vulnerabilità e malattia sottolineati dalle tenebre circostanti, dalla spoglia tavola e dalla povertà dei frutti. I lineamenti di questo Bacco sono stati riconosciuti come l’autoritratto di Caravaggio risalente a un periodo di malattia in cui l’artista dovette ricoverarsi presso l’Ospedale della Consolazione, e come ci riferiscono alcuni dei suoi biografi “ fece alcuni quadretti da lui nello specchio ritratti” e ancora “ riuscendogli troppo dispendioso il modello, senza il quale non sapeva dipingere“.

Splendidi motivi di nature morte caratterizzano questa come anche altre tra le primissime opere di Caravaggio: pare infatti che inizialmente dipingesse fiori e frutti, non come nature morte in quanto tali, ma come elementi accessori alle figure. Appoggiati su un angolo della tavola, troviamo un piccolo grappolo di uva nera e due pesche dall’aspetto durissimo e aspro. L’uva che tiene in mano invece il Bacco, ha acini piccoli e irregolari alcuni troppo maturi, altri già appassiti e alcuni piccioli secchi mostrano che altri ancora sono già caduti. I colori vanno dal dorato traslucido al giallo brillante, dal verde azzurro opaco delle macchioline di muffa al marrone degli acini marci: sembra quasi il ritratto di gruppo di una famiglia povera. Il dualismo di uva bianca e uva nera, simboli rispettivamente di resurrezione e di morte, crea poi un senso di ambiguità fra elementi sacri e soggetto profano.

Tutta la prima produzione dell’artista è stata letta come allegoria dei sensi con il preciso intento di portare a un tono più terreno e reale, soggetti solitamente trattati in toni sublimi e idealizzati; la rappresentazione del dio del vino come malato, è infatti prendersi gioco del mondo delle antiche divinità ed è spunto per una riflessione dell’arte su se stessa perché gli dei, contrariamente ai modelli che posano per i ritratti, non possono ammalarsi.

Il Bacco , successivo e probabilmente eseguito tra il 1596 e il 1597, è considerato da alcuni critici come l’opera che apre la fase matura del pittore. Rappresenta un giovane che porge allo spettatore un bicchiere di vino mentre è appoggiato con il gomito su un letto vicino a un tavolo sul quale si trovano una caraffa di vino e un cesto di frutta. Tra i capelli neri sfoggia un’elaborata composizione di grappoli d’uva e foglie di vite , mentre con la mano sinistra regge una larga coppa di vino e con la destra infila le dita nel fiocco nero che lega la veste che indossa. Il viso e le mani paonazze sono in contrasto con il pallore del resto del corpo, le palpebre pesanti e lo sguardo appannato possono far supporre che il modello avesse bevuto veramente il vino di scena, le bollicine sulla superficie del liquido contenuto nella caraffa indicano infatti che non doveva essere passato molto tempo dall’ultima volta che era stato versato e la mano malferma genera increspature sul velo superficiale del vino nella coppa.

L’espressione torpida del volto, appena accennata nello scarto della testa, è forse l’unico elemento di contatto emozionale posto con lo spettatore mentre il gesto di offrire il calice ha più un carattere simbolico a metà strada tra l’iconografia dionisiaca classica e quella del Cristo redentore.

Rispetto al Bacchino malato questo Bacco attinge un maggior equilibrio stilistico che si estrinseca soprattutto nell’uso del colore. La rievocazione della divinità pagana, alla quale si riferiscono in modo palese gli elementi della composizione, avviene in un’atmosfera di luminosa chiarezza che è un’osservazione realistica del modello, dalle guance paonazze alle unghie sporche, ai particolari della natura morta. I frutti colpiscono per la loro perfetta riproduzione, alcuni sono guasti ed è difficile che si tratti di un caso anche se i segni del passare del tempo non si confanno all’antico dio del vino. Quindi accanto a questa fedeltà al vero emerge comunque una spinta idealizzante che si risolve nel riferimento alla statuaria classica non per interpretarne il tema mitologico ma, come per il Bacchino malato, per prendersene gioco.

I critici si dividono su chi fosse il modello che ha posato per quest’opera. I più riconoscono anche qui, nei lineamenti del giovane, l’autoritratto dell’autore; ad avvalorare questa ipotesi sarebbe l’uso della mano sinistra con cui Bacco porge la coppa di vino evidentemente risultante dall’uso di specchi. L’ipotesi più affascinante, e in ogni caso verosimile quanto la prima, suggerisce che il modello fosse Mario Minniti, collega e amico dell’artista utilizzato come modello in molte altre opere giovanili del Caravaggio. Chi sostiene quest’ipotesi dice di vedere una sorta di firma dell’autore nell’angolo inferiore sinistro del dipinto. Sull’orlo estremo della pancia della caraffa si vedrebbe una miniatura dell’artista in piedi di fronte alla tela con abiti scuri e colletto bianco e una folta massa di capelli neri.

I dipinti di Caravaggio in genere mettono di fronte lo spettatore alla realtà intima della vita individuale i cui significati personali però sfuggono, raramente le opere più tarde dell’artista avranno una corrispondenza così stretta con le vicende personali; queste infatti sono tra le poche opere che Caravaggio dipinse unicamente per sé, senza che nessun cliente gli facesse pressione.

Bacchino malato è oggi custodito presso la Galleria Borghese a Roma mentre il Bacco può essere ammirato presso gli Uffizi di Firenze.