In Egitto, la coltivazione della vite ebbe origine con il diffondersi delle civiltà agricole.
Il nucleo originale dell’agricoltura si trova sulle rive del Mediterraneo orientale e risale all’8000 a.C. Mille anni più tardi l’agricoltura era già avanzata verso occidente fino all’Anatolia meridionale e a oriente lungo il corso del Tigri fino al golfo Persico; verso il 6000 a.C. raggiunse l’Europa balcanica a ovest e la Mesopotamia a est.

In realtà l’agricoltura non ebbe questo unico centro di origine, ma si possono contare altre tre aree in cui, più o meno nello stesso periodo, seppur con modalità differenti e in modo totalmente autonomo, si sono sviluppate delle civiltà agricole. Queste tre aree corrispondono all’America centrale e andina, alla zona compresa tra la Thailandia e il Vietnam e alla Cina settentrionale. In queste zone la coltura della vite o non esisteva o non era certamente una delle colture principali per problemi sia climatici ma anche e soprattutto perché le possibili varietà di viti presenti non erano atte a produrre vino.

Nell’area del Nilo la naturale fertilità del terreno, consentì alle popolazioni indigene di continuare a vivere di raccolta così che l’agricoltura iniziò a svilupparsi solo verso il 5000 a.C. Pitture parietali egiziane, risalenti all’epoca imperiale, mostrano scene agricole quali la battitura del grano e la raccolta e pigiatura dell’uva. Le coltivazioni dei cereali e della vite non furono ugualmente diffuse nell’antico Egitto. La prima, che è di gran lunga la più antica, fu la coltura tipica della lunga oasi egiziana che sorse sulle rive del Nilo e costituiva il cardine dell’agricoltura e dell’economia. La seconda, introdotta più tardi, rimase una coltura specializzata ed era limitata a poche aree presso il delta, così come analogo destino ebbe la coltivazione dell’ulivo. Per millenni i rapporti commerciali tra l’Egitto e i popoli che si affacciavano sul Mediterraneo orientale, furono caratterizzati dallo scambio di grano contro vino e olio; dapprima furono i mercanti cretesi a gestire questo lucroso commercio, poi fu la volta dei fenici e infine delle città greche.

Intorno al 500 a.C. la diffusione dell’ellenismo e, successivamente la dominazione romana, determinarono lo sviluppo di tecnologie consimili nelle tre regioni del Mediterraneo. I progressi tecnologici risalenti a questo periodo dipesero interamente dai metodi di lavoro poiché non furono impiegate nuove materie prime. Nel campo dell’agricoltura la coclea di Archimede costituiva un utile progresso per l’irrigazione dei campi, mentre nel campo dell’enologia si registrano dei miglioramenti nella fabbricazione dei torchi da vino che vennero perfezionati sfruttando il principio della leva, della carrucola e del verricello.

Nei primi anni dopo Cristo, fin verso il 500 a.C., la città di Alessandria, l’esercito e il governo egiziani parteciparono pienamente allo sviluppo dell’Impero Romano ma lo spirito creativo era ormai decaduto e perciò non si registrarono in questo periodo significativi progressi tecnologici. Ciò che della tradizione locale rimase attraverso i secoli fu ben presto eliminato dalla conquista musulmana del 634. Il Nord Africa infatti è un’area in cui le questioni religiose e il dominio straniero hanno giocato a lungo, e per secoli, una parte importante anche per l’economia. L’islamismo aveva condotto la popolazione a negarsi il vino ma, come si può constatare dalla storia della Spagna, gli Arabi non erano stati inflessibili proibizionisti. Tuttavia in nell’area nordafricana, solo il Marocco si può dire che abbia conservato una tendenza alla viticoltura nazionale, indipendente e uniforme.