Il settore e’ interessante perche’ il fatturato complessivo e’ di 7,8 milioni di euro, con 25mila forni artigianali, 150 industriali e 3.120.000 tonnellate di pane prodotto ogni anno. L’80% degli italiani mangia pane ogni giorno, circa 120 grammi, e il 72,7% lo compra dal fornaio. Pero’ che pane mangiamo? Il pane comune e’ prodotto con farina, lievito, acqua e sale ma e’ via via sostituito dal pane speciale. Basta aggiungere un ingrediente per far diventare speciale il pane comune, con relativo aumento del prezzo. Si puo’, infatti, aggiungere strutto, burro, olio d’oliva, uva, fichi, origano, cumino, sesamo, olive, latte, glutine, saccarosio e malto. La farina puo’ essere di grano tenero o duro (cioe’ semola, quella usata per la pasta). Ovviamente la qualita’ dipende dai componenti, ad iniziare dalla farina. La lievitazione puo’ essere accelerata o naturale ed anche questo influisce sulla qualita’. Si possono avere pani parzialmente cotti, pani surgelati e pani a lunga conservazione. Questi ultimi, per esempio il pane in cassetta, possono essere addizionati con grassi per mantenere la morbidezza, con conservanti (E282 propionato di calcio), antiossidanti (E300, acido ascorbico), emulsionanti (E472 esteri acetil tartarici), ecc. L’elenco degli ingredienti e degli additivi deve essere riportato in etichetta o, nel caso del pane venduto sfuso, deve essere affisso un cartello da esporre nei negozi di vendita.

Il nostro consiglio e’ di evitare di acquistare il pane a lunga conservazione: non si capisce perche’ dovremmo ingurgitare anche gli additivi in un prodotto che puo’ essere acquistato fresco e ogni giorno e, visto che il pane si fa con la farina, e’ bene chiedere al nostro fornaio qual’e’ il valore di W (indice di panificazione) che dovrebbe essere superiore a 350. Considerato che siamo tutti un po’ sopra di chili e’ da preferire il pane comune a quello speciale per evitare ulteriori apporti calorici. Quanto al gusto ognuno fa per se’ ma se s’individua una buona panetteria e’ bene premiare la qualita’: le nostre scelte determinano il mercato.

Un tempo si diceva “buono come il pane”, per indicare un alimento nutriente, profumato e gustoso. Oggi spesso i consumatori masticano qualcosa che assomiglia ad un prodotto gommoso e privo di sapore. C’e’ pane e pane, ovviamente, e questo dipende dalla qualita’ del prodotto base, cioe’ dalla farina, dall’acqua e dal lievito, nonche’ dalla macinazione, lievitazione e cottura. Una farina con scarso glutine e’ di minore qualita’, il lievito puo’ essere chimico e puo’ lasciare un sapore sgradevole al pane, l’acqua di pianura puo’ contenere residui chimici che interferiscono con il gusto, il macinato dovrebbe essere lasciato maturare per un mese ma viene trattato con “maturanti” chimici che ne diminuiscono la qualita’, la lievitazione forzata da’ luogo a odori sgradevoli, una cattiva cottura produce un pane di color chiaro decisamente meno saporito di uno scuro. Insomma tutti questi elementi contribuiscono o meno alla qualita’ del nostro “pane quotidiano”, per il quale lavorano direttamente 230mila addetti ai quali si aggiungono 180mila occupati nell’indotto.

Il consumatore dovrebbe indirizzare il mercato verso la produzione di un prodotto di qualita’ ma spesso la fretta, l’ignoranza e la scarsa informazione vincono. Insomma non basta piu’ dire “pane cotto nel forno a legna” (gia’, quale legna?) ma sarebbe indispensabile fornire al consumatore le informazioni per scegliere. Con “W” si indica la qualita’ della farina che per un buon pane dovrebbe essere superiore al numero 350. Per un Paese che mira alla valorizzazione dei prodotti tipici queste notizie dovrebbero essere del tutto normali. Purtroppo ancora non lo sono.

A cura dell’Aduc