di Alexander Màscàl

Da sempre sulle colline le vigne hanno soddisfatto il fabbisogno di una popolazione che da loro traeva il sostentamento. Inizialmente le uve servivano al bisogno individuale, ma nel Medioevo la coltivazione si diffuse tanto da divenire un fiorente commercio che si diffuse divenendo la maggior risorsa del territorio.
Nel XVI secolo la viticoltura fu interamente colonizzata dal sistema di coltivazione detto “Alteno”, che prevedeva forme di allevamento viticolo assai espanse, associate prevalentemente a tutori vivi (alberi). Questo tipo di coltura produsse l’aumento quantitativo del prodotto destinato al fabbisogno locale, ma peggiorandone però la qualità. I viticoltori del sud astigiano rifiutarono quest’omologazione sabauda, mantenendo l’uso della “vigna” e delle forme poco espanse. Si originò una viticoltura di qualità, sempre più specializzata e in difesa delle tradizioni.

Con l’abbattimento delle barriere doganali esistenti tra comune e comune, Canelli (AT) si trovò ad essere ai vertici dell’enologia italiana, anzi a Canelli si creò la moderna enologia italiana. La civiltà del vino è anche la cultura di un territorio e indubbiamente Canelli è uno dei “santuari” mondiali del vino. Qui la viticoltura ha influenzato non solo il paesaggio e l’economia locale, ma ha anche fatto la storia e il folclore di una città e della sua comunità contadina. Nel tempo migliorarono le tecniche di produzione, si diffuse l’uso di bottiglie di vetro e al Moscato di Canelli venne consentito l’utilizzo di tappi di sughero.
Queste “moderne” innovazioni facilitarono l’esportazione in tutto il mondo e favorirono la nascita d’industrie enologiche che diedero una nuova impronta di viticoltura-industriale adatta all’esportazione.

Nella metà dell’800 l’uva “Moscato bianco di Canelli” veniva principalmente prodotta nel territorio comunale, mentre una piccola parte proveniva dal vicino comune di S. Stefano Belbo e il rimanente da altri comuni limitrofi. La maggior parte della produzione era commercializzata in barili che le varie mescite poi rivendevano in fiaschi o a bicchiere. “Lo maggior frutto di questa terra egli è il vino, qual riesce delicato, dolce, perfetto, stante massime l’industria degli abitatori quali su colli di ragionevoli fruttività ne traggono il sufficiente per vivere”. Così nel 1756 l’intendente delle Regie Finanze, in una relazione su Canelli, gli riconosce il primato di città del vino.

Lo Spumante piemontese

La lavorazione dello spumante richiede una temperatura costante di 12-14 gradi per tutto l’anno, questo indusse le aziende a dotarsi di cantine adatte, che dovevano necessariamente essere situate sotto terra. E’ risaputo che sin dai secoli in cui il vino era destinato all’uso famigliare i contadini usavano scavare i “crutin”, o “infernot” (cantine), per conservarlo ed è altrettanto noto che il tufo calcareo alternando strati molto duri ad altri più sabbiosi è facilmente scavabile. Inoltre isola perfettamente e conserva il giusto grado d’umidità necessario.

Agli inizi si utilizzarono quindi le già esistenti gallerie scavate nel tufo, ampliandole. In seguito il prodotto industrializzato richiese nuove esigenze tecniche e igieniche che necessitarono di nuove costruzioni sotterranee in mattone pieno-cotto. Nacquero nuovi ambienti di lavoro più confortevoli, dove furono installati più moderni impianti d’energia elettrica in completa sicurezza, per l’illuminazione e per stoccare e lavorare milioni di bottiglie. La nuova tecnica costruttiva variava dalle volte a botte a quelle vela e a voltina, ad una o più navate, ad uno o più livelli. Mentre alcune si sprofondavano nelle viscere delle colline, sin oltre i 30 metri, altre furono scavate più in superficie o appena sotto il livello stradale.
Molte sono talmente imponenti che sono considerate delle “cattedrali sotterranee” e rappresentano uno straordinario patrimonio culturale unico al mondo che necessita di essere protetto e messo in evidenza anche turisticamente.

In queste enormi “cattedrali del vino”, le bottiglie vengono adagiate sulle “pupitre”, appositi cavalletti in legno, dotati di speciali fori ovali in cui la bottiglia viene adagiata in posizione orizzontale. Inizia il ciclo del “remuage” che dura da 30 a 40 giorni: con movimenti brevi e decisi, esperti la scuotono giornalmente, ruotandola di una certa angolatura e infine alzata leggermente in modo da aumentarne l’inclinazione. Al termine del ciclo la bottiglia si trova in posizione quasi verticale e il deposito interno ha compiuto un movimento rotatorio raccogliendosi sul tappo. A questo punto si lascia riposare per un breve periodo per consentire al sedimento raccolto sul tappo di compattarsi.

Mantenendole in posizione verticale le bottiglie vengono avviate al “degorgement” (sboccatura), per eliminare il residuo depositato sul tappo. “A la glace” è il metodo del “congelamento” usato per la “sboccatura”: il collo della bottiglia viene immerso in una soluzione molto fredda, che formerà un ghiacciolo in cui è racchiuso il deposito. Raddrizzata viene introdotta in una stappatrice automatica: appena il tappo a corona è smosso dalla macchina, la pressione interna espelle il ghiacciolo e la bottiglia “stappata” viene richiusa. Il viaggio della bottiglia è giunto quasi al termine.

Ancora qualche perfezionamento e sarà pronta per “l’investitura finale”: chiusa con un tappo di sughero trattenuto da una gabbietta metallica e lavata, viene inviata al confezionamento per le rifiniture: la capsula, il collarino, e l’etichetta.

Agli inizi L’Asti Spumante era il vino delle grandi occasioni, del brindisi di Capodanno, nelle feste matrimoniali e nei battesimi, nelle comunioni, per festeggiare la laurea, una promozione, o per altri eventi importanti. Era il compagno del panettone natalizio e della colomba pasquale. Se il brindisi con lo Champagne era un privilegio riservato alle famiglie più agiate e benestanti, il prezzo più accessibile dello Spumante garantiva a tutti il brindisi finale.
Tipica di questo vino “spumeggiante” è la caratteristica “spuma” prodotta dall’anidride carbonica, un gas che si forma in modo naturale all’interno delle bottiglie durante il periodo dello stoccaggio nelle cantine.
Tale gas è formato dal dissolvimento degli zuccheri forniti dai lieviti attivi che sono quelli che provocano la rifermentazione naturale.

Esistono diversi modi di fare lo spumante:
Mediante l’aggiunta d’anidride carbonica da bombola: è il sistema più semplice e meno costoso. Le bottiglie devono portare sull’etichetta la scritta “Vino addizionato di anidride carbonica”.
Quello ottenuto per mezzo della rifermentazione diretta in bottiglia: richiede un più lungo tempo di stoccaggio e ha costi superiori. Le bottiglie devono riportare la denominazione: Spumante ottenuto con il metodo Champenois”. Contrariamente a quanto si può credere il termine “Metodo Champenois” non significa “vino Champagne”, ma “della Champagne”, cioè della regione francese produttrice delle uve utilizzate per il celebre vino Champagne.

Francia, anno 1618. Siamo nella celebre abbazia di Hautvillers vicino ad Epernay, dove Dom Perignon, un abate francescano con la passione della viticoltura ha inventato questa tecnica di vinificazione delle uve, basata sulla rifermentazione in bottiglia di un vino di base, secco, a cui si sono aggiunti zuccheri e lieviti. Al termine si eliminano i depositi che si sono formati nella bottiglia. Nasce “così” il celebre Champagne francese“.

Il Metodo Charmat è ottenuto mediante la rifermentazione in grossi recipienti ermetici refrigerati (autoclave), e l’imbottigliamento avviene con la riempitrice isobarica (che consente il riempimento delle bottiglie con la pressione naturale del vino). La riempitrice isobarica mette il pressione la bottiglia mediante azoto e quando giunge il prodotto (vino) si sostituisce all’azoto, mantenendo la pressione compensata per evitare che la pressione formi la schiuma.

Il termine “millesimato” indica l’anno di vendemmia, quindi di elaborazione del vino-base e viene riservato ai vini delle grandi annate. Significa che lo spumante è stato preparato solo con vini di quell’annata.
“Blanc de blans” indica gli spumante ottenuti solo da uve bianche.
“Blanc de noirs” indica gli spumanti ottenuti da uve rosse vinificate in bianco.

Non tutti i vitigni del moscato producono uva adatta alla vinificazione, alcuni producono solo uva da tavola. Il “vitigno precoce” si vendemmia verso la metà di settembre.

Le bottiglie non vanno conservate in piedi ma tenute coricate negli appositi sostegni e in locali con temperatura costante di 12-14 gradi, tipici delle cantine di conservazione. Peggio ancora è acquistare bottiglie esposte in vetrine soleggiate e soggette a sbalzi di temperatura giornaliera e stagionale. Il modo più appropriato per la conservazione è non esporre le bottiglie alla luce.

Vino delle grandi occasioni, dei pranzi raffinati. Le bottiglie non devono essere messe nel frigorifero ad alta temperatura. Va servito fresco, ma non gelato. Si serve facendolo raffreddare per 15 minuti nell’apposito secchiello contenente acqua e ghiaccio. La bottiglia non va “impugnata”, ma l’indice posto nell’incavo sotto la stessa e sostenuta con le altre dita. Quando stappiamo una bottiglia di Spumante, eseguiamo una sorta di rituale: non dimentichiamo che la spuma è ottenuta attraverso il paziente lavoro di anni e che in un solo attimo se ne va… in frizzanti bollicine…