di Alexander Màscàl
foto Matteo Saraggi

Siamo nelle Langhe, in una località imprecisata, sul confine con il Roero e il Monferrato, una delle tante poste lungo le “Vie del sale” che collegano il Piemonte alla Liguria, attraverso l’antica strada romana della Via Magistra Langarum. La Langa (o le Langhe), è sempre stata una via di comunicazione per il transito dei pellegrini, ma anche per mercanti, briganti, contrabbandieri ed eserciti romani che stanziavano in queste zone. Sulle Langhe e sul Roero si sono scritte pagine di storia e purtroppo quelle della “Santa Inquisizione” sono state scritte con il sangue di tante povere vittime: presunte “streghe” ed “eretici catari” hanno alimentato il fuoco dei roghi! Da qui inizia il viaggio a ritroso del Tempo per ritrovare il passato attraverso la riscoperta della nostra Storia, della Cultura, delle Tradizioni e del Folclore delle nostre genti. Scopriremo luoghi fantastici e misteriosi, tradizioni le cui origini si sono perse nella “Notte dei Tempi”, ma anche i luoghi “dietro l’uscio di casa nostra”: quelli di cui non ci accorgiamo perchè… troppo abituati a vederli quotidianamente, non ci rendiamo conto che spesso racchiudono gioielli di rara bellezza… e storia. Scopriremo anche il mondo “in cucina”, perchè turismo, ed enogastronomia sono strettamente collegati tra di loro e indivisibili. Seguiamo quindi le Amazzoni alabardate, affrettiamoci a raggiungere il frate pellegrino e attraversiamo la porta custodita dagli armigeri iniziando il viaggio a ritroso nella Storia, con il Cavaliere… Senzatempo… che ci attende per accompagnarci oltre la Porta del Passato…

C’era un tempo in cui i paesi erano come una grande famiglia: tutti si conoscevano, si aiutavano. Il medico non curava solo il corpo e il curato non si prendeva cura solo delle anime, la “levatrice” non aiutava solo a far nascere i bambini e il Sindaco non si occupava solo dell’amministrazione: erano i tempi dei valori umani, l’amicizia si scriveva con la “A” maiuscola e ci si faceva tutti partecipi delle gioie e dei dolori del singolo o dell’intera comunità! Ci si riuniva attorno al focolare per narrare storie di masche (tipica strega delle Langhe e del Roero), di streghe, orchi e briganti. La domenica era giorno di festa: la mamma faceva gli agnolotti, la “ciambella” o la “tirà” (tipiche focacce dolci); si mangiava carne; si mettevano il “vestito buono”, quello delle feste e le scarpe “buone”, quelle per le grandi occasioni”… tirate a lucido, e si andava tutti a messa.

Erano i tempi in cui si vendemmiava, si raccoglieva il grano o si facevano altri lavori aiutandosi l’uno con l’altro. Gli uomini si riunivano all’osteria per giocare a carte e bere un bicchiere di vino, e poi… tutti a casa di “Pinot ‘d la burgà”, o da Brasalin e Ginota, per la “merenda sinoira” (tipica merenda contadina), e con la “buta stupa”(bottiglia stappata), accompagnata da pane, salame, formaggio e l’immancabile sigaro. Erano i tempi della miseria, ma si era tutti felici per quel poco che “il buon Dio dava”!

…Erano i tempi in cui ci riconduce ogni località che incontriamo e dove ritroviamo tutti quegli “spaccati di vita” che molti hanno vissuto, ma non dimenticato! Oggi si viaggia anche attraverso le rievocazioni storiche, le sagre, il folclore e uno di questi viaggi nel “Tempo virtuale” si potrà fare varcando le soglie dei musei, o “Casa della memoria”, come ha definito il proprio spazio dei ricordi il professor Donato Bosca dell’Arvangia. Ai nostri giorni il passato rivive tra le pareti d’antiche case ristrutturate e trasformate in “raccolte storiche della vita d’un tempo”, o nei racconti di masche, come quelle che potrete incontrare nel sito dell’Arvangia, dedicato alle leggende, dove potrete conoscere la sottoscritta attraverso “La maledizione della strega Micilina” di Alexander. Basterà varcare la soglia delle piccole case museo che ricostruiscono spaccati di vita di fine secolo, per divenire partecipi di un viaggio a ritroso nel Tempo, come a San Donato di Mango, alla casa-museo, dove la civiltà contadina è rappresentata da stanze completamente arredate con mobili e suppellettili dell’epoca: perfetta ricostruzione di una casa rurale dell’800. In questi musei, attraverso le stanze “d’antan” rivivremo il passato dei nostri nonni, entreremo in un mondo “antico”, dove la fantasia ci riporterà indietro nel Tempo, in un viaggio attraverso le pagine dei libri di scuola, le veglie attorno al focolare e le storie delle “masche”.

…Era l’800, ma qualcosa di quel secolo è sopravvissuto sino agli anni ’40 e ’50 del secolo scorso e per questo i ricordi sono simili a quelli della mia infanzia: “forse” sono solo i miei ricordi, i miei rimpianti, ma forse anche quelli di chi sta Leggendo questo mio “amarcord”… Spesso i ricordi possono giungere anche al ritmo di canti popolari e filastrocche, allora una ventata d’allegria coglie il turista trasportandolo in un viaggio a ritroso nel Tempo per condurlo sull’aia del cascinale, su una piazza, o in una trattoria, dove le strimpellanti note di canti popolari, filastrocche e antichi balli gli faranno rivivere una giornata di musiche e danze con i “cantastorie”, i “musicanti”, le “bande”, e se ad accompagnarli sono canti dialettali, non interrompete il bel sogno canoro… in compagnia di queste simpatiche combriccole che “una più del Diavolo ne sanno e ne inventano” per trascinare nel loro “limbo musicale” chi ha smarrito l’anima in questo tempo frenetico e senza più ricordi…

Nel viaggio alla ricerca “dell’Arca” degli Antichi Sapori su cui fare salire il meglio dell’enogastronomia non s’incontrano solo grandi aziende, ma anche piccoli produttori, vere e proprie pietre miliari del buongusto: sono i custodi delle tipicità gastronomiche, i conoscitori dei segreti tramandati dalle antiche popolazioni locali. Attraverso la cultura del cibo si ricompongono le tradizioni, il folclore, il turismo e per questo sono il migliore “Libro di Storia” in cui leggere il nostro passato, per non scordare che senza di lui non c’è futuro… Il viaggio alla ricerca dei sapori e delle località da scoprire è lungo e interminabile, ma se mi seguirete attraverso il Tempo cammineremo su strade e sentieri per incontrare i popoli della montagna, della pianura, delle colline e del mare. Assieme assaporeremo quei gusti che credevamo ormai scomparsi sotto i pilastri del cemento e “l’insapore” dell’industria del consumismo veloce.

Le prime perle per comporre il nostro gioiello turistico-enogastronomico le incontriamo in Piemonte, viaggiando nella provincia di Cuneo, attraverso Langhe e Roero. Il nostro itinerario inizia in una località sul confine tra la provincia di Asti e quella di Cuneo. Qui, dove s’incontrano Langhe e Monferrato le due culture si sono amalgamate e le tradizioni contadine sono sopravissute all’incalzare del progresso. E’ il territorio del Moscato d’Asti, che si produce solo nella zona di Canelli (AT), e in quella di Santo Stefano Belbo (CN).

… E da qui iniziamo il nostro cammino
alla ricerca del tempo…perduto…

Santo Stefano Belbo

Siamo a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe albesi, sul confine con la provincia di Asti e il Monferrato astigiano. Documenti attestano della presenza a Santo Stefano Belbo di un insediamento romano che faceva parte di un posto militare fortificato, per il controllo delle strade di collegamento tra l’astigiano, l’albese e i valichi per la Liguria. Delle antiche origini romane di Santo Stefano Belbo ne rimangono tracce nell’Abbazia di S. Gaudenzio, convento benedettino edificato sui resti di un antico tempio dedicato a Giove. Vestigia dell’architettura romanica restano l’abside, la sacrestia, mosaici e sculture. Eretta intorno all’anno mille l’abbazia sorge ai piedi della collina Moncucco. Luogo di culto fu anche ricovero-ospedale, e centro di assistenza per i poveri, i pellegrini e i fedeli, ma anche un’officina in cui si istruivano i giovani artigiani e contadini. Purtroppo è stata trasformata in un luogo di “enologia”. Altre notizie parlano della costruzione del borgo in epoca medioevale, con un castello sulla collina di S.Libera. L’abitato, databile attorno all’anno 1000, sorgeva intorno ad un piccolo insediamento che aveva la mansione di controllo strategico della strada della Valle del Belbo. Importante centro dell’epoca feudale conserva i ruderi di una delle torri del castello e la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo.

A introdurre la viticoltura furono i monaci benedettini. La produzione vitivinicola è caratterizzata dal vino Moscato, già nel 1583 gradito nettare presso la corte dei Duchi di Mantova e dai Marchesi del Monferrato. Tra il 1600 e il 1840 in questa località vi si stabilirono i frati Francescani Scalzi e i Cistercensi. Oggi il loro monastero, che comprende il parco secolare con viale di ulivi e la cappella gentilizia di San Maurizio, è stato purtroppo adibito ad “altri scopi”. Per chi ama la cultura si consiglia una visita al “Centro Studi Cesare Pavese”che conserva archivi, documentazioni, libri, e altro materiale sulla vita e le opere di Cesare Pavese. Da vedere vi è anche il “Centro Pavesiano”, il Museo e la Casa Natale di Cesare Pavese: interessante raccolta di ambiente dell’epoca con stanze, cantine, scale, collezioni fotografiche, opere dello scrittore, e altro materiale inerente. Altro luogo di cultura è la “Casa Museo di Nuto”, con l’esposizione di alcuni libri di Nuto, un bancone con gli attrezzi da falegname, fotografie, utensili, una raccolta di strumenti musicali (violini, chitarre, un contrabbasso), libri, il suo basco, il clarinetto e altri oggetti.
Altre informazioni: www.santostefanobelbo.it

“Biondo, dolce, suadente”.
No, non si tratta di un giovane incantatore di femmine, ma del principe dei vini: il Moscato d’Asti, che a Santo Stefano Belbo, in loc. San Grato, l’azienda agricola “Cà du Sindic” (“Casa del Sindaco”, agli inizi del secolo scorso), di Sergio Grimaldi produce assieme al Piemonte Brachetto e ad un superbo Barbera, e poco importa se non si è concordi nel definire il sesso “della” barbera o “del” barbera. Poco importa la sua identità maschile o femminile quando a noi non resta che lasciarci tentare per il brindisi finale: Cin cin con il Moscato… purché sia “du Sindic”.
Una curiosità è l’uva detta “Uova di galletto“, ma poiché si sa che i galli non fanno le uova, questo strano nome deriva da un’uva bianca, esclusivamente da tavola, i cui acini hanno la forma delle… uova, o meglio dei testicoli, del galletto. Viene riposta in appositi locali e conservata per essere mangiata nei mesi invernali. La sua conservazione può durare sino a Pasqua.
Una prelibatezza è il “succo di uva o mosto” che si ricava dai grappoli appena spremuti. Il risultato è un “succo di frutta al Moscato”, assolutamente analcolico, dolcissimo e da degustare… se avete la fortuna di capitare in Azienda al momento giusto… Grimaldi esporta in Olanda, Svizzera, Germania, Danimarca, Stati Uniti, e Corea.

A Santo Stefano Belbo non solo i vignaioli producono il Moscato. Da quasi cento anni nel monastero delle Figlie di San Giuseppe, le suore producono uno speciale “Moscato da Messa” che servirà ai sacerdoti di tutta l’Italia per officiare il servizio liturgico. Da sempre la Madre Superiora è la responsabile della vinificazione, coadiuvata da un enologo e dalle “consorelle”. I segreti della vinificazione venivano tramandati oralmente da quando Clemente Marchisio, parroco di Rivalta Torinese (TO), in visita al Pontefice Leone XIII (1810-1903), venne invitato a produrre nella propria zona il vino indispensabile per la messa. Sulle colline torinesi nacque quindi una prima congregazione specializzata nella coltura e trasformazione del vino. Nel 1906 un gruppo di suore si trasferì a Santo Stefano Belbo (CN) proseguendo la produzione del “Vino bianco per la Messa”. Oggi si può parlare di un’azienda specializzata… al servizio della liturgia cristiana, una sorta di cantina-monastero, con suore-enologhe-cantiniere, una delle tante aziende gestite da frati e monache che, non solo in Italia, producono marmellate, mieli, conserve, vini, tisane, liquori e altre “sante ghiottonerie”. Il vino prodotto serve esclusivamente per uso liturgico e per questo, per evitare la vendita a privati, viene confezionato in bottiglie particolari, con speciali tappi, capsule ed etichette.

Cossano Belbo

Lasciamo Santo Stefano Belbo e raggiungiamo in pochi chilometri Cossano Belbo. Cossano Belbo fu fondato dagli ex legionari di Caracalla a cui vennero affidati dei possedimenti da coltivare, come ricompensa per i loro servizi. Qui si scontrarono, il 4 marzo 1274, le forze fedeli a Carlo d’Angiò e quelle dell’esercito astigiano. Bella panoramica dal santuario Madonna della Rovere che gode del privilegio dell’indulgenza plenaria della Porziuncola (la stessa che viene concessa ad Assisi). Il santuario, costruito alla fine del 1700, sorge sul luogo in cui si trovava una rovere (quercia) da cui sgorgava olio.

Un tempo sulla collina della Rovere c’era una quercia dalla cui corteccia usciva dell’olio e la gente del posto gridava al miracolo e la raccoglieva con devozione. Un giorno un tale lo raccolse per farne commercio e lo portò ad Alba per venderlo. Da quel momento la quercia non diede più l’olio. Come spesso accade, la Chiesa intervenne e lo fece abbattere. Con il tronco fece scolpire una Madonna e sul luogo dove sorgeva la quercia vi costruì una cappella con sacrestia e canonica, affidandola ai Francescani. In seguito vennero concesse indulgenze ai fedeli e la cappella ampliata divenne un Santuario. Si narra che gli abitanti di una borgata vicina, gelosi, una notte rubarono la statua della Madonna chiudendola in un sacco. La mattina dopo trovarono il sacco vuoto e accanto le orme della madonna che era tornata al Santuario. Nella Parrocchiale di San Giovanni Battista si possono vedere alcuni ex voto dedicati a padre Simone di San Stanislao che qui nacque nel ‘700 e a lui dedicati a simboleggiare guarigioni miracolose. Padre Simone rettore dei passionisti a Recanati, morì in odore di santità e a lui vengono attribuiti fatti miracolosi.

Ma è anche il luogo in cui all’acquasanta si contrappone lo zolfo infernale: numerose storie narrano di masche e di diavoli che abitavano sulle colline circostanti e che sarebbero stati gli autori di influssi malefici grazie al “Libro del comando”, temibile e terribile contenitore di formule magiche per evocare gli spiriti diabolici. Tale libro veniva ceduto di volta in volta dalla vecchia Strega “maestra” all’allieva… Curiosi sono gli ex voto conservati nella chiesetta e quasi tutti opera del “pittore contadino” Francesco Bo detto “cichinin”, strana figura locale di imbianchino e decoratore autore di centinaia di quadri raffiguranti fantasiosi paesaggi e lussureggianti nature morte che, come il più famoso Ligabue, egli scambiava per un piatto di minestra… In località Castello, di Scorrone, resti di antiche necropoli romane.
Altre informazioni: www.comune-cossanobelbo.cn.it

Rimaniamo nel centro cittadino dove sostiamo per una pausa gastronomica presso il “Ristorante Universo“. In cucina, Marisa preparerà peperoni ripieni di salsa tonnata, mousse al prosciutto, vitello tonnato, deliziosi tajarin e raviole al plin, brasati e coniglio nelle versioni alla campagnola, al vino Furmentin, o in agro-dolce. E per dolce i favolosi “Nuvola”, una sorta di mousse alla panna cotta; il “Sole”, di morbide pesche; “L’Aurora”, una mousse d’arancia. Immancabile il tipico bounet e la torta di nocciole. Mauro, in sala, vi accoglierà con quella cordialità che “insaporisce i cibi”… facendovi sentire “in famiglia”.
Restiamo a Cossano Belbo per scoprire il “mondo infarinato” del “Mulino Biologico a Palmenti Marino“. Dall’inizio del secolo scorso la famiglia Marino produce eccezionali farine tra cui: “Sapori Antichi” con farro, segale, kamut, monococco (il primo grano comparso sulla Terra); “Kamut” (chiamato anche “il grano del Nilo” o “dei Faraoni”, per le sue origini…); farine di grano tenero e farine per intolleranze alimentari ( farro, semi antichi, monococco, grano saraceno, segale, kamut ). Eccezionali le farine per polenta, come la “Taragna” (con mais integrale e grano saraceno), e quella detta “ottofile”, la pregiata e rara varietà di mais delle Langhe: vere “delizie per il palato”, tanto gustose da non avere bisogno di condimenti… La macinazione è fatta a bassa velocità per non surriscaldare i chicchi, preservarne aroma e proprietà nutritive, inoltre sono utilizzate tre macine, tra cui una destinata ai cereali per intolleranti e una per il mais ottofile. Tutti i cereali provengono da produzioni biologiche altamente selezionate. La loro produzione ha varcato i confini rappresentando l’Italia in Europa, Giappone, Stati Uniti, Australia. Dallo schermo di Raiuno Gianfranco Vissani presenta la “polenta”, di mais bianco… con fondente di cioccolato bianco e fragoline di bosco, proponendola come desser; “La Stampa” e l’inserto “Specchio”, “Grazia”, “Viaggi e Sapori” e altre illustri testate giornalistiche gli dedicano intere pagine; le guide enogastronomiche di Bruno Gambarotta e “Papillon” di Paolo Massobrio, celebri gastronomi, ne elogiano i sapori. Ovunque, Mulino Marino ha guadagnato un posto d’elite attraverso le pagine dei più importanti giornali e reti televisive che invitano i buongustai ad avvicinarsi a queste farine “d’autore”.

Cossano Belbo non è solo storia ed enogastronomia ma è anche il paese di una simpatica e popolare figura locale: Miki Cannito, meglio noto come Miki, che con il suo ultimo cd “Provare per credere” ha spaziato oltre i confini locali. Se avete la fortuna di trovarlo nel suo bar, sulla piazzetta, chiedetegli di farvi sentire le sue canzoni, vi piaceranno come vi piacerà il suo sorriso, la sua gentilezza e simpatia: virtù rare a trovarsi, più ancora che il trovare… un bravo cantante…
Percorriamo pochi metri e in loc. San Martino troviamo la “Cantina Terrenostre” che oltre a vari tipi di vini, tra cui Barbera, Favorita, Chardonnay, Moscato e Dolcetto d’Alba, produce anche il “Furmentin” un vino antico e raro la cui produzione limitata è il vanto di questa cantina. Nato dalla scelta d’uve rare e pregiate provenienti da vecchie viti con caratteristiche particolari che ne conservano il pregio e la tipicità questo vino è un prodotto esclusivo, d’alta classe, per raffinati e intenditori.

Mango

A pochi chilometri da Cossano Belbo, con una breve deviazione si incontra Mango. Mango esisteva già in epoca romana, con il nome di Mangiana Colonia. Citato nella Tavola Alimentare di Traiano, aveva il compito di rifornire i viveri alle truppe dell’imperatore (i Veterani), che qui fondarono la colonia che originò il paese.
Da visitare è il castello dei Busca che sorge sulle fondamenta di un fortilizio eretto con funzioni strategiche alla fine del XIII secolo. L’imponente mole del Castello-fortezza, domina questa località delle Langhe albesi. Edificato nel 1275, in seguito alla rappresaglia dell’esercito astigiano che per vendicare l’umiliazione della sconfitta in campo (a Cossano Belbo, da parte degli albesi), rase al suolo i castelli e i borghi di Frave, Vaglio, Vene e il villaggio di Lanlonzo. Gli abitanti si rifugiarono sulla collina dando vita ad un nuovo borgo che chiamarono “Mangano” e sul nuovo stendardo posero le figure dei tre castelli distrutti. Con funzioni strategiche, conserva tuttora i passaggi segreti che conducevano fuori dalle mura, utilizzati in passato per sfuggire agli assedi e raggiungere l’aperta campagna, le prigioni e i luoghi di tortura, i pozzi in cui gettare i nemici, ma anche una fitta coltre di mistero e di leggende…

Fino al 1714 appartenne al ducato di Mantova poi passò ai Savoia e quindi ai marchesi di Busca. Nel 1625 scoppiò la guerra tra il Duca di Savoia e Genova e Mango, seppure fosse rimasto neutrale, per la sua posizione strategica venne coinvolto nella guerra e distrutto. In seguito i Marchesi ne fecero una dimora sontuosa. Lo arredarono in modo sfarzoso arricchendolo con un bellissimo giardino di piante ornamentali e colture floreali che lo resero celebre. Pregevoli i resti delle tre porte erette nel medioevo a difesa del borgo. Numerose sono le manifestazioni musicali e letterarie di risonanza internazionale che si svolgono nel castello. All’interno si può vedere un’interessante esposizione permanente sulla civiltà del vino e degustare la gastronomia piemontese.

La storia vuole che nel 1789, gli abitanti del Borgo Balocco si rifiutarono di versare i soldi dei tributi ai Marchesi di Busca, i Signori locali, e usarono i soldi della gabella per banchettare fino all’alba della Quaresima. Da allora, ogni anno il martedì grasso si ripete il Carnevale con la sfilata di carri allegorici, mentre nel borgo di Balocco si prepara un’enorme calderone di polenta che poi verrà distribuita.
Storico è il “Bagnet dei Batù“, la festa gastronomica in elogio al famoso bagnet (salsa tipica), la cui ricetta è tenuta segreta e tramandata oralmente da un Priore all’altro…
A Mango, ogni anno a giugno, si svolge un particolare concorso riservato ai “Tabui” (voce dialettale per indicare i cani di origine ignota, definiti “bastardini, o meticci”), che vengono premiati per fedeltà e devozione all’uomo e a cui è anche dedicato un monumento. I “Tabui” sono eccezionali cani da tartufo, oltre ad essere i migliori compagni dell’uomo per dedizione e sacrificio… molti di loro hanno compiuto gesta eroiche, ritrovamenti di persone perse e salvataggi.

La leggenda vuole che durante la Quaresima, del 1900, i missionari, per volere di un tal Geremia, bruciarono in piazza, davanti alla chiesa di Sant’Ambrogio, tutti i “Libri del Comando” credendo di poter distruggere il suo potere e impedire che altre masche potessero usarlo, ma quando gli abitanti si riunirono attorno al rogo per festeggiarne la distruzione le fiamme si alzarono sino a raggiungere un’altezza incredibile, contorcendosi, intrecciandosi e disegnando un viso con un sogghigno raccapricciante. Lingue di fuoco scesero dal cielo simili a lapilli di lava provocando un denso fumo nero che coprì le case con un impenetrabile coltre soffocante, ma c’è anche chi narra che per sette anni sulle colline vi fu una tempesta… Si dice che il “Libro del Comando” contenga formule magiche che le streghe usavano per controllare gli elementi, ma in tempi in cui il popolo firmava… facendo una croce mi pare che leggere libri e prendere appunti… Ai tempi dell’Inquisizione saper leggere e scrivere, al di fuori della casta sacerdotale o feudale, significava aver stipulato un patto con il Demonio. Nel ‘900, forse, qualcuno più istruito aveva solo preso appunti di cucina o di erboristeria, … ma poiché amo le leggende preferisco credere al libro delle streghe!

Attenzione agli incantesimi. State transitando nel Triangolo Magico delimitato da Vaglio, Frave e Vene, i tre castelli rasi al suolo e a Fravè c’era il “ciabot d’le masche” e “la casa bruciata”. Luogo di valenze con la magia positiva Mango e il suo boschetto danno origine alle leggende che lo vogliono sia un luogo dove si intersecano il bene e il male. Verso la scarpata c’è il sentiero che scende dal “bosco” e conduce nel paese: se non temete gli incantesimi o siete giovani fanciulle in cerca del Principe Azzurro… percorretelo e lasciatevi accompagnare dalla quiete del magico bosco e i “mille rumori” dei suoi abitanti… folletti, fatine e gnomi compresi… Pare che la parrocchia di S.Ambrogio di Mango sia un baluardo per Vene, considerata località maledetta. Una leggenda narra che un’epidemia di peste decimò la popolazione e si salvò solo una famiglia con due figli piccolissimi. Dopo poco morì anche la donna e il marito disperato non sapendo cosa fare la abbandonò in una caverna con i due figli e fuggì. Tormentato dal rimorso tornò dopo otto giorni e trovò i bambini ancora vivi. Da allora quel luogo venne chiamato regione Pia.
Interessante la chiesa della Compagnia dei Battuti Rossi eretta nel 1500 che avevano il compito di dare sepoltura ai morti.
Ricordiamo la vicina località di San Donato di Mango con il già citato museo “Casa delle memorie”.
Per altre informazioni: www.ilpaesedimango.it