di Alexander Màscàl
foto Matteo Saraggi

Dogliani

Risaliamo le dolci colline langarole sino a Dogliani, patria del “Dolcetto di Dogliani“, di Luigi Einaudi (il primo Presidente della Repubblica), di Domenico Ghiliani, (inventore del fiammifero, a sfregamento o zolfanello), di Giuseppe Gabetti, l’autore della Marcia Reale e patria adottiva di Pini Segna, uno dei disegnatori di Zagor, L’Uomo Mascherato, Mandrake, Kriminal e altri famosi fumetti della nostra infanzia.

A caratterizzare Dogliani è l’originalità dello stile architettonico con cui Giovanni Battista Schellino, stravagante architetto, disegnò le case con cupole neoclassiche, guglie gotiche, torri medioevali, scenografie wagneriane creando angoli insoliti e fantastici, fantasiosi. Tra il I e II secolo d.C. era un fondo romano come lo dimostrano i ritrovamenti di una necropoli presso San Quirico. Alla fine del III secolo d.C. il nucleo si spostò verso la Pieve. Il seguito continuò a spostarsi arroccandosi attorno alla zona fortificata per difendersi dalle scorribande di Ungari e saraceni del X secolo. Esistono residui delle invasioni saracene in alcuni termini dialettali dalle radici chiaramente arabe e di alcune località e cascine dette “del saraceno”. Nel 1200 passò a Manfredo II di Saluzzo e vi restò per circa tre secoli. Secoli in cui conobbe un’espansione tale da generare il “Borgo” che la Signoria di Giovanni il Grande di Saluzzo dotò di mura fortificate e nel 1297 concesse al paese una “carta costituzionale”. Seguirono tempi nefasti con la guerra con gli Sforza. Nel 1431 venne devastata. Nel 1530, e per venti anni, con la rovinosa decadenza del marchesato di Saluzzo subì saccheggi e incendi. Anche i francesi che occuparono le Langhe distrussero vari castelli della zona, compreso quello di Dogliani.

Seguiamo la strada che sale verso la parte alta della città e alla nostra destra scorgiamo l’insolita struttura architettonica dell’ospedale, una delle opere dello Schellino, fantasioso architetto doglianese vissuto nel 1800. Saliamo verso Dogliani-castello passando accanto al bianco “Pantheon” della chiesa dell’Immacolata e allo “scenografico” ingresso del cimitero monumentale, in cotto rosso, bizzarra opera anch’essa dello Schellino, la cui facciata guarnita da fantasiose guglie, cuspidi e pinnacoli si presenta in tutta la sua originale, seppur macabra, grandezza architettonica e coreografica. Va ricordato che negli anni in cui visse lo Schellino, Dogliani era nota per le sue fornaci, utilizzate anche per la costruzione del monumentale ingresso al cimitero.

Sostiamo per una visita a Dogliani-castello, piccolo borgo medioevale della parte alta di Dogliani, che domina sui tetti della città e sulle insolite costruzioni fantastiche, compresa la… bizzarra soluzione “tonda”, della… “Torre dei Cessi” anch’essa opera dello Schellino. Collocata all’esterno, presenta tre piani fuori terra, ed è collegata al Palazzo Comunale tramite una passerella. Attualmente è stata ristrutturata e inserita in un percorso museale delle opere dell’originale architetto doglianese. Chi non la conosce immagina si tratti di una torre medioevale. In realtà è una costruzione del 1864 creata per fronteggiare delle esigenze igieniche per la Caserma Militare situata nell’allora ex Palazzo Comunale, ed ex convento del Carmine (datato 1478). Nel 1860 il Palazzo Comunale ha avuto funzioni di Deposito Militare della Fanteria insediata a Dogliani. Nel 1864 lo stabile ha ripreso il suo ruolo di Palazzo Comunale e attualmente ospita il Municipio, il Museo Storico-Archeologico e la Bottega del Dolcetto.

Dal piazzale del Belvedere di Dogliani-Castello oltre alla stupenda panoramica si può vedere un maestoso ippocastano secolare e fermarsi nella vicina Stamperia d’Arte o “Calcografia Al Pozzo” di Antonio Liboà, per vedere gli antichi torchi, i macchinari di stampa e come nasce un “antico libro d’arte”, con le incisioni di Teresita Terreno. Nella stamperia i libri sono rigorosamente stampati con caratteri a piombo e a tiratura limitata.

Curioso è il “Ritiro della Sacra Famiglia” di cui qualcuno ha scritto (non ricordo chi), definendolo “inquietante palazzina da romanzo inglese, un pò Walter Scott, un pò Edgar Allan Poe”. E’ un “completamento di tutte le stranezza”del fantasioso Schellino, ma indubbiamente è tra le opere più elaborate e ricche di elementi architettonici decorativi, tanto che la facciata pare eseguita al traforo o decorata con antichi merletti pizzi e ricami… Attualmente è adibita a ricovero. Purtroppo è deturpata da una moderna costruzione, ancorata alla stupenda struttura schellianiana, che stravolge ogni regola architettonica facendo pessima mostra di “buon senso”…

Interessante è il Santuario Madonna di San Quirico. All’interno è conservata l’immagine miracolosa della Gloriosissima Vergine che allatta il Bambino, un gioiello di devozione, con numerosi ex voto di cui molti risalgono al seicento. L’immagine miracolosa, del XV secolo, rappresenta la Madonna mentre da il “latte finto”al Bambinello e con la mano sinistra sparge la sua benedizione e le grazie.

Proseguiamo lungo la strada fiancheggiata dai pilastri votivi e fermiamoci ad osservare il santuario della Madonna delle Grazie, con le sue linee morbide e i colori pastello… mentre la vista spazierà sulle colline vitate sino a perdersi nello stupendo scenario delle Alpi innevate.

Non molto distante incontriamo l’interessante settecentesca Villa Einaudi circondata da uno splendido parco, con insoliti comignoli a torre, a piramide, a spirale, e lo stupendo bosco di querce secolari con il viale di platani.. Storica residenza estiva del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, è visitabile.
Illustre concittadino… per adozione Luigi Einaudi l’11 maggio 1948 divenne il primo presidente della Repubblica Italiana rimanendo in carica sino al 25 aprile 1955. Figlio di cuneesi provenienti dalla zona di Dronero, in Valle Maira, esile di costituzione, non di “elevata statura” e con problemi ad una gamba aveva però abilità, intelligenza ed energia. Nato il 24 marzo 1874 nella vicina Carrù. Economista e docente universitario a Cuneo, poi a Torino, collaborò a prestigiosi giornale, come il “Corriere della Sera”. A Dogliani, nel 1897 acquisterà da un sacerdote, per… 30.000 lire, il podere di San Giacomo, terra marnosa e argillosa, in seguito aggiungerà altri terreni, terre malridotte che lui migliorerà: ripianta, risana, combatterà contro la piaga della “filossera”, ristrutturerà gli edifici rustici e restaurerà la casa padronale in cui soggiornerà nei mesi estivi e autunnali. Creerà una cantina di vendita del proprio prodotto vitivinicolo che ben presto si trasformerà in una delle più prestigiose aziende del Dolcetto di Dogliani. Attualmente vanta una foresteria con tre camere e una suite; la cantina visitabile e un punto vendita dei propri prodotti: vini rossi, Dolcetto, distillati tradizionali e una nuova linea di grappe. Si spegnerà nel 1961 e verrà seppellito nel cimitero di Dogliani lasciandoci molte opere letterarie importanti, ma anche un memorabile risanamento delle finanze e dell’economia italiana….

Ancora poche centinaia di metri e potremo gustare la cougnà (sorta di mostarda d’uva, noci, nocciole, fichi, ecc.), ottima compagna per formaggi, ma anche eccezionale sul pane imburrato, da abbinare al delizioso nettare di Bacco, presso l’Azienda Vitivinicola di Aldo Marenco, in Fr.Pamparato-Pironi, dove potremo trovare, oltre a Barbera e Dolcetto, le grappe e il Passito, ma anche acquistare… qualche “taglia” in più gustando i dolci della “Dolcilanghe” (in vendita), o il delizioso miele.
Ridiscendiamo e rimaniamo nel mondo del vino. Impossibile non lasciarsi attrarre dagli ottimi souvenir… enologici della Cantina Mario Devalle in Fr. Piandeltroglio (poco oltre il campo sportivo). Oltre al Dolcetto di Dogliani e al Barbera… lasciatevi suggerire “Briosec”, vino secco, d’uve Brachetto, ottimo per ogni occasione, dall’aperitivo al tutto pasto, oppure deliziatevi con del favoloso “Bricalet”, vino dolce, di uve Brachetto… dolcissimo compagno di pasticcini e bigné…

Non si può passare per Dogliani senza deliziarci di quella che è la cucina langarola e a proporcela è la “gastronomia” dell’Albero Fiorito. Quello che era lo storico ristorante “Albero Fiorito”, fiore all’occhiello della cucina di Langa, in cui lo chef Claudio Dalmasso, coadiuvato dalla moglie Alba, preparava incredibili prelibatezze, ora si è trasferito in una nuova gastronomia posta a pochi passi dell’antico ristorante che, per motivi logistici, ha chiuso per sempre. Impossibile “ristrutturare modernizzando” un locale storico, Claudio e Alba si sono trasferiti nella loro nuova gastronomia dove ripropongono la loro cucina in versione “da asporto”…
Troveremo ancora le ricette territoriali, semplici, ma eseguite con raffinatezza e buon gusto, veri elogi ai sapori tradizionali. Potremo ancora assaporare la favolosa carne cruda battuta col coltello, la trota cruda marinata, lo sfornatino di cipolla bianca, i favolosi tajarin con ragù cotto nel Barolo, gli agnolotti al burro fuso, il brasato di bue al Barolo e quello di cinghiale, il bollito misto, la panna cotta, il bonet, la torta di nocciole con sanbajon (zabaione), tutto nella nuova versione “gastronomica”. Ogni giorno il menù varierà stupendoci e nella stagione invernale potremo gustare l’eccezionale polenta dei Marino, mentre in autunno i piatti saranno insaporiti con il tartufo e nulla si disperderà della cucina di Claudio e Alba del “Ristorante Albero Fiorito”, storico locale degli anni ’50, in una Dogliani ai tempi dell’allora giovane Einaudi, e per molti decenni punto di sosta per buongustai e di transito per personaggi famosi, come si poteva vedere dai “piatti con dediche e autografi” esposti all’entrata.
Potremo acquistare, nella vicina macelleria di Rolfo & Rolfo, ottime carni e salumi, ma anche il vino di produzione di Enrico Rolfo e se il caldo vi conduce verso un refrigerante sorbetto non ci resta che lasciarci rinfrescare dal Bar Roma e gustare gli ottimi gelati.

Restiamo sulla piazza Umberto I per incontrare “Il Vasaio” e scoprire come si costruiscono vasi di terracotta, visitare la maestosa parrocchiale di SS. Quirico e Paolo, anch’essa dello Schellino, e “meditar vini” nella “Bottega del Dolcetto” situata negli scantinati di un ex convento dei Carmelitani, del 1500, con una coreografica struttura interna a volta bassa.
Curioso è questo scritto datato 1593, e riportato su un opuscolo della Bottega del Dolcetto, in cui la municipilità di Dogliani emanava un documento di “Ordini per le vindimie”, che diceva: “Niuno ardischi, al di qua della festa di S.Matteo (21 settembre) vindimiar le uve, et se qualcheduno per necessità od altra causa, dovrà vindimiar qualche dozzetti dovrà prender licenza dal deputato; sotto pena della perdita delle uve

Nella seicentesca cappella dell’ex Convento del Carmine, attiguo alla Parrocchiale di San Paolo, si può visitare un interessante “Museo degli Ex -Voto“, dove una collezione di tavolette votive è la testimonianza della devozione popolare. Alcuni antichissimi, presentano immagini con costumi medioevali…

Gli amanti della letteratura possono visitate la Biblioteca Civica Luigi Einaudi, una moderna struttura che attraverso scaffalature mobili scorrevoli è in grado di trasformarsi in auditorium con 80 posti a sedere. Sono oltre 16.000 i volumi presenti nella biblioteca. Da alcuni anni la biblioteca è diventata anche un luogo d’incontro che ospita conferenze, spettacoli, mostre, e oltre agli scrittori vanta anche la presenza di illustri personaggi e personalità del mondo dell’arte, dello spettacolo, della musica, del giornalismo e di altre discipline, tra questi ricordiamo Valeria Moriconi, Ottavia Piccolo, Primo Levi, Fruttero & Lucentini, Mario Soldati, Giovanni Arpino, Giorgio Forattini, Demetrio Volcic e Ilario Fiore

Ogni anno il comune assegna il riconoscimento “Zolfanello d’Oro” in ricordo di Domenico Ghigliano che nel 1832 inventò il fiammifero a sfregamento. Il premio viene assegnato a persone nazionali ed internazionali che si siano particolarmente distinte per le loro idee. Tra i premiati spiccano i giornalisti Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Milena Gabanelli di Report (Raitre), e Greenpeace.

Curiosando sulla storia di Dogliani ho trovato nel volume “Guida delle Langhe misteriose”, di Giuliano Vogliolo. Sugar Editore 1972, queste notizie storiche e leggende di masche… e demoni.
Da: Passione religiosa
Così leggiamo nelle “Memorie sull’antichità di Dogliani” del Gabutti: “nel 1671, alla missione fatta dai reverendi PP. Gesuiti, la processione di penitenza cominciò alle ore 19; congregarono tutti in S. Paolo. Precedeva una figlia scapigliata, piedi scalzi, vestita a nero, con corona di spine: poi donne, uomini, clero, curato con croce e laccio al collo, scalzo; li PP. del Carmine, li scolari coi maestri coronati di spine; Confratelli bianchi e neri che si disciplinavano a sangue e catene al collo a tre a tre, sparsi di cenere

Sentite cosa capitò nel 1708: la piazza tutta coperta di “tele” per la pioggia; comunione di 4.000 persone; processione che incomincia a mezzanotte e termina alle 3 del mattino; disciplinanti “con segni di penitenza, croci, corone di spine, teschi di morti, catene al piede trascinando e disciplinandosi”; vengono cantate “sentenze spaventose”. La processione, immensa, si dirige alla “Valle detta dei Morti o Borgheletto”: “quivi, salito il predicatore sopra il tribunale, diede la benedizione e fece la disciplina flagellandosi con placche di ferro attaccate insieme; usciti disordinatamente dalla Valle si radunarono in piazza, che non poté capire tanto popolo; La contrada era piena ed anche sotto i portici. Si presume che fossero circa diecimila persone, e più di 80 disciplinati a sangue e catena al piede”. Dopo che tali lugubri processioni cessano nella Valle dei morti, si pensò che tale luogo fosse diventato asilo e ritrovo di masche: dalla religione superstiziosa alla superstizione.”

Lasciamo Dogliani e inoltriamoci sulla strada verso Clavesana, dove incontriamo il Bricco dell’Imperatore: nelle notti limpide da lassù si intravedano le luci di Torino… Poco lontano dal paese troviamo un’altra stranezza: la foggia spagnola della chiesa di Surìe, con i due campanili. Ancora un’altra curiosità è il torrente Argentella, così chiamato perchè un tempo, si dice, che qualcuno vi trovò della sabbia argentifera.

Curioso esempio di devozione rupestre è il luogo dell’apparizione della “Madonna della Rocca”, poco fuori dall’abitato, sulla strada per Somano. Incastrato nel tufo della rocca sovrastante, da oltre 80 anni l’immagine della Madonna spicca nel grigio tufaceo in perenne movimento franoso. Un sentiero delimitato da una rustica staccionata in legno conduce ad una nicchia scavata nella roccia, una sorta di altare dove la fede dei doglianesi continua incessante la sua devozione dall’apparizione ai giorni nostri.

Poco prima dell’abitato di Dogliani si alza maestosa una rupe scoscesa di terriccio argilloso, pietra e arenaria grigiastra, chiamata “Castiglia“, fiancheggiata dal Rio Gamba. Ancora oggi la piccola valle è un luogo solitario, poco frequentato anche dal transito delle auto e indubbiamente all’epoca degli eventi era ancora più suggestivo e forse un pò lugubre, ma non privo di fascino e mistero.

La Madonna della Rocca di Dogliani“. Questo è il titolo di un interessante volume che tra storia, fantasia e realtà rievoca l’evento “curioso, insolito”, accaduto nella Dogliani del 1925. Sono pagine di storia locale che narrano un episodio che se in quel periodo ha fatto molto scalpore ancora oggi è motivo di discussione e devozione.

Attraverso una ricerca storica coordinata dal prof. Giuseppe Martino, gli alunni della II A, della scuola Media hanno composto uno spaccato di religiosità che meriterebbe più attenzione, se non altro per la componente devozione che spesso si incrocia purtroppo con l’intransigenza, gli interessi del clero e il suo potere e il volere l’esclusivo dominio sulle anime, dimenticando che alle origini di una devozione esistono sempre dei fatti miracolosi o almeno “strani, inconsueti, non spiegabili scientificamente o comunque insoliti”. Verso l’imbrunire del 27 agosto 1925, due giovani pastorelle, della frazione Pianezzo, Giuseppina Marenco e Giuseppina Berchialla, intente a pascolare le pecore, guardando verso la rocca a picco sulla strada, scorsero che dove si era staccato un grande blocco di tufo, in alto, si era formata una specie di nicchia con al centro una figura bianca e nitida, di donna snella, con la faccia dolce e il capo incoronato da un diadema regale, che pareva riprodurre la figura della Madonna con il Bambino. L’immagine, frutto dell’azione dell’acqua, dell’umidità, dei millenni di infiltrazione e del bianco salnitro depositato, agli occhi delle fanciulle apparve come quella miracolosa della Madonna. Probabilmente era ed è null’altro che un’incrostazione geologica di salnitro, messa in risalto dal tufo grigiastro, ma la sincera devozione popolare vide in questa immagine un chiaro segno divino e… l’apparizione della Madonna divenne una realtà agli occhi dei fedeli. Non è strano domandarsi come mai la Madonna compare sempre a dei pastorelli. Non dimentichiamo che sino a non molti decenni fa erano molti i bambini che non frequentavano la scuola e “lavoravano” portando al pascolo il bestiame. E non è strano che Essa appaia sempre in luoghi isolati, proprio perchè è in questi che pascola il bestiame e quelle che oggi sono strade transitate un tempo erano percorse da pochi individui, qualche carretto e qualche contadino che con passo lesto tornava dal lavoro nei campi. Ma è anche in questi luoghi di pace e silenzio che le anime devote si avvicinano di più a Dio…

Contrariamente alle apparizioni che beneficiano esclusivamente la persona interessata e non sono visibili da altri, questa formazione biancastra essendo originata dal salnitro era, ed è, fotografabile. Come giustamente scrive lo stesso prof. Martino, non si poteva parlare di apparizione o visione soprannaturale, ma di una figura presente sulla parete di arenaria, simile ad un dipinto al salnitro. Non per questo non restano un mistero le numerose opere di guarigione di molte persone che gridarono forse troppo frettolosamente al “Miracolo”, prima di sottoporre il caso della “Apparizione e delle guarigioni” ad un più attento esame religioso e scientifico, cosa che invece fece la Chiesa, archiviando il caso come di origine scientifico, mineralogico. Iniziò un pellegrinaggio di devoti provenienti da ogni località, e ben presto si progettò la costruzione di un santuario addossato alla parete. L’esaltazione, la buona fede, l’entusiasmo, non bastarono a consentirne la costruzione a cui si opponeva la Chiesa. I giornali pubblicano i particolari delle prime guarigioni miracolose e il luogo divenne purtroppo anche motivo di commercio di ambulanti che vendevano vino, alcool, birra, cibarie, bibite e gelati, cartoline illustrate candele, medagliette e immagini sacre. Fedeli d’ogni ceto, ma anche semplici curiosi affluirono sul luogo per pregare davanti a questa immagine “naturale” apparsa improvvisamente dall’interno della parete e poco importa se si trattava di un fenomeno naturale perchè la rassomiglianza della figura comparsa è tutt’ora talmente perfetta da non lasciare dubbio riproduca quella della Madonna con in braccio il Bambino. Anche i dettagli sono perfetti e la “Bianca Figura” pare elargire guarigioni straordinarie e grazie. Anche la Curia esaminata l’immagine ne riconosce la perfetta assomiglianza con quella della Madonna, ma nega si tratti di un’apparizione. Le persone rimanevano per ore inginocchiate per terra raccolte in fervida preghiera, noncuranti della pioggia, altri intonavano canti religiosi, recitavano il Rosario: miracolosa o creata geologicamente resta però la realtà di quelle persone in preghiera che rappresentavano una spontanea manifestazione di devozione alla Madonna “quella” che tutto il mondo cristiano venera. Spinti dal bisogno di preghiera i fedeli sono motivati da un sincero sentimento religioso e cercano conforto alle proprie pene nella fede e in questo luogo trasformato in un santuario a cielo aperto. Non c’era giorno, né ora in cui nella piccola vallata non risuonassero le lodi e le preghiere dei fedeli, ma anche dei malati, dei sofferenti che incuranti dei disagi proseguivano il loro cammino della fede in cerca di un miracolo: ed è già questo un miracolo! Quando la scienza è insufficiente l’uomo ricorre a quelle forze superiori affidandosi ad esse e prega, invoca l’aiuto Divino affinché operi il miracolo, la grazia. Forse questa immagine è simile a quelle che il torrente Belbo crea con i massi, conferendogli strane forme umane, ma “qualcosa” più in alto dell’uomo ha aiutato direttamente o indirettamente ad operare il… miracolo delle guarigioni! In breve tempo la notizia di guarigioni e fatti soprannaturali varcò i confini locali e persino l’oceano giungendo a New York dove il “Corriere d’America” gli dedicò ampio spazio. La Curia di Mondovì intervenne avvertendo tutti i parroci e i rettori di smentire il fatto e di avvertire i fedeli di non dare considerazione all’apparizione e meno ancora di parlare di miracoli.

Lasciamo le eclettiche costruzioni dello Schellino, che sono un miscuglio di cupole neoclassiche, guglie neogotiche, torri medioevali che paiono uscite dalla scenografia di un canto di… Wagner per conoscere un altro personaggio. Personaggio noto quanto imprendibile, in perenne equilibrio tra genio e sregolatezza, stravaganza e buon senso: Gianni Gallo, incisore di fama è un artista con la “A” maiuscola! I suoi disegni vengono intagliati nel legno e poi riprodotti in incisioni incredibili, perfette quanto stupende. Dalle etichette per i vini alle opere di incisione, con i colori tenui, morbidi, egli narra della sua terra di Langa, dei suoi colori, dei suoi frutti, degli animali che gli vivono accanto. Personaggio… imprevedibile vi darà risposte strane, quasi assurde… ma intelligenti, che vi faranno sorridere. Difficile avvicinarlo, ma quando avrete conquistato la sua simpatia inizierà a parlare ininterrottamente e saranno tante le storie, gli aneddoti che vi narrerà che non vorreste più allontanarvi…

La storia di Dogliani e della sua gente si può scoprire attraverso la coinvolgente narrativa del libro “Niente per caso”, di Maria Tarditi, edito dall’Araba Fenice e con bella prefazione del prof. Giuseppe Martino, presidente dell’associazione “Amici del Museo” e direttore del giornale “Dogliani e la sua Langa”. Maestra di Monesiglio, La Tarditi narra la storia di un trovatello e dei personaggi che ruotano attorno alla sua storia ambientata nelle Langhe dell’800.

Tra i personaggio famosi Dogliani vanta la presenza del fumettista e disegnatore Pini Segna e per presentarvelo lascerò la “parola” o meglio “la penna” che ha composto un mio articolo:

Pini Segna: “Da Mandrake a Zagor: una vita per i fumetti”
Fiorentino di nascita ma langarolo d’adozione, Pini Segna vive a Dogliani. Abile ritrattista è anche un noto fumettista che ha sollecitato la fantasia della nostra infanzia con indimenticabili personaggi usciti dalla sua penna. Penna di Gran Fama, che ha firmato le avventure di Indian Kid, Ringo, Dick Montana ed altri di cui è stato anche editore. Ha inoltre disegnato diversi personaggi creati da altri autori, come Zagor di Ferri, Pantera Bionda di Magni, Mandrake e L’Uomo Mascherato delle Edizioni Spada.
Personaggi indubbiamente noti ai “non più piccini” che però non hanno dimenticato anche altri personaggi come Zorro (sugli albi “Mignon”), Penna Azzurra, Furio, Capitan Miki, Mark, Blek Macigno, Dich Montana, Gil Bart, Comix Story, Penthotal, Giungla Kid, Glory Men, Glory Girl, Ringo, Zorro (sugli albi “Mignon”), Hombre, Dakota, Kriminal, Infernal e Zakimort.
Schivo di quegli “eccessi” narcisisti che “disturbano” un’opera la cui bellezza è già una lode a sé stessa e allontanano l’interesse di chi ne era rimasto attratto, Pini Segna più che parlare di sé stesso resta ad ascoltare gli altri e con la sua riservatezza taciturna, attraverso il sorriso riesce ad affascinare e a dialogare più che con le parole… Semplice e riservato come dovrebbero essere tutti i “Grandi” non cerca lodi né applausi, ma lascia che siano gli altri a riconoscergli ogni merito… compreso quello della simpatia e se decide di narrare dei personaggi dei suoi fumetti si trasforma come per incanto e le parole gli scivolano in un roteante susseguirsi di emozioni e gioie, proprio come stesse parlando dei propri figli: ma forse è perchè la sua parte artistica, priva di eccessivi interessi commerciali, tende a trattenere accanto a sé le proprie creature da cui malvolentieri se ne allontana… Ed è così che, intervistandolo, mi piace vederlo: come il padre delle sue Creature Fantastiche… E se dimenticato in qualche angolo della memoria uscirà un vecchio giornalino pensate che in lui può nascondersi il talento di Pini Segna, un uomo semplice ma Grande che ha fatto sognare la mia generazione regalandoci quelle emozioni che i giovani di oggi non avranno il privilegio di provare: vivendole racchiuse in computer e video game, indubbiamente belli, colorati e con movimenti, ma non per questo “vivi”, come i personaggi usciti dai vecchi fumetti e resi “Vivi” dalla nostra Fantasia…

Altro personaggio illustre fu indubbiamente Giovanni Battista Schellino, emblematico, stravagante e geniale architetto autore di tutti i più importanti edifici di Dogliani e di molti altri in zona, come il castello di Novello incredibile costruzione fantastica e fantasiosa… Si dice che amasse talmente il suo lavoro da divenirne succube sino al punto di riuscire a lavorare anche più di 15 ore al giorno e di dormire solo 5 ore per notte e talmente devoto al cristianesimo da non pretendere mai compensi per le committenze religiose. Classe 1818 egli nacque in borgata “La Spina” e li visse tutta la vita.

Un’altro personaggio che rese celebre Dogliani con la sua invenzione fu il chimico Domenico Ghigliano che nel 1821 fu il primo italiano a lavorare il chinino, importato dalla Francia, e a distribuirlo nella sua farmacia. Fu anche l’inventore dello zolfanello: a quei tempi per accendere i lumi e per i fumatori erano tempi duri. Si dovevano intingere degli stecchini intrisi di zolfo in varie soluzioni acide, finché egli non inventò una composizione idonea ad indurirsi sui bastoncini.
Domenico Ghigliano nacque il 9 dicembre 1790 da Giovanna Gabutti e Carlo Ghigliano, chirurgo e ufficiale nel Regio Esercito Sardo. Appassionato di chimica e botanica fu commesso e studioso presso una farmacia. A 16 anni continuò gli studi a Mondovì presso Basilio Baruffi, noto chimico-farmacista. Nel 1815 ottenne l’autorizzazione ad esercitare la professione. Nel 1832 raccolse le lamentele dell’amico il conte Chiesa di Vasco, noto botanico monregalese, che così si lamentava: “Ogni notte, dovendo accendere più volte il lume con lo stecchino intriso di zolfo, biossido di piombo e clorato di potassa, devo immergerlo nella boccetta di amianto imbevuto di acido solforico. Questi gocciola, e acceso crepita, spruzza scintille che bruciacchiano le lenzuola forettandole! Mio caro Domenico, tu che sei chimico inventa qualcosa!”. E Domenico accolse l’invito. Mutò il minio nel solfuro di antimonio. Cambiò le dosi e ne bagnò alcuni stecchini, poi lasciò indurire la composizione per evitare il gocciolamento, quindi li pose sul davanzale della finestra perchè asciugassero. Il figlioletto, entrato nel laboratorio, ne prese uno e sfregò la punta sulla pietra del davanzale per vedere se il composto era asciutto. Lo stecchino si accese e altrettanto fecero gli altri:era nato il fiammifero che si accende per sfregamento su qualunque superficie ruvida!

Altro doglianese celebre fu Giuseppe Gabetti, musicista che si trasferì a Torino da dove compose musiche per organi, bande, balli e messe. Arruolatosi nell’esercito, nel 1820, divenne capo musicista del reggimento. Carlo Alberto gli ordinò di comporre l’inno per il reggimento ed egli compose la Marcia Reale che ben presto divenne un inno in tutta Italia. Tornò nelle Langhe e si stabilì a Dogliani proseguendo la sua attività di musicista e compositore.

Ma esistono altri personaggi degni di essere incontrati, come Valerio Gabutti, creatore di violini e ghironde; Francesca Bruno, valente restauratrice e Luigi Barroero della vicina Belvedere Langhe… uno degli ultimi cantastorie…
Maggiori informazioni: www.comune.dogliani.cn.it

Gallo – Grinzane/ Cavour

Basterà percorrere poche centinaia di metri dalla Cantina “Terre del Barolo” per entrare nella patria del torrone. Siamo a Gallo – Grinzane/ Cavour, dove troviamo la storica azienda di Giuseppe Sebaste. Negli anni attorno al 1880, Giuseppe Sebaste era un semplice garzone di pasticciera ad Alba, la capitale langarola. Lasciato il lavoro di garzone si mette in proprio e inventa il torrone piemontese sostituendo le mandorle del tradizionale dolce natalizio con le nocciole. L’intraprendente Giuseppe si mette a girare per le Langhe con un carretto, in occasione delle fiere. Nel 1885 fonda il torronificio Sebaste. Nel tempo l’azienda si rinnova continuamente seguendo il progresso e nuovi macchinari sostituiscono l’antica manualità, per fare fronte alle richiesta di mercato, ma restando fedele all’antica ricetta.

Il comune è diviso in due centri: Gallo e Grinzane Cavour. Gallo, è un moderno insediamento con la zona industriale e artigianale. Grinzane, con poche case poste attorno al Castello, costituisce la parte storica risalente al XIII secolo. Costruito tra il secolo XI e il XIII, passò ai marchesi di Monferrato nel tardo quattrocento, venne poi venduto in parte a Pietrino Belli, nel 1557, e in parte a Teobaldo Cagnola, nel 1560. Venne occupato dagli spagnoli nel corso del conflitto franco-spagnolo per il predominio sull’Italia. Appartenne a Camillo Benso Conte di Cavour che qui vi dimorò dal 1832 al 1849 e lo trasformò in un importante centro di produzione dei vini locali. Attualmente ospita il Museo Etnografico e l’Enoteca Regionale, un prestigioso ristorante e l’interessante Sala delle Maschere, luogo di convegni e incontri. Stupendo il soffitto a cassettoni con 157 tavolette dipinte con i ritratti di personaggi spagnoli della corte di Carlo V. Nel museo si possono vedere ambientazioni del ‘600 e dell’800, distilleria del’700, contadinerie da cortile, bottega del bottaio.

Dietro il castello troviamo la storica “Cantina del Conte”, di Sergio Pelissero, trasformata in enoteca, grapperia, bottega di prelibatezze in cui è possibile acquistare i tipici prodotti di Langa. Questa antica cascina di proprietà dei Conti di Cavour fu acquistata da Francesco Pelissero, nel 1921, dalla marchesa Adele Alfieri di Sostegno, nipote del famoso Camillo Benso Conte di Cavour. La struttura comprende una sala dove si può sostare per una degustazione a base di vino, pane e salumi, tome, acciughe, tartine con il tipico formaggio “brus”, torrone, torte di nocciole e altre prelibatezze locali. Pelissero è anche produttore di vini Dolcetto, Barbera d’Alba, Nebbiolo, Barolo, e di ottime grappe ottenute con la distillazione delle sue uve.
Fermiamoci a pochi metri dalla “Cantina del Conte” per trascorrere un’indimenticabile notte presso la “Locanda del Conte”, una struttura fine ‘800, sempre di proprietà della famiglia Pelissero, recentemente ristrutturata in modo “scenografico”, con camere singole, doppie e suites a disposizione per chi vuole provare l’emozione di dormire sopra letti a baldacchino, in stanze arredate con mobili d’epoca e al risveglio, dalla finestra, ammirare uno stupendo panorama che si estende dai vigneti del Barolo, sino alle Alpi.

Fontanafredda

Rimaniamo nei pressi di Grinzane Cavour e percorriamo la stupenda panoramica collinare per Serralunga d’Alba e Fontanafredda. Poco distante incontriamo la località Fontanafredda dove sorge la “casa di caccia” del re Vittorio Emanuele II, ricca di storia legata alla “Bela Rusin”, la bella popolana di cui il re s’invaghì. Siamo nel cuore di quel Piemonte che scrisse le pagine della Storia d’Italia e molte sono le residenze e le palazzine di caccia Sabaude in Piemonte.

In località Fontanafredda sorge la tenuta di caccia, residenza preferita del Re Vittorio Emanuele che qui trascorreva le sue giornate con Rosa Vercellana, meglio nota come “la Bela Rusin” (bella Rosina), la bella popolana di cui il re s’invaghì e che ne divenne la moglie morganatica, anche se vedendo le foto viene spontaneo mettere in discussione i gusti del Re, più che bella essa appare “florida e prosperosa”… La favorita del re era di origine popolana. Nata nel 1833 e originaria di Moncalvo (AT), era figlia di un soldato sabaudo. La leggenda dice che nel 1847, appena quattordicenne, la fanciulla riuscì ad ottenere un’udienza dal futuro sovrano, per chiedere un favore per la sua famiglia e da quel momento il futuro re non la perse di vista. Due anni dopo salito al trono la volle accanto a sé, a Moncalieri (TO), poi a causa di problemi di corte la trasferì a Pollenzo (CN), ma essendo un luogo di incontri per gli affare di corte, per evitare i pettegolezzi fu costretto a trasferire la giovane amante in una nuova villa fatta costruire appositamente, nel fondo di caccia di Fontanafredda. La costruzione venne terminata in breve tempo e arredata secondo i desideri della donna che nel frattempo era stata nominata contessa di Mirafiori e Fontanafredda. Rosa Vercellana ebbe dal re due figli, Maria Vittoria ed Emanuele Alberto (morto prematuramente nel 1931) . Il re la sposò nel 1869. Mentre nelle altre località questo amore clandestino era malvisto, qui era considerato una fortuna perchè dava lavoro al personale di servizio, ma anche per le generose manciate di monete che Rosa elargiva ai bambini che circondavano la sua carrozza quando usciva, e per i lavori di ristrutturazione del vecchio borgo che fece iniziare. Torino, fu la prima capitale d’Italia poi gli succedettero Firenze e Roma e il re si trasferì con Rosa in queste capitali, ma la donna non partecipò mai pubblicamente nelle occasioni ufficiali e nemmeno si intromise negli affari della Casa Reale. Quando il re morì ella si trasferì a Sommariva Perno (CN) dove morì nel 1885. Se l’aristocrazia le era indifferente al contrario il popolo l’amava vedendo in lei il loro riscatto, una loro pari che era divenuta ricca e nobile mantenendo però disponibilità e generosità verso il popolo. La sua unione con il sovrano durò trenta anni e per tutto il tempo tra i due vi fu una fitta corrispondenza che, come in uso nel privato dei Savoia, era in dialetto piemontese.

La storia di Fontanafredda come azienda vitivinicola inizia nel 1878, grazie a Emanuele Guerrieri conte di Mirafiori (figlio naturale di Vittorio Emanuele II e di Rosa Vercellana), imprenditore che segue criteri innovativi all’avanguardia, puntando alla produzione di vini di qualità, soprattutto del Barolo. La storia riferisce che la proprietà “Roggeri Giacomo fu Giovanni Battista in Serralunga d’Alba” venne iscritta nel patrimonio privato di Vittorio Emanuele II Re di Sardegna, il 17 giugno 1858. L’intera partita di terreni venne poi intestata l’anno successivo a “Guerrieri conte Emanuele e Maria Vittoria sorella”, i figli naturali del Re e di Rosa Vercellana.
Presso il villino “Bela Rusin”, vi è una sorgente sulfurea e poco distante il santuario dedicato alla Madonna di Lourdes.
Oggi i “Tenimenti di Barolo e Fontanafredda” sono una rinomata tenuta dei vini. La tenuta e le antiche cantine sono visitabili.

Serralunga d’Alba

Non molto distante si potrà visitare uno splendido maniero, un gioiello medioevale, maestoso quanto insolito nella sua struttura: il Castello di Serralunga d’Alba, uno dei più belli e originali, con le alte torri tonde che lo rendono simile a quelli della Loira e della Scozia. Perfettamente conservato merita di essere visitato (info: tel. 0173613358).

Edificato nell’Alto Medioevo come torre di avvistamento venne modificato nel corso dei secoli, sino a divenire una vera e propria fortezza. Il luogo era anticamente fortificato da una torre d’avvistamento costruita sul crinale del colle con lo scopo di comunicare i messaggi alle altre fortificazioni, come in uso a quei tempi. Dominio di Bonifico Del Vasto passò ai Del Carretto e ai Marchesi di Saluzzo. Quindi ai Marchesi Falletti di Barolo, la potente famiglia che possedeva numerosi feudi nelle Langhe e che ne mantenne il possedimento sino al 1864, quando la dinastia terminò con la morte di Giulia Colbert ultima marchesa di Barolo. Nel 1340 passò ai Pietrino Falletti che fece abbattere la torre per costruire l’attuale castello ultimato dal figlio Gioffredo II, che nel 1357 era divenuto Marchese di Barolo. La fortezza prese il posto della torre e, allineata agli altri castelli dei Falletti, continuò a fungere da comunicazione ottica: di notte con segnali fatti con le fiaccole e di giorno con drappi colorati. Fu espugnato nel 1616, da Don Pedro di Toledo, Signore di Milano.
Per la caratteristica forma stretta e lunga prese appunto il nome di “Sera Longa”. Il castello mantenne sempre le funzioni di fortezza, con l’abitazione feudale non circondata da fortificazioni, ma costituente essa stessa un elemento forte. La fortificazione presenta nella struttura tre torri asimmetriche: una quadrilatera, una tonda ed una terza pure tonda ma pensile e diverse anche in altezza. Una vera stranezza.

Interessante il centro storico con caratteristiche medioevali. Le strade del borgo, in antico selciato in pietra, salgono verso la porta d’ingresso del poderoso maniero. Al borgo antico si accade passando sotto la Porta Alba dove un tempo chiunque vi transitava, sia che entrasse o che uscisse, era sottoposto ad un controllo e all’eventuale pagamento del dazio. Ogni sera la porta veniva chiusa fino all’indomani.

Da vedere: la chiesa di San Sebastiano martire fu ricostruita nel 1630 e conserva il campanile cuspidato del ‘400.

Maggiori informazioni: www.comune.serralungadalba.cn.it