Logica integrazione di un’azienda impegnata da quasi mezzo secolo nella valorizzazione dell’economia agricola con particolare riferimento alla viticoltura, la Fondazione Lungarotti nasce (1987) allo scopo di favorire lo studio, la conoscenza e la promozione dell’enorme patrimonio di saperi, di arti, di cultura proprio della civiltà del vino e dell’olio. Il merito di tale creazione si deve alla moglie del fondatore dell’azienda, Maria Grazia Marchetti Lungarotti, archivista, storica dell’arte e animatrice, fin dagli anni Sessanta, del dibattito culturale sui musei in Italia. E’ a lei che si deve la nascita del Museo del Vino (1974) e del Museo dell’Olivo e dell’Olio (2000), ed è sempre lei che, con grande sensibilità e impegno, gestisce la Fondazione e i Musei, guidandone le innumerevoli iniziative che vanno dalla produzione editoriale alla realizzazione di mostre e convegni a tema.

L’elenco dei tesori raccolti nelle due sedi museali è praticamente infinito, anche perché – in una concezione di museo dinamica e moderna – le collezioni sono in continuo arricchimento come in continuo aggiornamento sono gli studi e la documentazione su di esse. L’impegno profuso in tanti anni di attività è stato riconosciuto dall’affetto con cui le iniziative della Fondazione Lungarotti sono seguite dal suo pubblico e dai prestigiosi attestati internazionali attribuitile: nel 1992 il Museo del Vino ha ricevuto a Parigi il “Prix de l’Excellence Regionale”, un riconoscimento con cui la commissione del concorso internazionale “Tourmusée” ha sottolineato la validità dell’istituzione Lungarotti premiandone l’impegno nell’ambito del turismo culturale. Al Museo dell’Olivo e dell’Olio, inoltre, nel 1998, è stata assegnata una menzione di merito per l’ambitissimo premio “Impresa e Cultura” attribuito dalla Fondazione Peggy Guggenheim.

IL MUSEO DEL VINO – Il grande merito della Fondazione: riuscire nell’ardua e affascinante impresa di raccogliere, in Italia e all’estero, reperti rari che testimonino il ruolo fondamentale che la cultura del vino ha avuto, e continua ad avere, nella storia dell’uomo. Il Museo (la più completa raccolta sulla storia e cultura del vino), infatti, ricavato nel monumentale palazzo Graziani-Baglioni del XVII secolo, si articola in 20 sale e offre al visitatore uno straordinario percorso conoscitivo che spazia nei millenni e arriva fino all’epoca contemporanea: si va dagli attrezzi da lavoro utilizzati nei campi o in cantina al vasellame d’uso quotidiano, fino ai preziosi vasi e boccali da parata rinascimentali o alle sculture a tema dionisiaco dalle interpretazioni sempre diverse. Dagli inestimabili reperti archeologici fino alle eccezionali opere d’arte contemporanea, il percorso si snoda cronologicamente tra trattati di agricoltura, testi scientifici, letterari e poetici, simboli religiosi, documenti d’archivio e poi infiniti boccali, bicchieri, coppe, bottiglie, piatti e innumerevoli altre testimonianze della presenza e della pregnanza della cultura del vino nell’immaginario dei popoli mediterranei. Tra i numerosi pezzi da ammirare troviamo l’elegante coppa in vetro soffiato dalle sembianze femminili disegnata da Jean Cocteau; la straordinaria fiasca da parata seicentesca proveniente dalla bottega Fontana di Urbino, la più vasta collezione di ceramiche potorie di età medievale, rinascimentale e barocca; le creazioni di Gio’ Ponti, Piero Fornasetti ed altri maestri del ‘900, cui si aggiungono più di 600 incisioni firmate dagli artisti più importanti del passato, come Mantegna, Carracci, Goltzius, Raimondi, fino ad arrivare a Guttuso e Picasso. E ancora: testi dedicati al vino dai grandi della letteratura e della cultura saggistica, da Virgilio a Redi, da Catone a Columella. Accanto ai volumi che documentano come produrre un buon vino, presenti in edizioni cinquecentine che fanno la passione dei bibliofili, sono esposti testi che insegnano a sfruttarne le molteplici virtù per curare il corpo e la mente. Da segnalare assolutamente, poi, tutta una serie di oggetti curiosi, che sottolineano l’aspetto più ludico della cultura del vino: stampe e incisioni a tema bacchico-dionisiaco in cui ricorrono scene di festa dal divertimento sfrenato, o i numerosissimi contenitori da vino amatori (donati cioè all’amata in occasione del fidanzamento) che spesso nascondono segreti meccanismi “a inganno” che rendono difficile l’accesso al vino. Prevalentemente realizzati in ceramica, coppe e brocche “bevi se puoi” simboleggiano più d’ogni altro oggetto l’allegria del bere insieme.

IL MUSEO DELL’OLIVO E DELL’OLIO – La nascita di questo secondo museo risale al 2000 e si avvale della preziosa esperienza rappresentata dal “primogenito” Museo del Vino, la filosofia e lo schema organizzativo, infatti, sono gli stessi. Il Museo dell’Olivo e dell’Olio documenta la presenza e l’importanza dell’olio nella vita quotidiana attraverso i millenni: eccellente alimento, indispensabile fonte di luce e di riscaldamento, elemento rituale e volano dell’immaginario. Il percorso museale (che affianca la cultura classica a quella più moderna, attuale, alternativa) inizia con la documentazione botanica e dei sistemi di coltivazione dell’olivo, la storia delle macine e delle presse per l’estrazione dell’olio, racconta e stupisce con manufatti rari. Il tutto nel corso di dieci sale, in cui si possono scoprire non solo corredi tecnici per l’olivicoltura e la lavorazione delle olive, ma anche testimonianze archeologiche e artistiche uniche, introvabili. Fra queste alcune colpiscono in modo particolare. È il caso di un’antichissima lucerna a tre fuochi in marmo greca che risale al VII sec. A. C. Notevoli anche l’oliera “Suemare”, in ebano, avorio, acciaio e cristallo, firmata Cristophle (anno 1925), la collezione di rari unguentari dalle forme più diverse, la vanitosissima serie di portasapone in rame stagnato (XIII e XIX sec. ), le preziose e appariscenti lucerne da parata in argento e marmo. Nelle sale si avvicendano oggetti diversi per materiale e provenienza esposti allo scopo di documentare i numerosi usi tradizionali dell’olio. Incuriosisce la presenza di un modellino di telaio umbro novecentesco. Come mai compare tra le collezioni di un museo dell’olio? Perché l’olio serviva (fino a pochissimi decenni fa) per ingrassare le fibre nel processo di lavorazione della lana. In poche parole: il museo, ospitato in un ex frantoio (ancora funzionante, fra l’altro, in epoca recente) mette in luce gli innumerevoli e differenti usi dell’olio nella storia, dall’illuminazione all’alimentazione di ieri e di oggi, dallo sport alla cosmesi e alla medicina. Del resto la pianta dell’olivo e il prodotto derivato dal suo frutto nell’immaginario popolare ha da sempre valenze simboliche, propiziatorie e curative, molte delle quali sono ormai largamente confermate dalla scienza.

Informazioni: www.lungarotti.it