Il tatuaggio come terapia per alleviare il dolore, come talismano, come mezzo per spaventare il nemico, come punizione o marchio di infamia, o come segno di appartenenza ad una religione. Il tatuaggio oggi considerato per lo più solo una forma d’arte, fin dagli albori del genere umano era, invece, alla pari del linguaggio.
E proprio per riscoprire il senso antico di questa millenaria pratica il Mudec di Milano ha allestito nelle sue sale, per riscoprire l’arte del tatuaggio concentrandosi in particolare sull’area mediterranea. Il tatuaggio ha così una storia antica quasi quanto l’uomo, e da qui si articola il progetto della mostra, che segue un chiaro fil rouge cronologico, fatto di oggetti, reperti storici, strumenti, materiali sonori, videoinstallazioni, infografiche, stampe, incisioni, testi e riproduzioni.
Esposti per la prima volta in mostra anche sorprendenti materiali italiani, che documentano la persistenza millenaria di una tradizione tricolore che all’antichità è giunta intatta sino alla metà del Novecento, a dimostrazione del fatto che il tatuaggio non è un’esotica invenzione polinesiana ma una pratica che non è mai scomparsa dal territorio europeo e dal bacino mediterraneo.
L’originale mostra “Tatuaggio. Storie dal Mediterraneo”, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promosso dal Comune di Milano-Cultura, a cura di Luisa Gnecchi Ruscone e Guido Guerzoni, con la collaborazione di Jurate Francesca Piacenti, ripercorre la storia del tatuaggio, dalle evidenze preistoriche ad oggi, concentrandosi in particolare sull’area mediterranea, ma esponendo anche materiali extra-europei che facilitano la comparazione di un fenomeno globale.
Nel corso dei millenni, infatti, il tatuaggio ha assunto via via forme, significati e funzioni differenti: ci si tatuava volontariamente per prevenire e curare malattie, dichiarare il proprio rango, esprimere la propria fede o celebrare riti di passaggio oppure si poteva essere tatuati “a forza”, in quanto schiavi, disertori o condannati, per recare indelebili marchi d’infamia.
È con Cesare Lombroso, Alexandre Lacassagne e altri cosiddetti “antropologi criminali”, che tra la metà del XIX e gli inizi del XX secolo il tatuaggio viene associato ai marginali, ai carcerati, ai ‘devianti’. Nasce così il pregiudizio nei confronti di una pratica considerata “primitiva e atavica”, indegna dell’uomo “civilizzato”, con la conseguente affermazione all’interno di specifiche subculture che l’hanno orgogliosamente presidiato fino al recente successo di massa planetario, che lo ha reso una modifica del corpo socialmente accettata, nonché estremamente popolare.
All’interno di un allestimento scenografico multimediale e interattivo realizzato dallo studio di progettazione e design Dotdotdot, una ricca documentazione di oggetti, reperti storici, strumenti, materiali sonori, videoinstallazioni, infografiche, stampe, incisioni, testi e riproduzioni provenienti da svariate istituzioni e raccolte museali, come il Museo archeologico dell’Alto Adige dedicato al ritrovamento dell’”Uomo venuto dal ghiaccio”, il Museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino e il Museo Nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma e il Museo Pontificio, Delegazione Pontificia per il Santuario della Sanata Casa di Loreto, fino alle collezioni private del Queequeg Tattoo Studio & Museo di Gian Maurizio Fercioni a Milano.
A partire da Ötzi, il più antico uomo tatuato il cui corpo sia stato finora rinvenuto in stato di mummificazione naturale, fino agli antichi Egizi con la testimonianza fondamentale della mummia della donna tatuata di Deir El Medina, il percorso accompagna il visitatore in un suggestivo collage caleidoscopico di immagini, colori ed esperienze raccontate da tatuatori/tatuatrici di oggi, che introducono il pubblico alla sfaccettata realtà del tatuaggio contemporaneo e in una continua appropriazione e reinterpretazione di significati e messaggi culturali.
Info: www.mudec.it/tatuaggio