A partire dal 19 novembre, nell’Oratorio di San Rocco – Padova, e fino al 22 gennaio, si tiene la settima edizione di Pensieri Preziosi, una rassegna internazionalmente affermatasi e punto di riferimento della gioielleria d’arte europea.
Dopo aver indagato diverse scuole europee e singoli artisti, l’esposizione di quest’anno costituisce un ulteriore omaggio di Padova al 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che suggerisce il tema ispitatore alla mostra dal titolo Gioielli “d’Italia” – linguaggi e tendenze nel gioiello contemporaneo italiano.
La mostra, in collaborazione con AGC (Associazione Gioiello Contemporaneo), presenta 15 artisti italiani che permettono di scoprire e conoscere le nuove tendenze del gioiello contemporaneo nel nostro Paese.
Si tratta di Fernando Betto (1961), Adrean Bloomard (1966), Patrizia Bonati (1964), Lucia Davanzo (1954), Elisabetta Duprè (1967), Anna Fornari (1965), Maria Rosa Franzin (1951), Simonetta Giacometti (1956), Lisa Grassivaro (1978), Eugenia Ingegno (1981), Rita Marcangelo (1965), Maurizio Stagni (1958), Fabrizio Tridenti (1962), Barbara Uderzo (1965), Stefano Zanini (1964), provenienti da Roma, Cremona, Perugia, Vasto, Trieste, Udine, Vicenza e Padova.

“Pensieri Preziosi 7” – dice l’Assessore alla cultura del Comune di Padova Andrea Colasio – “con l’indovinata proposta di indagare i linguaggi del gioiello contemporaneo italiano, è uno degli eventi di punta del RAM – Ricerche artistiche Metropolitane il contenitore culturale che si propone, appunto, di approfondire le forme espressive della contemporaneità. Una mostra che consolida un percorso e un primato di Padova riconosciuto a livello internazionale”.

Per Mirella Cisotto Nalon, curatrice della mostra, “approcci metodologici e tecniche di lavorazione differenti danno vita ad un’esposizione di 120 opere che dialogano avvalendosi di codici stilistici ed espressivi accomunati dalla ricerca artistica, dall’innovazione del concetto di ornamento, dalla sperimentazione di nuovi materiali e tecnologie.”

I materiali impiegati dai 15 artisti presenti, ciascuno dei quali presenta otto opere, di cui tre recenti, sono i più disparati: dai metalli classici dei gioielli tradizionali come oro e argento, a metalli meno usuali e pregiati quali acciaio, ottone, rame, ferro; accanto corallo, smalti, zirconi, perle, ma anche plexiglas, poliuretano espanso, vetro, silicone, pigmenti, cuoio, materiale plastico, tessuti fino ad arrivare all’utilizzo di objet trouvé quali nidi di vespe, legno, caucciù, terra e persino una pianta grassa e il cioccolato.

Betto sostiene che le sue opere sono sperimentazione quotidiana, che qualsiasi materiale può dar vita ad un gioiello. La personale tensione introspettiva passa ai suoi gioielli che rivelano un’identità imprevista, in cui risalta un atteggiamento di fedeltà verso la materia per trovare una nuova dimensione segnica di cui è possibile il superamento e la negazione; per l’artista “il gioiello deve poter vivere da solo”.

Bloomard guarda al gioiello come ad un potente condensatore di significati, non soltanto ornamentali o materici, ma soprattutto, magici e mentali, dove la memoria ha tracciato, nei ricordi, la propria fisionomia. Egli racchiude nel gioiello la propria esperienza emozionale. Fa rivivere il passato, la stratificazione di una storia collettiva e personale attraverso l’oro finemente lavorato in lamine slabbrate che dialogano con rame, argento, smalti.
Bonati crea basandosi sull’idea di trasformazione e sull’aspirazione al movimento. Tale concetto caratterizza i suoi gioielli che assecondano questa dichiarazione d’intenti e, agli occhi dell’osservatore, mutano, si evolvono: da una collana o un anello si ottiene un bracciale creando così dei monili interscambiabili. Il suo linguaggio infatti risente delle influenze derivate dalla corrente artistica giapponese wabi sabi, dottrina che insegna a guardare ciò che circonda l’uomo come un qualcosa di transitorio, non duraturo. L’esito materico è dato da superfici grezze, slabbrate, non nitide, accanto ad esiti geometricamente lineari.

Davanzo dimostra come la sua poetica consideri la forma geometrica il mezzo e lo strumento concettuale atto a rappresentare l’idea, solidificato nel tempo dall’esperienza e dalla memoria, che tende ad opporsi ai mutamenti spaziali e temporali della vita. Per l’artista la materia non è soltanto il mezzo con cui si esplicitano le sensazioni, ma una sostanza sensibile, una memoria, qualcosa della nostra interiorità. Ecco che le sue opere nascono dal rapporto che s’innesta tra il pieno e il vuoto da cui si originano forme geometriche, costruzioni plastiche, forme concrete: dal punto nasce la linea, dalla linea i piani, dai piani i volumi in un continuo processo creativo.

Duprè si serve di un lessico formale scarno, di pochi ed essenziali elementi in cui il rigore esecutivo ed il limitato cromatismo sono il linguaggio dal quale prendono vita i suoi gioielli.
Il suo operare trova origine dal suprematismo da cui coglie lo spunto di liberare l’arte dai fini pratici ed estetici e di lavorare sulla pura sensibilità plastica e giungere all’unione, per l’artista imprescindibile, tra lavoro artigianale e lavoro artistico.
Fornari persegue da anni un filo immaginativo legato all’evoluzione di soluzioni espressive originali e personalizzate. Oggetti e materiali rinvenuti per caso, attraverso un’elaborazione fantastica, dopo essere stati riscoperti e studiati, trovano una nuova forma mantenendo nel contempo anche parte dell’identità iniziale pur divenendo gioielli.
Franzin applica in modo personale la disciplina geometrica alle sue creazioni senza mai tuttavia separarsi da una propria autonoma interpretazione di forme e materiali, esaltando la semplicità delle linee con una particolare attenzione al disegno. Ciò che interessa maggiormente l’artista sono le qualità cromatiche dei materiali prescelti a cui conferisce una squisita sensibilità pittorica con diversi trattamenti delle superfici. I suoi gioielli scaturiscono da un confronto tra il pensiero, la sua espressione segnica e la sua effettiva traduzione in oggetti tridimensionali.

Marcangelo si avvale di forme lineari, quasi primitive, primordiali; la loro, solo apparente rigidità, è mediata da un uso sapiente del colore che rende i suoi gioielli veicoli di espressività e contemporaneità e così il gioiello creato diventa quasi rifugio, sfogo, esplosione di sentimenti. Predilige e adotta materiali che possono subire un cambiamento rispetto all’aspetto iniziale, che hanno cioè il potenziale di diventare altro trasformando un materiale in maniera tale che diventi quasi irriconoscibile.
Ingegno pensa ai gioielli come portatori di messaggi, che raccontano storie di persone: sono senza sempre di qualcuno, il regalo di qualcuno, sul corpo di qualcuno. Nel suo operare l’artista privilegia la tecnica della fusione e quindi l’utilizzo di stampi che risponde all’azione concettuale di aderire alla realtà, a ciò che di essa possiamo o vogliamo cogliere.

Stagni concepisce il gioiello secondo tre diverse accezioni ovvero come un oggetto artigianale che esprime equilibrio ed abilità manuale e che mette in risalto caratteristiche di bellezza; come un “prodotto” proveniente da un percorso personale e creativo e quindi originale, attento però ai costi nella produzione e nella distribuzione e infine come un manufatto che esprime liberamente, coerente ed eticamente un viaggio emozionale. Ironia, gioco, realtà e percezione sono gli aspetti indagati dall’artista nel suo percorso creativo dando vita nei lavori più recenti a gioielli seri nell’eleganza cromatica ma al contempo divertenti nell’inganno percettivo.
Giacometti percorre un iter artistico variegato: dai gioielli degli anni ottanta che appartengono chiaramente ad un approccio mediato dalla pratica orafa ai giorni più recenti in cui fa uso di materiali di riciclo con un riferimento al mondo naturale che è un’imprescindibile fonte d’ispirazione formale e cromatica del suo lavoro. L’idea prende forma dalla materia stessa, dalla sua lavorazione.
Grassivaro domina l’assoluta libertà inventiva, ricerca di autenticità e singolarità in quanto l’artista è primo ideatore ed artefice. Tali caratteristiche sfociano in uno stile inconfondibile, caratterizzato da essenzialità delle forme, precisione del segno, rigore geometrico, rarefatta eleganza e raffinata esecuzione tecnica che rappresentano stilemi propri dell’artista.

Tridenti rinnega l’aspetto essenzialmente accessorio attribuito tradizionalmente al gioiello, predilige l’utilizzo di materiali poveri, di scarto, elevandoli a preziosi strumenti di traduzione della propria progettualità ideativa. Le sue creazioni vivono in una dimensione in cui traspare un senso di sottile attesa, di aspettativa, di sospensione intellettuale.
Uderzo si concentra fondamentalmente sull’aspetto concettuale dell’opera; l’idea progettuale diventa un oggetto che si relaziona in maniera giocosa e provocatoria al corpo. Il gioiello è per l’artista esperienza percettiva e sensoriale, luogo di partenza di eventi in trasformazione, scenario narrativo in cui dialogano oggetti in miniatura tolti alla quotidianità e conglobati con disinvoltura in plastiche coloratissime e metalli.
Zanini trae fonte di ispirazione nella natura in tutte le sue forme aderendo al movimento internazionale “Art in nature” di cui condivide la filosofia operativa. I più recenti lavori vedono ad esempio la riproduzione di rocce nella loro forma originaria o magmatica primitiva, terra spaccata, fangosa o brulla. L’artista dà forma a gioielli fortemente plastici per adornare il corpo.

15 artisti orafi, 15 diverse interpretazioni, 15 linguaggi, tutti accomunati dalla ricerca per la creazione di opere d’arte da indossare.

La cura della mostra e del catalogo è di Mirella Cisotto Nalon.

Il catalogo, edito da Imprimenda, presenta contributi di Mirella Cisotto Nalon, Luisa Bazzanella Dal Piaz, Alessia Castellani, Serena Favaro, Elena Giora, Alessandra Possamai Vita

INFO
Comune di Padova – Settore Attività Culturali
Servizio Mostre tel. 049 820 4527 – 39 – 63, 049/8753981

http://padovacultura.padovanet.it